Cicerone, De divinationes: Libro 01 - Parte 01

Cicerone, De divinationes: Libro 01 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 01 - Parte 01

Vetus opinio est iam usque ab heroicis ducta temporibus, eaque et populi Romani et omnium gentium firmata consensu, versari quandam inter homines divinationem, quam Graeci mantikh n appellant, id est praesensionem et scientiam rerum futurarum

Magnifica quaedam res et salutaris, si modo est ulla, quaque proxime ad deorum vim natura mortalis possit accedere

Itaque ut alia nos melius multa quam Graeci, sic huic praestantissimae rei nomen nostri a divis, Graeci, ut Plato interpretatur, a furore duxerunt

Gentem quidem nullam video neque tam humanam atque doctam neque tam immanem tamque barbaram, quae non significari futura et a quibusdam intellegi praedicique posse censeat
un'opinione antica, risalente ai tempi leggendari e corroborata dal consenso del popolo romano e di tutte le genti, che vi siano uomini dotati di una sorta di divinazione - chiamata dai greci mantiké -, cioè capaci di presentire il futuro e di acquisirne la conoscenza

Capacità magnifica e salutare, se davvero esiste, grazie alla quale la natura di noi mortali si avvicinerebbe il più possibile alla potenza degli dèi

E come in altri casi noi romani ci esprimiamo molto meglio dei greci, così anche a questa straordinaria dote i nostri antenati dettero un nome tratto dalle divinità, mentre i greci, come spiega Platone, derivarono il nome corrispondente dalla follìa

Non conosco, in verità, alcun popolo, dai più civili e colti fino ai più efferati e barbari, che non creda che il futuro si manifesti con segni premonitori, e che esistano persone capaci di comprenderli e di spiegarli in anticipo
Principio Assyrii, ut ab ultimis auctoritatem repetam, propter planitiam magnitudinemque regionum quas incolebant, cum caelum ex omni parte patens atque apertum intuerentur, traiectiones motusque stellarum observitaverunt, quibus notati, quid cuique significaretur memoriae prodiderunt

Qua in natione Chaldaei, non ex artis sed ex gentis vocabulo nominati, diuturna observatione siderum scientiam putantur effecisse, ut praedici posset, quid cuique eventurum et quo quisque fato natus esset

Eandem artem etiam Aegyptii longinquitate temporum innumerabilibus paene saeculis consecuti putantur Cilicum autem et Pisidarum gens et his finituma Pamphylia, quibus nationibus praefuimus ipsi, volatibus avium cantibus que certissimis signis declarari res futuras putant
Incominciamo dalle testimonianze più antiche: per primi gli assiri, abitando vasti territori pianeggianti e potendo perciò vedere il cielo aperto fino all'orizzonte in ogni direzione, osservarono assiduamente i passaggi e i moti delle stelle, e, quando li ebbero registrati, tramandarono ai posteri quale presagio costituissero per ciascun individuo

Tra gli assiri, si ritiene che in particolare i caldèi - nome di una gente, non della loro arte - con l'incessante osservazione delle stelle abbiano fondato una scienza che permetteva di predire che cosa sarebbe accaduto a ciascuno e con quale destino ciascuno era nato

La stessa maestria si crede che abbiano raggiunto anche gli egiziani, nel corso di un tempo lunghissimo, durante secoli pressoché innumerevoli; ancora: gli abitanti della Cilicia e della Pisidia e quelli, confinanti con loro, della Panfilia (genti, tutte, che io ho governato) credono che il volo e il canto degli uccelli servano a predire con la massima certezza il futuro
Quam vero Graecia coloniam misit in Aeoliam, Ioniam, Asiam, Siciliam, Italiam sine Pythio aut Dodonaeo aut Hammonis oraculo

Aut quod bellum susceptum ab ea sine consilio deorum est

Nec unum genus est divinationis publice privatimque celebratum

Nam, ut omittam ceteros populos, noster quam multa genera complexus est

Principio huius urbis parens Romulus non solum auspicato urbem condidisse, sed ipse etiam optumus augur fuisse traditur

Deinde auguribus et reliqui reges usi, et exactis regibus nihil publice sine auspiciis nec domi nec militiae gerebatur
E la Grecia inviò mai dei propri abitanti a fondar colonie in Eolia, in Ionia, in Asia, in Sicilia, in Italia senza aver prima consultato l'oracolo di Delfi o quello di Dodona o quello di Ammone

E quale guerra fu intrapresa dai greci senza aver consultato gli dèi

Né è stato praticato un solo genere di divinazione, sia per affari di Stato sia per prendere decisioni private

Anche a prescindere dagli altri popoli, il nostro a quanti tipi di divinazione è ricorso

Innanzi tutto il padre della nostra città, Romolo, non solo fondò Roma dopo aver preso gli auspicii, ma, a quanto si narra, fu egli stesso un ottimo àugure

Dopo di lui, gli altri re consultarono sempre gli àuguri; e dopo la cacciata dei re nessuna decisione riguardante lo Stato, in pace come in guerra, si prendeva senza essere prima ricorsi agli auspicii

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Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 05
Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 05

Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 02 - Parte 05

Cumque magna vis videretur esse et impetriendis consulendisque rebus et monstris interpretandis ac procurandis in haruspicum disciplina, omnem hanc ex Etruria scientiam adhibebant, ne genus esset ullum divinationis quod neglectum ab iis videretur

Et cum duobus modis animi sine ratione et scientia motu ipsi suo soluto et libero incitarentur, uno furente, altero somniante, furoris divinationem Sibyllinis maxime versibus contineri arbitrati eorum decem interpretes delectos e civitate esse voluerunt

Ex quo genere saepe hariolorum etiam et vatum furibundas praedictiones, ut Octaviano bello Corneli Culleoli, audiendas putaverunt
E siccome credevano che la scienza degli arùspici avesse grande importanza sia nel cercar di ottenere buoni eventi e nel ricevere buoni consigli, sia nell'interpretare i prodìgi e nello stornare con espiazioni la loro forza malefica, attingevano tutta questa dottrina dall'Etruria, perché nessun genere di divinazione venisse trascurato

E poiché le anime umane, quando non le governano la ragione e il sapere, sono eccitate spontaneamente in due modi, negli accessi di follìa e nei sogni, i nostri antenati, ritenendo che la divinazione manifestantesi nella follìa fosse interpretata soprattutto nei versi sibillini, istituirono un collegio di dieci interpreti di tali libri, scelti fra i cittadini

Riguardo a questo genere di divinazione, credettero spesso di dover dare ascolto anche alle profezie gridate in stato di esaltazione dagl'indovini e dai vati: per esempio, a quelle di Cornelio Culleolo nella guerra di Gneo Ottavio contro Cinna
Nec vero somnia graviora, si quae ad rem publicam pertinere visa sunt, a summo consilio neglecta sunt

Quin etiam memoria nostra templum Iunonis Sospitae L Iulius, qui cum P Rutilio consul fuit, de senatus sententia refecit ex Caeciliae, Baliarici filiae, somnio

Atque haec, ut ego arbitror, veteres rerum magis eventis moniti quam ratione docti probaverunt

Philosophorum vero exquisita quaedam argumenta, cur esset vera divinatio, conlecta sunt; e quibus, ut de antiquissumis loquar, Colophonius Xenophanes unus, qui deos esse diceret, divinationem funditus sustulit; reliqui vero omnes, praeter Epicurum balbutientem de natura deorum, divinationem probaverunt, sed non uno modo
Né il sommo consesso, il senato, trascurò i sogni, se per la loro importanza sembravano necessari a prender decisioni riguardanti lo Stato

Ancora ai nostri tempi Lucio Giulio, console insieme con Publio Rutilio, per decreto del senato restaurò il tempio di Giunone Sòspita in séguito a un sogno di Cecilia, figlia di Cecilio Baliarico

Gli antichi, a mio parere, credettero alla verità della divinazione più perché impressionati dall'avverarsi delle profezie che per argomentazioni razionali

Ma quanto ai filosofi, sono stati raccolti i loro sottili ragionamenti per dimostrare che la divinazione corrisponde al vero: tra essi (mi rifaccio dai più antichi), Senofane di Colofone fu il solo che, pur credendo all'esistenza degli dèi, negò ogni fede nella divinazione; tutti gli altri, eccettuato Epicuro che sulla natura degli dèi disse cose assurde, approvarono la divinazione, ma non nella stessa misura

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 02 - Parte 03

Nam cum Socrates omnesque Socratici Zenoque et ii qui ab eo essent profecti manerent in antiquorum philosophorum sententia vetere Academia et Peripateticis consentientibus, cumque huic rei magnam auctoritatem Pythagoras iam ante tribuisset, qui etiam ipse augur vellet esse, plurumisque locis gravis auctor Democritus praesensionem rerum futurarum comprobaret, Dicaearchus Peripateticus cetera divinationis genera sustulit, somniorum et furoris reliquit, Cratippusque, familiaris noster, quem ego parem summis Peripateticis iudico, isdem rebus fidem tribuit, reliqua divinationis genera reiecit Socrate e tutti i socratici, Zenone stoico e i suoi seguaci, si attennero alla dottrina dei filosofi più antichi, e dello stesso parere furono l'Accademia antica e i peripatetici; già prima di essi, Pitagora aveva attribuito alla divinazione grande autorità (egli stesso, anzi, si considerava un àugure), e Democrito, filosofo di grande valore, in molti passi delle sue opere dichiarò di credere ai presentimenti del futuro; invece il peripatetico Dicearco considerò veritieri soltanto i sogni e le profezie gridate in accessi di follìa, negò fede a ogni altro genere di divinazione e il mio intimo amico Cratippo, che io considero pari ai peripatetici più grandi, egualmente credette a quei due tipi di profezie, ripudiò tutti gli altri
Sed cum Stoici omnia fere illa defenderent, quod et Zeno in suis commentariis quasi semina quaedam sparsisset et ea Cleanthes paulo uberiora fecisset, accessit acerrumo vir ingenio, Chrysippus, qui totam de divinatione duobus libris explicavit sententiam uno praeterea de oraclis, uno de somniis; quem subsequens unum librum Babylonius Diogenes edidit, eius auditor, duo Antipater, quinque noster Posidonius

Sed a Stoicis vel princeps eius disciplinae, Posidoni doctor, discipulus Antipatri, degeneravit Panaetius, nec tamen ausus est negare vim esse divinandi, sed dubitare se dixit

Quod illi in aliqua re invitissumis Stoicis Stoico facere licuit, nos ut in reliquis rebus faciamus a Stoicis non concedetur
Ma avendo gli stoici difeso in generale ogni divinazione (poiché Zenone nelle sue opere aveva, per così dire, sparso qua e là i semi di questa dottrina e Cleante li aveva sviluppati alquanto), ecco sopraggiungere un uomo d'ingegno acutissimo, Crisippo, il quale espose tutta la dottrina della divinazione in due libri, e poi in un altro libro trattò degli oracoli, in un altro ancora dei sogni; dopo di lui scrisse un libro sulla divinazione Diogene di Babilonia suo discepolo, due Antipatro, cinque il mio Posidonio

Ma dagli stoici si discostò il maggior pensatore di quella scuola, Panezio, maestro di Posidonio, scolaro di Antipatro; tuttavia egli non si spinse fino a negare la validità della divinazione, ma dichiarò di dubitarne

Ciò che fu lecito di fare fino a un certo punto a lui, stoico, contro l'aspro dissenso degli altri stoici, gli stoici non concederanno di farlo a noi fino in fondo

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praesertim cum id, de quo Panaetio non liquet, reliquis eiusdem disciplinae solis luce videatur clarius

Sed haec quidem laus Academiae praestantissumi philosophi iudicio et testimonio comprobata est

Etenim nobismet ipsis quaerentibus quid sit de divinatione iudicandum, quod a Carneade multa acute et copiose contra Stoicos disputata sint, verentibusque ne temere vel falsae rei vel non satis cognitae adsentiamur, faciendum videtur ut diligenter etiam atque etiam argumenta cum argumentis comparemus, ut fecimus in iis tribus libris quos de natura deorum scripsimus
Tanto più che ciò di cui Panezio dubita, è considerato più chiaro della luce del sole dagli altri della stessa scuola

Ma questo titolo di merito dell'Accademia ha la conferma del giudizio e della testimonianza di un filosofo di gran valore

Io stesso mi sono chiesto quale giudizio si debba dare sulla divinazione, poiché Carneade aveva discusso a lungo contro gli stoici con acutezza e facondia, e ho temuto di dare il mio assenso con troppa facilità a una dottrina falsa o non sufficientemente approfondita; mi sembra dunque che il meglio sia mettere a confronto più e più volte, con attenzione, gli argomenti a favore e contro, come ho fatto nei tre libri Sulla natura degli dèi
Nam cum omnibus in rebus temeritas in adsentiendo errorque turpis est, tum in eo loco maxime, in quo iudicandum est quantum auspiciis rebusque divinis religionique tribuamus; est enim periculum, ne aut neglectis iis impia fraude aut susceptis anili superstitione obligemur

Quibus de rebus et alias saepe et paulo accuratius nuper, cum essem cum Q fratre in Tusculano, disputatum est

Nam cum ambulandi causa in Lyceum venissemus (id enim superiori gymnasio nomen est)

Perlegi, ille inquit, tuum paulo ante tertium de natura deorum, in quo disputatio Cottae quamquam labefactavit sententiam meam, non funditus tamen sustulit

Optime vero, inquam; etenim ipse Cotta sic disputata ut Stoicorum magis argumenta confutet quam hominum deleat religionem
In effetti, se in ogni questione è disonorevole la precipitosità nell'aderire a una tesi e l'uscire dalla retta via, tanto più lo è dove si tratta di giudicare quanta autorità dobbiamo attribuire agli auspicii, ai riti, alla religione: c'è infatti il pericolo di cadere o in un'empia aberrazione, se trascuriamo queste cose, o in una superstizione da vecchierelle, se le accettiamo

Di questi problemi ho discusso spesso, ma con particolare impegno recentemente, quando mi trovavo con mio fratello Quinto nella mia villa di Tusculo

Eravamo saliti al Liceo per passeggiare (così son solito chiamare il piano superiore del ginnasio)

Egli mi disse: Ho letto per intero, poco tempo addietro, il terzo libro del tuo Sulla natura degli dèi, nel quale la polemica che tu fai pronunciare a Cotta ha scosso la mia opinione, non l'ha tuttavia completamente annientata

Giustissimo, risposi; in verità Cotta svolge la sua discussione in modo da confutare gli argomenti degli stoici, senza per questo distruggere la religione degli uomini

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Tum Quintus: Dicitur quidem istuc, inquit, a Cotta, et vero saepius, credo, ne communia iura migrare videatur; sed studio contra Stoicos disserendi deos mihi videtur funditus tollere

Eius orationi non sane desidero quid respondeam; satis enim defensa religio est in secundo libro a Lucilio, cuius disputatio tibi ipsi, ut in extremo tertio scribis, ad veritatem est visa propensior

Sed, quod praetermissum est in illis libris (credo, quia commodius arbitratus es separatim id quaeri deque eo disseri), id est de divinatione, quae est earum rerum quae fortuitae putantur praedictio atque praesensio, id, si placet, videamus quam habeat vim et quale sit
E Quinto: Cotta lo dichiara, anzi lo ripete più volte, allo scopo, credo, di non esser preso per un trasgressore dei principii comuni a tutti; ma a me sembra che, per troppo zelo di polemizzare contro gli stoici, finisca col negare completamente gli dèi

Beninteso, non sento il bisogno di replicare al suo discorso: la religione è già stata difesa a sufficienza nel secondo libro da Lucilio Balbo, la cui trattazione tu stesso consideri più vicina alla verità, come dichiari alla fine del terzo libro

Ma c'è un argomento che è stato tralasciato in quei tre libri, perché, suppongo, hai ritenuto che fosse più opportuno indagarlo e discuterne a parte: la divinazione, cioè la predizione e il presentimento di quelle cose che si considerano effetto del caso; se sei d'accordo, vediamo quale potere essa abbia e quale natura

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