Cicerone, De divinationes: Libro 01 - Parte 01, pag 5

Cicerone, De divinationes: Libro 01 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 01 - Parte 01
Dionysi mater, eius qui Syracosiorum tyrannus fuit, ut scriptum apud Philistum est, et doctum hominem et diligentem et aequalem temporum illorum, cum praegnans hunc ipsum Dionysium alvo contineret, somniavit se peperisse Satyriscum

Huic interpretes portentorum, qui Galeotae tum in Sicilia nominabantur, responderunt, ut ait Philistus, eum, quem illa peperisset, clarissimum Graeciae diuturna cum fortuna fore ; num te ad fabulas revoco vel nostrorum vel Graecorum poetarum

Narrat enim et apud Ennium Vestalis illa: Et cita cum tremulis anus attulit artubus lumen, talia tum memorat lacrimans, exterrita somno Eurydica prognata, pater quam noster amavit, vires vitaque corpus meum nunc deserit omne

Nam me visus homo pulcher per amoena salicta et ripas raptare locosque novos
La madre di Dionisio, di quello che fu tiranno di Siracusa, a quanto si legge in Filisto, uomo dotto e accurato e vissuto in quegli stessi tempi, mentre era appunto incinta di Dionisio sognò di aver partorito un satiretto

Gli interpreti dei prodigi, che allora in Sicilia si chiamavano Galeoti, le dissero (ce lo testimonia ancora Filisto) che il figlio che essa stava per dare alla luce sarebbe stato l'uomo più famoso della Grecia e avrebbe avuto una fortuna costante Vuoi che ti rammenti le leggende narrate dai poeti nostri o dai greci

Anche in Ennio quella famosa vestale narra: E appena la vecchia, frettolosa, ebbe portato una lucerna con mani tremanti, essa così dice piangendo, svegliatasi spaurita dal sonno: 'O figlia di Euridice, che nostro padre amò, io sento tutto il mio corpo privo di forza e di spirito vitale

Mi pareva, in sogno, che un uomo bello mi rapisse portandomi per ameni filari di salici e per rive e per luoghi mai visti
Ita sola postilla, germana soror, errare videbar tardaque vestigare et quaerere te, neque posse corde capessere: semita nulla pedem stabilitat

Exim compellare pater me voce videtur his verbis: gnata, tibi sunt ante gerendae aerumnae, post ex fluvio fortuna resistet

Haec ecfatus pater, germana, repente recessit nec sese dedit in conspectum corde cupitus, quamquam multa manus ad caeli caerula templa tendebam lacrumans et blanda voce vocabam

Vix aegro cum corde meo me somnus reliquit

Haec, etiamsi ficta sunt a poeta, non absunt tamen a consuetudine somniorum

Sit sane etiam illud commenticium, quo Priamus est conturbatus, quia mater gravida parere se ardentem facem visa est in somnis Hecuba
E così, poi, sola mi sembrava di vagare, sorella mia cara, e di avanzare a passi incerti e di cercare te, ma di non poter raggiungerti nella mia mente: nessun sentiero guidava sicuro il mio piede

Poco dopo, ecco, mi sembra che il padre mi rivolga queste parole: - O figlia, dapprima dovrai sopportare affanni, poi la tua fortuna riemergerà da un fiume -

Come ebbe detto ciò, sorella mia, il padre scomparve d'un tratto, né si mostrò al mio sguardo benché nel mio cuore lo desiderassi: a nulla valse che più volte io tendessi le mani all'azzurra volta del cielo e lo invocassi con tenere parole

Or ora il sonno mi ha abbandonato lasciando il mio cuore afflitto

Anche se tutto ciò è invenzione poetica, non si discosta da tanti altri tipi di sogni realmente accaduti

Ammettiamo pure che sia inventato quel sogno dal quale Priamo rimase turbato, perché la madre, Ecuba, mentre era incinta, sognò che partoriva una fiaccola ardente
Quo facto pater rex ipse Priamus somnio, mentis metu perculsus, curis sumptus suspirantibus, exsacrificabat hostiis balantibus

Tum coniecturam postulat pacem petens, ut se edoceret obsecrans Apollinem quo sese vertant tantae sortes somnium

Ibi ex oraclo voce divina edidit Apollo: puerum, primus Priamo qui foret postilla natus, temperaret tollere: eum esse exitium Troiae, pestem Pergamo

Sint haec, ut dixi, somnia fabularum, hisque adiungatur etiam Aeneae somnium, quod nimirum in Fabi Pictoris Graecis annalibus eius modi est, ut omnia quae ab Aenea gesta sunt quaeque illi acciderunt, ea fuerint quae ei secundum quietem visa sunt

Sed propiora videamus

Cuiusnam modi est Superbi Tarquini somnium, de quo in Bruto Acci loquitur ipse
In seguito a ciò il padre, il re Priamo in persona, preso da timore in cuor suo per questo sogno, afflitto da ansie che si effondevano in sospiri, compiva sacrifici di vittime belanti

Quindi, implorando pace, chiede un responso, scongiura Apollo di fargli sapere a che cosa accennino presagi di sogni così gravi

Allora con voce divina Apollo rispose dall'oracolo: il bambino che per primo nascesse tra breve a Priamo, si guardasse bene dall'allevarlo: sarebbe stato rovina a Troia, sciagura a Pergamo

Ammettiamo pure, ripeto, che queste siano leggende immaginarie, e a esse aggiungiamo anche il sogno di Enea, che, come ben sai, negli Annali scritti in greco da Fabio Pittore è narrato in modo che tutto ciò che fu poi compiuto da Enea e che gli accadde corrisponda esattamente alle cose a lui apparse mentre era immerso nel sonno

Ma vediamo eventi meno remoti

Che dire del sogno di Tarquinio il Superbo, che egli stesso narra nel Bruto di Accio

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Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 03
Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 03

Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 02 - Parte 03

Quoniam quieti corpus nocturno impetu dedi, sopore placans artus languidos, visust in somnis pastor ad me appellere pecus lanigerum eximia pulchritudine; duos consanguineos arietes inde eligi praeclarioremque alterum immolare me; deinde eius germanum cornibus conitier, in me arietare, eoque ictu me ad casum dari

Exim prostratum terra, graviter saucium, resupinum in caelo contueri maxumum ac mirificum facinus: dextrorsum orbem flammeum radiatum solis liquier cursu novo
Dopo che, al cadere della notte, ebbi abbandonato il corpo al sonno, rilasciando nel sopore le membra stanche, mi apparve in sogno un pastore che spingeva verso di me un gregge lanoso di straordinaria bellezza; mi pareva che da quel gregge venissero scelti due arieti consanguinei e che io immolassi il più imponente dei due; poi il fratello dell'ucciso puntava le corna, si avventava per colpirmi e con quell'urto mi abbatteva

Io allora, prostrato a terra, gravemente ferito, alzavo supino gli occhi al cielo e vedevo un fatto immenso e straordinario: il disco fiammeggiante del sole, effondendo i suoi raggi, si dileguava verso destra invertendo il suo cammino nel cielo
Eius igitur somnii a coniectoribus quae sit interpretatio facta videamus: Rex, quae in vita usurpant homines, cogitant curant vident, quaeque agunt vigilantes agitantque, ea si cui in somno accidunt, minus mirandum est; sed in re tanta haud temere visa se offerunt

Proin vide ne, quem tu esse hebetem deputes aeque ac pecus, is sapientia munitum pectus egregium gerat teque regno expellat

Nam id, quod de sole ostentum est tibi, populo commutationem rerum portendit fore perpropinquam

Haec bene verruncent populo

Nam quod ad dexteram cepit cursum ab laeva signum praepotens, pulcherrume auguratum est rem Romanam publicam summam fore

Age nunc ad externa redeamus
Ebbene, vediamo quale fu l'interpretazione di quel sogno da parte degl'indovini: O re, le cose che nella vita gli uomini sogliono fare, le cose che pensano, curano, vedono, e che da svegli compiono e alle quali s'affaccendano, non c'è da meravigliarsi se accadono a qualcuno in sogno; ma in una circostanza così straordinaria non senza motivo le visioni si presentano

Sta dunque attento, che colui che tu stimi sciocco al pari di una bestia, non abbia una mente munita di ingegno, al di sopra del gregge, e non ti sbalzi dal trono

Ché quello che ti è apparso riguardo al sole, dimostra che avverrà per il popolo un mutamento assai vicino nel tempo

Possa tutto ciò volgersi in bene per il popolo

Il fatto che l'astro più potente abbia intrapreso il suo corso verso destra da sinistra, è un faustissimo augurio che lo Stato romano sarà eccelso

Suvvia, torniamo ora a fatti di paesi stranieri

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Matrem Phalaridis scribit Ponticus Heraclides, doctus vir, auditor et discipulus Platonis, visam esse videre in somnis simulacra deorum, quae ipsa domi consecravisset

Ex iis Mercurium e patera, quam dextera manu teneret, sanguinem visum esse fundere; qui cum terram attigisset, refervescere videretur sic, ut tota domus sanguine redundaret

Quod matris somnium immanis filii crudelitas comprobavit

Quid ego, quae magi Cyro illi principi interpretati sint

Ex Dinonis Persicis fibris proferam nam cum dormienti ei sol ad pedes visus esset, ter eum scribit frustra adpetivisse manibus, cum se convolvens sol elaberetur et abiret

Ei magos dixisse, quod genus sapientium et doctorum habebatur in Persis, ex triplici adpetitione solis triginta annos Cyrum regnaturum esse portendi
Eraclìde Pontico, uomo dotto, uditore e scolaro di Platone, scrive che alla madre di Falàride sembrò di vedere in sogno le immagini degli dèi che essa stessa aveva consacrato nella sua casa

Una di queste, l'immagine di Mercurio, sembrava versasse del sangue dalla coppa che teneva con la mano destra; appena aveva toccato terra, il sangue ribolliva, sì che tutta la casa era un lago di sangue

Questo sogno della madre fu confermato dall'efferata crudeltà del figlio

C'è bisogno che io citi dai Libri persiani di Dinone la profezia che i maghi rivelarono a Ciro, quel famoso antico re

Scrive Dinone che, in sogno, parve a Ciro che il sole gli si posasse ai piedi; tre volte Ciro cercò di toccarlo con le mani, ma invano: il sole, girando su se stesso, gli sfuggiva e si allontanava

I maghi - venerati in Persia come una stirpe di sapienti e di dotti - da questo triplice tentativo di afferrare il sole trassero la profezia che Ciro avrebbe regnato per trent'anni
Quod ita contigit; nam ad septuagesimum pervenit, cum quadraginta natus annos regnare coepisset

Est profecto quiddam etiam in barbaris gentibus praesentiens atque divinans

Siquidem ad mortem proficiscens Cafianus Indus, cum inscenderet in rogum ardentem, O praeclarum discessum, inquit, e vita

Cum, ut Herculi contigit, mortali corpore cremato, in lucem animus excesserit

Cumque Alexander eum rogaret, si quid vellet, ut diceret, Optume, inquit; propediem te videbo

Quod ita contigit; nam Babylone paucis post diebus Alexander est mortuus

Discedo parumper a somniis, ad quae mox revertar

Qua nocte templum Ephesiae Dianae deflagravit, eadem, constat ex Olympiade natum esse Alexandrum, atque, ubi lucere coepisset, clamitasse magos pestem ac perniciem Asiae proxuma nocte natam
E così avvenne: giunse fino all'età di settant'anni, e il suo regno incominciò quando ne aveva quaranta

C'è senza dubbio anche nei popoli barbari una capacità di presentimento e di divinazione

L'indiano Callano, recandosi alla morte, nell'atto di salire sul rogo ardente, esclamò: Oh, splendida separazione dalla vita

Come accadde a Ercole, dopo che sarà incenerito questo corpo mortale, la mia anima ascenderà al regno della luce

E siccome Alessandro gli chiese di dire se desiderava qualcosa prima di morire, egli rispose: Grazie: fra poco ti rivedrò

E così avvenne: pochi giorni dopo Alessandro morì a Babilonia

Mi sto allontanando per un poco dai sogni, ai quali presto ritornerò

Si sa che, nella stessa notte in cui fu distrutto dalle fiamme il tempio di Diana Efesia, Olimpiade diede alla luce Alessandro, e appena si fece giorno i maghi si misero a gridare che nella notte allora trascorsa era nata la rovina, la sciagura per l'Asia

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Haec de Indis et magis; redeamus ad somnia

Hannibalem Coelius scribit, cum columnam auream, quae esset in fano Iunonis Laciniae, auferre vellet dubitaretque utrum ea solida esset an extrinsecus inaurata, perterebravisse, cumque solidam invenisset, statuisse tollere

Ei secundum quietem visam esse Iunonem praedicere ne id faceret, minarique, si fecisset, se curaturam ut eum quoque oculum, quo bene videret, amitteret

Idque ab homine acuto non esso neglectum; itaque ex eo auro, quod exterebratum esset, buculam curasse faciendam et eam in summa columna conlocavisse

Hoc item in Sileni, quem Coelius sequitur, Graeca historia est (is autem diligentissume res Hannibalis persecutus est)

Hannibalem, cum cepisset Saguntum, visum esse in somnis a Iove in deorum concilium vocari
Basti ciò quanto agli indiani e ai maghi; ritorniamo ai sogni

Celio Antipatro scrive che Annibale, desideroso di portar via una colonna d'oro che si trovava nel tempio di Giunone Lacinia, ma dubbioso se fosse d'oro massiccio o soltanto dorata all'esterno, la fece trapanare e, accertatosi che era tutta d'oro, decise di asportarla

Durante il sonno gli apparve Giunone e lo ammonì a non farlo, minacciandolo che, se l'avesse fatto, essa gli avrebbe fatto perdere anche l'unico occhio con cui vedeva bene

Quell'uomo sagace non trascurò l'ammonimento e, con quella parte d'oro che era stata tolta nella trapanazione, fece fare una piccola effigie d'una giovenca e la fece collocare in cima alla colonna

Un altro episodio è riferito nella storia, scritta in greco, di Sileno, da cui lo attinse Celio (Sileno narrò con grande accuratezza le imprese di Annibale)

Dopo la presa di Sagunto, Annibale sognò che era chiamato da Giove nel concilio degli dèi
Quo cum venisset, Iovem imperavisse, ut Italiae bellum inferret, ducemque ei unum e concilio datum

Quo illum utentem cum exercitu progredi coepisse

Tum ei ducem illum praecepisse ne respiceret

Illum autem id diutius facere non potuisse elatumque cupiditate respexisse

Tum visam beluam vastam et immanem circumplicatam serpentibus, quacumque incederet, omnia arbusta, virgulta, tecta pervertire

Et eum admiratum quaesisse de deo quodnam illud esset tale monstrum, et deum respondisse vastitatem esse Italiae praecepisseque ut pergeret protinus, quid retro atque a tergo fieret ne laboraret

Apud Agathoclem scriptum in historia est Hamilcarem Karthaginiensem, cum oppugnaret Syracusas, visum esse audire vocem se postridie cenaturum Syracusis
Giunto là, si sentì ordinare da Giove di portar guerra all'Italia, e gli venne dato come guida un dio del concilio

Seguendo le indicazioni di costui, incominciò a mettersi in marcia con l'esercito

Quel dio, allora, gli ordinò di non voltarsi a guardare indietro

Ma Annibale non riuscì a resistere a lungo, e, cedendo alla bramosia di vedere, si voltò

Vide una belva enorme e orrenda, cinta da serpenti, la quale, dove passava, abbatteva ogni albero, ogni virgulto, ogni casa

Annibale, stupefatto, chiese al dio che lo guidava che cos'era mai un mostro di quella sorta; e il dio rispose che quella era la devastazione dell'Italia e gli ordinò di continuare il cammino, senza curarsi di ciò che avveniva dietro, alle sue spalle

Nella Storia di Agatocle si legge che ad Amilcare cartaginese, mentre assediava Siracusa, parve di udire una voce che gli diceva: Domani cenerai a Siracusa

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Cum autem is dies inluxisset, magnam seditionem in castris eius inter Poenos et Siculos milites esse factam

Quod cum sensissent Syracusani, improviso eos in castra inrupisse Hamilcaremque ab iis vivum esse sublatum: ita res somnium comprobavit

Plena exemplorum est historia, tum referta vita communis

At vero P Decius ille Quinti filius, qui primus e Deciis consul fuit, cum esset tribunus militum M Valerio A Cornelio, consulibus, a Samnitibusque premeretur noster exercitus, cum pericula proeliorum iniret audacius monereturque, ut cautior esset, dixit, quod exstat in annalibus, sibi in somnis visum esse, cum in mediis hostibus versaretur, occidere cum maxuma gloria
Appena spuntata l'alba del giorno dopo, nel suo accampamento sorse una grande rissa fra i soldati cartaginesi e quelli siculi

I siracusani se ne accorsero, fecero un'irruzione improvvisa nell'accampamento e presero vivo Amilcare: così i fatti confermarono la verità del sogno

Di esempi analoghi è piena la storia, è addirittura ricolma la vita quotidiana

Esempio più illustre che mai, Publio Decio figlio di Quinto, il primo della famiglia dei Decii che fu eletto console, quando era tribuno militare sotto i consoli Marco Valerio e Aulo Cornelio e il nostro esercito era incalzato dai sanniti, poiché affrontava con eccessiva temerità i pericoli del combattimento e lo ammonivano a esser più prudente, disse - lo narrano le storie - che in sogno gli era parso di morire gloriosissimamente nel folto della mischia

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