Cicerone, De divinationes: Libro 01 - Parte 01, pag 4

Cicerone, De divinationes: Libro 01 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 01 - Parte 01
Esto; fuerit hoc censoris, si iudicabat ementitum; at illud minime auguris, quod adscripsit ob ea causam populum Romanum calamitatem maxumam cepisse

Si enim ea causa calamitatis fuit, non in eo est culpa, qui obnuntiavit, sed in eo, qui non paruit

Veram enim fuisse obnuntiationem, ut ait idem augur et censor, exitus adprobavit; quae si falsa fuisset, nullam adferre potuisset causam calamitatis

Etenim dirae, sicut cetera auspicia, ut omina, ut signa, non causas adferunt, cur quid eveniat, sed nuntiant eventura, nisi provideris

Non igitur obnuntiatio Atei causam finxit calamitatis, sed signo obiecto monuit Crassum quid eventurum esset, nisi cavisset
Sia pure, ammettiamo che quello fosse il suo dovere di censore, se giudicava che Ateio avesse trasgredito quel divieto; ma non fece il suo dovere di àugure, dal momento che aggiunse per iscritto che per quella causa il popolo romano aveva subìto una gravissima sciagura

Se, infatti, fu quella la causa della sciagura, la colpa non va attribuita a chi la predisse, ma a chi non obbedì alla dissuasione

Che la dissuasione fosse giusta, come disse Appio, àugure e censore nello stesso tempo, fu dimostrato dagli eventi; se fosse stata falsa, Appio non avrebbe saputo addurre alcuna altra causa della sciagura

E in realtà le predizioni infauste, come gli altri auspicii, presagi, segni, non ci dicono le cause per cui qualcosa avverrà, ma ci annunziano che qualcosa di male avverrà se non correrai ai ripari

La premonizione di Ateio, dunque, non creò la causa della sventura, ma, mostrando il segno infausto, avvertì Crasso di che cosa sarebbe avvenuto se egli non avesse rinunciato ai suoi progetti
Ita aut illa obnuntiatio nihil valuit aut, si, ut Appius iudicat, valuit, id valuit, ut peccatum haereat non in eo qui monuerit, sed in eo qui non obtemperarit

Quid lituus iste vester, quod clarissumum est insigne auguratus, unde vobis est traditus

Nempe eo Romulus regiones direxìt tum, cum urbem condidit

Qui quidem Romuli lituus, id est incurvum et leviter a summo inflexu bacillum, quod ab eius litui, quo canitur, similitudine nomen invenit, cum situs esset in curia Saliorum, quae est in Palatio eaque defiagravisset, inventus est integer

Quid multis annis post Romulum, Prisco regnante Tarquinio, quis veterum scriptorum non loquitur quae sit ab Atto Navio per lituum regionum facta discriptio

Qui cum propter paupertatem sues puer pasceret
Dunque o quell'ammonimento non valeva niente, o, se valeva (e di ciò Appio era persuaso), la colpa doveva essere non di chi aveva ammonito, ma di chi non aveva obbedito

E quel vostro lituo, che è la più cospicua insegna degli àuguri, donde vi è stato tramandato

Fu con esso che Romolo tracciò le regioni del cielo quando fondò la città

Questo lituo di Romolo - cioè un bastoncino curvo e leggermente piegato nella parte superiore, che derivò questo suo nome dalla somiglianza col lituo, tromba di guerra - era conservato nella curia dei Salii, sul Palatino, e, quando essa fu distrutta dalle fiamme, fu ritrovato intatto

E ancora: c'è qualche scrittore antico che non racconti come, molti anni dopo Romolo, sotto il regno di Tarquinio Prisco, sia stata fatta da Atto Navio una ripartizione delle regioni celesti mediante il lituo

Costui era un povero ragazzo che menava al pascolo le scrofe
Una ex iis amissa, vovisse dicitur, si recuperasset, uvam se deo daturum, quae maxima esset in vinea

Itaque, sue inventa, ad meridiem spectans in vinea media dicitur constitisse, cumque in quattuor partis

Vineam divisisset trisque partis aves abdixissent, quarta parte, quae erat reliqua, in regiones distributa, mirabili magnitudine uvam, ut scriptum videmus, invenit

Qua re celebrata, cum vicini omnes ad eum de rebus suis referrent, erat in magno nomine et gloria

Ex quo factum est, ut eum ad se rex Priscus arcesseret

Cuius cum temptaret scientiam auguratus, dixit ei cogitare se quiddam; id possetne fieri, consuluit

Ille augurio acto posse respondit

Tarquinius autem dixit se cogitasse cotem novacula posse praecidi; tum Attum iussisse experiri
Si dice che, avendone perduta una, fece voto a un dio che, se l'avesse ritrovata, gli avrebbe offerto la più bella uva di una vigna che c'era lì

Trovata la scrofa, dicono, sostò in mezzo alla vigna, rivolto verso sud, e divise la vigna in quattro parti

Tre parti ricevettero dagli uccelli segni sfavorevoli; avendo allora distribuita in regioni la quarta parte restante, trovò (lo tramandano gli scrittori) dell'uva di meravigliosa grandezza

La cosa si seppe: tutto il vicinato si rivolgeva a lui per chieder consigli; aveva acquistato grande rinomanza e prestigio

Avvenne quindi che il re Tarquinio Prisco lo mandasse a chiamare

Desideroso di mettere alla prova le sue doti di àugure, il re gli disse che stava pensando a una cosa: gli chiese se questa cosa si poteva fare

Atto, dopo avere compiuto il rito augurale, gli rispose che era possibile

Tarquinio allora disse che aveva pensato alla possibilità di tagliare una cote con un rasoio, e ordinò ad Atto di provare a far ciò

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Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 03
Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 03

Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 02 - Parte 03

Ita cotem in comitium allatam inspectante et rege et populo novacula esse discissam

Ex eo evenit ut et Tarquinius augure Atto Navio uteretur et populus de suis rebus ad eum referret

Cotem autem illam et novaculam defossam in comitio supraque impositum puteal accepimus

Negemus omnia, comburamus annales, fiera haec esse dicamus, quidvis denique potius quam deos res humanas curare fateamur

Quid quod scriptum apud te est de Ti Graccho, nonne et augurum et haruspicum comprobat disciplinam

Qui cum tabernaculum vitio cepisset inprudens, quod inauspicato pomerium transgressus esset, comitia consulibus rogandis habuit

Nota res est et a te ipso mandata monumentis
Ed ecco che una pietra, portata nel comizio, alla presenza del re e del popolo fu spaccata con un rasoio

In seguito a ciò Tarquinio assunse Atto Navio come àugure, e il popolo andava a chiedergli consiglio per il da farsi

Quanto a quella pietra e al rasoio, furono deposti in una fossa scavata nel comizio, e tutt'intorno fu innalzato un parapetto: così si narra

Neghiamo pure tutto ciò, bruciamo gli annali, diciamo che son tutte finzioni, dichiariamo che tutto è possibile tranne che gli dèi si curino delle cose umane

Ma ciò che tu stesso hai scritto quanto a Tiberio Gracco non conferma la dottrina degli àuguri e degli arùspici

Egli per sbadataggine aveva posto la tenda augurale violando le leggi divine, perché aveva attraversato il pomerio senza prendere gli auspicii; e presiedette i comizi per eleggere i nuovi consoli

Che cosa accadde allora, è noto e tu stesso lo hai tramandato nella tua opera
Sed et ipse augur Ti Gracchus auspiciorum auctoritatem confessione errati sui comprobavit, et haruspicum disciplinae magna accessit auctoritas, qui recentibus comitiis in senatum introducti negaverunt iustum comitiorum rogatorem fuisse

Iis igitur adsentior, qui duo genera divinationum esse dixerunt, unum, quod particeps esset artis, alterum, quod arte careret

Est enim ars in iis, qui novas res coniectura persequuntur, veteres observatione didicerunt

Carent autem arte ii qui non ratione aut coniectura observatis ac notatis signis, sed concitatione quadam animi aut soluto liberoque motu futura praesentiunt, quod et somniantibus saepe contingit et non numquam vaticinantibus per furorem, ut Bacis Boeotius, ut Epimenides Cres, ut Sibylla Erythrea
Ma Tiberio Gracco, àugure egli stesso, avvalorò l'autorità degli auspicii confessando il proprio errore, e ne risultò molto accresciuto il prestigio della dottrina degli arùspici, i quali, fatti venire in senato poco dopo che si erano iniziati i comizi, dichiararono che colui che aveva presieduto i comizi non aveva agito secondo le regole

Io sono dunque d'accordo con quelli che hanno sostenuto l'esistenza di due generi di divinazione, l'uno partecipe dell'arte, l'altro estraneo all'arte

Si attengono all'arte coloro che interpretano per congettura i fatti nuovi, conoscono quelli vecchi per le osservazioni del passato

Sono invece privi d'arte coloro che presagiscono il futuro non con ragionamenti e congetture, in base ai segni osservati e registrati, ma in seguito a non so quale eccitazione psichica, per un moto dell'animo libero e sciolto dal raziocinio: ciò accade spesso in sogno, talvolta a quelli che gridano profezie in stato di esaltazione, come Bacide in Beozia, come Epimenide a Creta, come la Sibilla eritrea

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Cicerone, De divinationes: Libro 02 - Parte 05
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Latino: dall'autore Cicerone, opera De divinationes parte Libro 02 - Parte 05

Cuius generis oracla etiam habenda sunt, non ea quae aequatis sortibus ducuntur, sed illa quae instinctu divino adflatuque funduntur

Etsi ipsa sors contemnenda non est, si et auctoritatem habet vetustatis, ut eae sunt sortes, quas e terra editas accepimus; quae tamen ductae ut in rem apte cadant fieri credo posse divinitus

Quorum omnium interpretes, ut grammatici poetarum, proxime ad eorum, quos interpretantur, divinationem videntur accedere

Quae est igitur ista calliditas, res vetustate robustas calumniando velle pervertere

Non reperio causam

Latet fortasse obscuritate involuta naturae; non enim me deus ista scire, sed his tantum modo uti voluit
Di questo genere sono da considerare anche i responsi degli oracoli, non quelli che vengono dati mediante sorti pareggiate, ma quelli che vengono pronunciati per ispirazione e afflato divino

Tuttavia nemmeno le sorti sono da disprezzare, se sono anche autorevoli per la loro antichità, come quelle che, a quanto ci assicurano, sono state estratte dal terreno; se poi, tratte a caso, accade che formino un discorso di senso compiuto, credo che ciò possa attribuirsi a intervento divino

Gli interpreti di tali sorti, come i filologi interpreti dei poeti, sembrano, più di tutti, vicini alla natura di quegli dèi che essi interpretano

Che malizia è questa, dunque, di volere infirmare con cavilli cose che attingono forza dalla loro antichità

Non trovo una causa di questi fatti, ripetono

Probabilmente la causa è ascosa, sepolta nell'oscurità della Natura: ché la divinità non ha voluto che io sapessi queste cose, ma soltanto che me ne servissi
Utar igitur nec adducar aut in extis totam Etruriam delirare aut eandem gentem in fulgoribus errare aut fallaciter portenta interpretari, cum terrae saepe fremitus, saepe mugitus, saepe motus multa nostrae rei publicae, multa ceteris civitatibus gravia et vera praedixerint

Quid qui inridetur partus hic mulae nonne, quia fetus exstitit in sterilitate naturae, praedictus est ab haruspicibus incredibilis partus malorum

Quid Ti Gracchus Publi filius, qui bis consul et censor fuit, idemque et summus augur et vir sapiens civisque praestans, nonne

Ut C Gracchus, filius eius, scriptum reliquit, duobus anguibus domi comprehensis haruspices convocavit
Dunque me ne servirò, e non mi lascerò indurre a credere che, quanto ai presagi delle viscere, l'Etruria tutta sragioni, né che quel popolo si sbagli riguardo ai fulmini, né che interpreti falsamente i prodigi, poiché tante volte i rumori e i boati sotterranei e i terremoti hanno predetto al nostro Stato e alle altre genti molti fatti gravi e veri

E ancora: questo famoso parto di una muta, che viene deriso, non è stato dichiarato dagli arùspici eccezionale parto di sventure, proprio perché in un organo genitale sterile si era formato un feto

E Tiberio Gracco figlio di Publio, che fu due volte console e censore e àugure di grande autorità e uomo saggio e cittadino esemplare, non chiamò forse gli arùspici perché aveva trovato in casa sua una coppia di serpenti

Ce ne ha lasciato notizia scritta suo figlio Gaio Gracco

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Qui cum respondissent, si marem emisisset, uxori brevi tempore esse moriendum, si feminam, ipsi, aequius esse censuit se maturam oppetere mortem quam P Africani filia adulescentem; feminam emisit, ipse paucis post diebus est mortuus

Inrideamus haruspices, vanos, futtiles esse dicamus quorumque disciplinam et sapientissimus vir et eventus ac re comprobavit contemnamus

[Condemnemus] etiam Babylonem et eos qui e Caucaso caeli signa servantes numeris motibus stellarum cursus persequuntur

Condemnemus, in quam, hos aut stultitiae aut vanitatis aut impudentiae, qui quadringenta septuaginta milia annorum, ut ipsi dicunt, monumentis comprehensa continenti et mentiri iudicemus ne saeculorum reliquorum iudicium, quod de ipsis futurum sit pertimescere
Gli arùspici risposero che, se avesse lasciato andar via il serpente maschio, entro breve tempo sarebbe morta sua moglie; se la femmina, sarebbe morto lui, Considerò più giusto morire lui, già arrivato vicino al termine della vita, piuttosto che sua moglie, figlia ancor giovane di Publio Scipione Africano: lasciò andar via il serpente femmina, e pochi giorni dopo morì

Deridiamo pure gli arùspici, chiamiamoli ciurmadori e sciocchi, spregiamo la loro dottrina che pur fu dimostrata vera da un uomo di somma sapienza e da ciò che in effetti gli accadde

Condanniamo anche i Babilonesi e coloro che, osservando gli astri dall'alto del Caucaso, coi loro calcoli indagano i movimenti delle stelle

Condanniamoli, dico, per stoltezza o leggerezza o malafede, essi che, per loro stessa dichiarazione, conservano le registrazioni scritte riguardanti anni, e sentenziamo che mentiscono e non temono il giudizio che su di loro pronunceranno i secoli futuri
Age, barbari vani atque fallaces; num etiam Graiorum historia mentita est

quae Croeso Pythius Apollo, ut de naturali divinatione dicam, quae Atheniensibu quae Lacedaemoniis, quae Tegeatis, quae Argivis, quae Corinthiis responderit, quis ignorat

Conlegit innumerabilia oracula Chrysippus nec ullum sine locuplete auctore atque teste

Quae, quia nota tibi sunt, relinquo

Defendo unum hoc numquam illud oraclum Delphis tam celebre et tam clarum fuisset neque tantis donis refertum omnium populorum atque regum, nisi omnis aetas oraclorum illorum veritatem esse experta

Idem iam diu non facit

Ut igitur nunc minore gloria est, quia minus oraculorum veritas excellit, sic tum, nisi summa veritate, in tanta gloria non fuisset
Ma, si dirà, i barbari sono infidi e mentitori; è intessuta di menzogna anche la storia dei greci

Chi non sa - parlo della divinazione naturale - i responsi dati da Apollo delfico a Creso, e poi ancora agli ateniesi, agli spartani, ai tegeati, agli argivi, ai corinzi

Crisippo raccolse innumerevoli oracoli, ciascuno con copiose testimonianze e documenti

Poiché li conosci, non sto a enumerarli

Questa cosa sola voglio asserire: l'oracolo di Delfi non sarebbe mai stato così frequentato e così famoso, né arricchito di così splendidi doni di tutti i popoli e i re, se in ogni tempo non si fosse sperimentata la veridicità dei suoi responsi

Ma, dicono, già da tempo non si comporta più così

Ebbene, come adesso gode minore fama perché la verità delle sue profezie è meno insigne, così allora non avrebbe raggiunto una fama così grande se non in virtù della sua somma veridicità

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Potest autem vis illa terrae, quae mentem Pythiae divino adflatu concitabat, evanuisse vetustate, ut quosdam evanuisse et exaruisse amnes aut in alium cursum contortos et deflexos videmus

Sed ut vis acciderit (magna enim quaestio est), modo maneat id quod negari non potest nisi omnem historiam perverterimus: multis saeclis verax fuisse id oraculum

Sed omittamus oracula, veniamus ad somnia

De quibus disputans Chrysippus, multis et minutis somniis configendis, facit idem quod Antipater, ea conquirens quae, Antiphontis interpretatione esplicata, declarant illa quidem acumen interpretis, sed exemplis grandioribus decuit uti
Può darsi, del resto, che quella potenza, emanante dalla terra, che investiva di afflato divino la mente della sacerdotessa, si sia affievolita col passare del tempo, allo stesso modo in cui vediamo che certi fiumi sono svaporati e si sono inariditi, o hanno cambiato direzione e si sono avviati per un itinerario diverso dal precedente

Scegli pure l'ipotesi che preferisci (poiché si tratta di una questione molto incerta), a condizione che rimanga fermo ciò che non può esser negato se non vogliamo sovvertire tutta la storia: per molti secoli quell'oracolo fu verace

Ma lasciamo stare gli oracoli, veniamo ai sogni

Nel trattare di essi Crisippo, raccogliendo molti sogni anche di scarsa importanza, segue lo stesso sistema a cui si è attenuto poi Antipatro, cioè indaga quelli che, spiegati mediante l'interpretazione di Antifonte, rivelano, certo, l'acume dell'Interprete; ma meglio sarebbe stato ricorrere a esempi di maggior rilievo

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