E’ quello che ti meriti - Barbara Frandino

E’ quello che ti meriti - Barbara Frandino

Lei si chiama Anna. L'ho incontrata ad una festa a Milano, circa un anno fa. Beveva del vino, seduta su un divano viola. Indossava bracciali che risuonavano ogni movimento della mano, e una gonna corta, leggera, che si apriva sul davanti e lasciava scoperte le gambe magre

Anna e Antonio si conoscevano già da prima. Ho un ricordo preciso di quella sera: lui la saluta a distanza, con un gesto della mano, lei distoglie lo sguardo.

Antonio mi propone di andarcene ma un collega lo artiglia per un braccio e lo trascina dall'altra parte della sala, mentre io mi ritrovo a discutere con uno sceneggiatore. Cerco mio marito con lo sguardo. E' di spalle, lo vedo arruffarsi i capelli. Tutti pendono dalle labbra di Antonio. mi avvicino mentre Antonio prende il bicchiere di Anna per versarle del vino. 

Lei gli sfiora la schiena: la mano si appoggia alle scapole di mio marito e scende fino alle ultime vertebre. Ma lui non sembra turbato e nemmeno sorpreso. Come se il calore di quella carezza fosse qualcosa di familiare. Anna di scatto si volta e mi vede. La mano scivola via dalla schiena di mio marito e lo sguardo si posa sul contenuto del bicchiere. Mi unisco al gruppo e mi sforzo di sorridere.

Non ho più visto Anna dopo la festa. Però ho saputo che è rimasta incinta e che, una settimana fa, è nato il suo bambino. Me lo ha detto Antonio.

Antonio è il padre di quel bambino 

Non so dire che cosa mi aspettavo. Posso invece dire, con esattezza, cosa non mi aspettavo:

  1. che riuscisse a starmi accanto senza mai sfiorarmi
  2. che, improvvisamente, non mi giudicasse degna di attenzione
  3. che rimanesse a guardare il nostro mondo finire a pezzi senza muovere un dito
  4. che continuasse a parlare di cose banali
  5. che non sentisse mai il bisogno di abbracciarmi, dicendomi che faccio ancora parte della sua carne

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ADESSO HAI ANCHE TU QUELLO CHE TI MERITI (temporalmente avviene dopo)

Improvvisamente, Antonio si riscuote. Abbassa il braccio e con la mano mi afferra il viso. Avverto lo scatto doloroso della mandibola sotto la sua stretta. Mi sta addosso, Le nostre labbra quasi si toccano, sento il suo fiato mentre scandisce le parole: stronza, io non ho smesso di amarti. Riesco a divincolarmi e a mordergli una mano, ma lui mi prende per i capelli e mi sbatte contro una parete che vibra per l'urto. Mi blocca con il peso del corpo, sento la sua erezione contro la schiena. Sono immobilizzata, con una guancia e le braccia incollate al muro della rimessa: un braccio è graffiato, lui preme volontariamente con il pollice sulle ferite. Poco dopo mi ritrovo con la faccia a terra. La gonna è salita e le assi scrostate del pavimento mi scorticano le gambe. Antonio è sopra di me: con una mano mi tiene i capelli e con l'altra si slaccia i pantaloni. Una grossa scheggia del pavimento mi ha lacerato la pelle ed è entrata nel ginocchio, il dolore è insopportabile. Ho polvere sulle labbra e negli occhi. Vorrei supplicarlo di smetterla ma non ho voce per farlo. Resto in silenzio, lui mi tira indietro la testa e comincia a baciarmi, mi scosta le mutande, sento il suo affanno e il suo c**** strofinarsi contro i miei glutei. E le sue labbra, che ora mi sfiorano un orecchio mentre sussurra: adesso hai anche tu quello che ti meriti.

All'improvviso capisco. Sento i battiti del cuore contro il pavimento ma io sono altrove. Sono ai piedi di quell'albero, accanto al corpo immobile di Antonio.

E' QUELLO CHE TI MERITI (temporalmente avviene prima)

Più tardi piango tra le braccia di Lucia. Chiuse nella nostra vecchia stanza, le parlo di quello che è successo nella rimessa, e le racconto anche tutto il resto.

La scala a pioli traballava, dico, Antonio era sull'ultimo gradino. La schiena si era incurvata all'indietro, un braccio ruotava nell'aria, cercava un appiglio tra i rami che si spezzavano. Si sforzava di urlare, ma dalla bocca non usciva alcun suono.

Sul momento ho pensato che avesse perso l'equilibrio. Quella scala oscillava e Antonio se la faceva sotto dalla paura e con una mano si prendeva la camicia e la tirava come per reggersi e non cadere. poi la scala ha smesso di dondolare e si è inclinata su un lato. E io, che ero a un passo, sono rimasto a guardare. 

Racconto a Lucia di quando Antonio era a terra, rannicchiato come se stesse dormendo. Di quando mi sono inginocchiata per vederlo meglio e i suoi occhi erano aperti: aveva un graffio sul viso e non respirava. Ho accarezzato la ferita, ho sfregato l'indice e il pollice e ho sentito il sangue vischioso sotto i polpastrelli. Ho sciolto a fatica le dita ancora stretta attorno alla camicia, ho appoggiato una mano al suo cuore e non ho sentito nulla. Mi sono distesa anch'io a terra e mi sono rannicchiata davanti a lui. Le nostre ginocchia si sfioravano. aveva le pupille immobili su un punto imprecisato della mia fronte, le iridi leggermente sbiadite.

La terra umida sotto la maglietta mi faceva rabbrividire. a parte il freddo, non provavo niente.

 Che cosa può provare un corpo disabilitato? 

Con la punta delle dita gli ho accarezzato la guancia, la barba incolta, il naso. Gli ho risistemato un ciuffo di capelli bianchi e gli ho chiuso la bocca che era rimasta leggermente aperta nella caduta. Distesa, con la testa appoggiata all'incavo del braccio e le ginocchia premute contro le sue , continuavo a guardarlo.

Poi ho avvicinato le labbra al suo orecchio e gli ho sussurrato: è quello che ti meriti

Ero a un centimetro dal suo viso, sentivo l'odore della pelle, dei capelli di punto mi sono di nuovo distesa con la testa sul braccio e sono tornata a osservarlo e osservare il nulla che mi sentivo dentro. 

Dico a mia sorella che, quando gli occhi di Antonio hanno ripreso vita, ho fatto un balzo all'indietro. Ho cercato di nuovo il suo cuore, l'arteria del collo, gli ho sentito il flusso del sangue sotto le dita. Ero così sconvolta da non sapere che fare. Mi sono guardata attorno, atterrita dall'idea che qualcuno potesse osservarmi. Accanto alla scala ho visto le sigarette e l'accendino di Antonio. Camminando carponi ho raggiunto il pacchetto, mi sono seduta sui talloni e mi sono accesa una sigaretta. Mi tremava tutto il corpo. Il corpo di mio marito invece era sempre immobile, ma gli occhi erano puntati su di me, con disperazione.

Ad un certo punto l'ho sentito gemere. E allora sono andata a chiamare i soccorsi. 

…..

al suo risveglio, in ospedale, ho chiesto ad Antonio se ricordava quello che era successo. mi ha risposto che non ricordava niente.

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