Livio, Ab urbe condita: Libro 10, 16-34, pag 3

Livio, Ab urbe condita: Libro 10, 16-34

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 10, 16-34
Auertit ab eis curis senatum Etruriae ingrauescens bellum et crebrae litterae Appi monentis ne regionis eius motum neglegerent: quattuor gentes conferre arma, Etruscos, Samnites, Umbros, Gallos; iam castra bifariam facta esse, quia unus locus capere tantam multitudinem non possit A distogliere il senato da questi problemi furono la guerra in Etruria, che stava diventando sempre più preoccupante, e i frequenti messaggi di Appio che consigliava con insistenza di non trascurare i moti di quella regione: quattro popoli - Etruschi, Sanniti, Umbri e Galli - stavano unendo le proprie forze, e avevano già posto due accampamenti distinti, perché un unico campo non era in grado di contenere tutta quella massa di armati
Ob haec et - iam appetebat tempus - comitiorum causa L Volumnius consul Romam reuocatus; qui priusquam ad suffragium centurias uocaret, in contionem aduocato populo multa de magnitudine belli Etrusci disseruit: iam tum, cum ipse ibi cum collega rem pariter gesserit, fuisse tantum bellum ut nec duce uno nec exercitu geri potuerit; accessisse postea dici Umbros et ingentem exercitum Gallorum; aduersus quattuor populos duces consules illo die deligi meminissent

Se, nisi confideret eum consensu populi Romani consulem declaratum iri qui haud dubie tum primus omnium ductor habeatur, dictatorem fuisse extemplo dicturum
Per questo motivo, e anche per presiedere le elezioni (la data era già alle porte), venne richiamato a Roma il console Lucio Volumnio; questi, prima di chiamare le centurie al voto, dopo aver convocato l'assemblea generale, pronunciò un lungo discorso sulla gravità della guerra in Etruria; disse che fino a quel momento, fino a quando cioè aveva gestito insieme al collega la campagna in Etruria, la guerra era stata così dura, che per sostenerla non erano stati sufficienti un unico comandante e un unico esercito; in séguito, stando a quanto si diceva, si erano aggiunti gli Umbri e i Galli con un grosso esercito; tenessero bene a mente, quindi, che quel giorno venivano scelti i consoli destinati a fronteggiare quei quattro popoli

Personalmente, se non fosse stato convinto che il voto del popolo stava per designare al consolato l'uomo che in quel momento era giudicato senza alcun dubbio il miglior generale a disposizione, lo avrebbe nominato immediatamente dittatore
[22] Nemini dubium erat quin Fabius quintum omnium consensu destinaretur; eumque et praerogatiuae et primo uocatae omnes centuriae consulem cum L Volumnio dicebant

Fabi oratio fuit, qualis biennio ante; deinde, ut uincebatur consensu, uersa postremo ad collegam P Decium poscendum: id senectuti suae adminiculum fore

Censura duobusque consulatibus simul gestis expertum se nihil concordi collegio firmius ad rem publicam tuendam esse

Nouo imperii socio uix iam adsuescere senilem animum posse; cum moribus notis facilius se communicaturum consilia
[22] Nessuno dubitava che Fabio sarebbe stato eletto all'unanimità per la quinta volta: e infatti le centurie prerogative e quelle chiamate al voto per prime lo avevano nominato console insieme a Lucio Volumnio

E Fabio pronunciò un discorso simile a quello di due anni prima; poi, visto che nulla poteva contro il volere unanime del popolo, chiese infine che gli fosse assegnato come collega Publio Decio: sarebbe stato un sostegno per la sua vecchiaia

Nella censura e in due consolati condotti insieme aveva avuto modo di sperimentare come nulla fosse più utile agli interessi dello Stato che l'armonia tra i colleghi

Il suo temperamento di vecchio avrebbe fatto fatica ad abituarsi a un nuovo compagno di comando; con una persona già nota sarebbe stato invece più facile concordare le strategie di guerra

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Livio, Ab urbe condita: Libro 38; 51 - 55
Livio, Ab urbe condita: Libro 38; 51 - 55

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 38; 51 - 55

Subscripsit orationi eius consul cum meritis P Deci laudibus, tum quae ex concordia consultum bona quaeque ex discordia mala in administratione rerum militarium euenirent memorando, quam prope ultimum discrimen suis et collegae certaminibus nuper uentum foret admonendo: Decium Fabiumque qui uno animo, una mente uiuerent esse praeterea uiros natos militiae, factis magnos, ad uerborum linguaeque certamina rudes

Ea ingenia consularia esse: callidos sollertesque, iuris atque eloquentiae consultos, qualis Ap Claudius esset, urbi ac foro praesides habendos praetoresque ad reddenda iura creandos esse

His agendis dies est consumptus

Postridie ad praescriptum consulis et consularia et praetoria comitia habita
Il console si dichiarò d'accordo con le parole di Fabio, elogiando Publio Decio per i suoi effettivi meriti, insistendo sui vantaggi che derivano dall'armonia tra i consoli nella gestione delle campagne militari e sui danni che nascono dal loro disaccordo, e ancora ricordando come poco tempo prima si fosse giunti a un passo dal disastro proprio per la divergenza di vedute tra lui e il collega; Decio e Fabio avevano invece un solo cuore e una sola mente, e poi erano uomini nati per la vita militare, grandi nell'azione e poco portati agli scontri a base di lingua e parole

Queste sì erano personalità tagliate per la carica di console: i furbi e gli scaltri, gli esperti di diritto e di eloquenza, come Appio Claudio, bisognava tenerli per il governo della città e per la vita pubblica, per l'elezione dei pretori deputati all'amministrazione della giustizia

L'intera giornata trascorse in questi discorsi

Il giorno successivo le elezioni di consoli e pretori si tennero secondo le disposizioni del console
Consules creati Q Fabius et P Decius, Ap Claudius praetor, omnes absentes; et L Volumnio ex senatus consulto et scito plebis prorogatum in annum imperium est

[23] Eo anno prodigia multa fuerunt, quorum auerruncandorum causa supplicationes in biduum senatus decreuit; publice uinum ac tus praebitum; supplicatum iere frequentes viri feminaeque

Insignem supplicationem fecit certamen in sacello Pudicitiae Patriciae, quae in foro bouario est ad aedem rotundam Herculis, inter matronas ortum

Verginiam Auli filiam, patriciam plebeio nuptam, L Volumnio consuli, matronae quod e patribus enupsisset sacris arcuerant
pur essendo tutti assenti, vennero eletti consoli Quinto Fabio e Publio Decio, pretore Appio Claudio; in base a un decreto del senato e a una deliberazione della plebe, a Lucio Volumnio venne prorogato il comando delle truppe per un anno

[23] Nel corso dell'anno si verificarono molti prodigi; per evitarne le possibili conseguenze, il senato decretò due giorni di suppliche: vennero offerti a spese dell'erario vino e incenso, mentre uomini e donne andarono in massa a supplicare gli dèi

Quella supplica rimase nelle cronache per una lite scoppiata tra le matrone all'interno del santuario della Pudicizia patrizia, situato nel foro Boario in prossimità del tempio rotondo di Ercole

Le matrone avevano escluso dalla partecipazione ai riti sacri Virginia, figlia di Aulo, una patrizia moglie di un plebeo, il console Lucio Volumnio, perché, celebrato il matrimonio, non faceva più parte del patriziato

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Livio, Ab urbe condita: Libro 25; 21-30
Livio, Ab urbe condita: Libro 25; 21-30

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 25; 21-30

Breuis altercatio inde ex iracundia muliebri in contentionem animorum exarsit, cum se Verginia et patriciam et pudicam in Patriciae Pudicitiae templum ingressam, ut uni nuptam ad quem virgo deducta sit, nec se viri honorumue eius ac rerum gestarum paenitere vero gloriaretur

Facto deinde egregio magnifica verba adauxit

In uico Longo ubi habitabat, ex parte aedium quod satis esset loci modico sacello exclusit aramque ibi posuit et conuocatis plebeiis matronis conquesta iniuriam patriciarum, 'hanc ego aram' inquit 'Pudicitiae Plebeiae dedico; uosque hortor ut, quod certamen uirtutis uiros in hac ciuitate tenet, hoc pudicitiae inter matronas sit detisque operam ut haec ara quam illa, si quid potest, sanctius et a castioribus coli dicatur
Ne nacque un breve screzio che, per colpa dell'irascibilità tipica delle donne, si trasformò in una violenta lite: Virginia a buon diritto si vantava di essere entrata da patrizia e casta nel santuario della Pudicizia patrizia, in quanto sposata a un solo uomo in casa del quale era stata condotta ancor vergine, e di non aver alcun motivo di vergognarsi del marito, né della sua carriera e né dei suoi successi in campo militare

A queste parole piene di orgoglio fece seguire un gesto bizzarro

nel suo palazzo di via Lunga - dove abitava -, fece ricavare uno spazio sufficiente alla costruzione di un tempietto, vi collocò un altare e, convocate le matrone plebee, lamentandosi dell'affronto subito dalle matrone patrizie, disse: Consacro quest'altare alla Pudicizia plebea e vi esorto affinché alla competizione di valori che in questa città tiene impegnati gli uomini corrisponda, tra le donne, un confronto in materia di pudicizia, e vi invito a impegnarvi a fondo perché questo altare venga onorato in maniera più conforme alla religione e da donne più caste, se è mai possibile, di quello patrizio
'eodem ferme ritu et haec ara quo illa antiquior culta est, ut nulla nisi spectatae pudicitiae matrona et quae uni uiro nupta fuisset ius sacrificandi haberet; volgata dein religio a pollutis, nec matronis solum sed omnis ordinis feminis, postremo in obliuionem uenit

Eodem anno Cn Et Q Ogulnii aediles curules aliquot feneratoribus diem dixerunt; quorum bonis multatis ex eo quod in publicum redactum est aenea in Capitolio limina et trium mensarum argentea uasa in cella Iouis Iouemque in culmine cum quadrigis et ad ficum Ruminalem simulacra infantium conditorum urbis sub uberibus lupae posuerunt semitamque saxo quadrato a Capena porta ad Martis strauerunt
L'altare venne in séguito venerato più o meno con lo stesso rituale di quello più antico, e non aveva diritto di compiervi sacrifici nessuna matrona che non fosse di specchiata castità e avesse contratto più di un matrimonio; col tempo il culto fu allargato anche alle donne che avevano perduto la castità, e non soltanto alle matrone, ma anche alle donne di ogni classe, fino a quando non cadde in disuso

Lo stesso anno gli edili curuli Gneo e Quinto Ogulnio citarono in giudizio alcuni usurai, condannati poi alla confisca di parte del patrimonio; col denaro che le casse dello Stato ricavarono vennero costruite le porte di bronzo del tempio di Giove Capitolino, le suppellettili d'argento di tre mense nella cella di Giove, il rilievo di Giove con le quadrighe sul frontone del tempio, nonché la statua dei gemelli fondatori di Roma sotto le mammelle della lupa, collocata nei pressi del fico Ruminale; venne inoltre lastricato con massi quadrati il marciapiede tra la porta Capena e il tempio di Marte

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 37; 16 - 20

Et ab aedilibus plebeiis L Aelio Paeto et C Fuluio Curuo ex multaticia item pecunia, quam exegerunt pecuariis damnatis, ludi facti pateraeque aureae ad Cereris positae

[24] Q Inde Fabius quintum et P Decius quartum consulatum ineunt, tribus consulatibus censuraque collegae, nec gloria magis rerum, quae ingens erat, quam concordia inter se clari

Quae ne perpetua esset, ordinum magis quam ipsorum inter se certamen intervenisse reor, patriciis tendentibus ut Fabius in Etruriam extra ordinem provinciam haberet, plebeiis auctoribus Decio ut ad sortem rem uocaret

Fuit certe contentio in senatu et, postquam ibi Fabius plus poterat, reuocata res ad populum est

In contione, ut inter militares uiros et factis potius quam dictis fretos, pauca verba habita
Anche gli edili plebei Lucio Elio Peto e Gaio Fulvio Curvo, utilizzando fondi costituiti con ammende comminate a persone che avevano appaltato terreni sotto vincolo, fecero allestire dei giochi e porre piatti d'oro nel tempio di Cerere

[24] Entrarono poi in carica Quinto Fabio (console per la quinta volta) e Publio Decio (per la quarta), che erano già stati colleghi in tre consolati e nella censura, celebri per l'armonia di rapporti più ancora che per la gloria militare, per altro ragguardevole

Ma a impedire che il clima di armonia durasse in perpetuo fu una divergenza di vedute, dovuta - a mio parere - più che a loro stessi alle rispettive classi sociali di provenienza: mentre i patrizi premevano perché a Fabio venisse assegnato il comando in Etruria con un provvedimento straordinario, i plebei spingevano Decio a esigere il sorteggio

Se ne discusse in senato e, quando fu chiaro che in quel contesto Fabio avrebbe avuto la meglio, si finì col ricorrere al giudizio del popolo

Di fronte all'assemblea, così come si addiceva a uomini d'armi abituati più ai fatti che alle parole, i consoli pronunciarono due brevi discorsi
Fabius, quam arborem conseuisset, sub ea legere alium fructum indignum esse dicere; se aperuisse Ciminiam siluam uiamque per deuios saltus Romano bello fecisse

Quid se id aetatis sollicitassent, si alio duce gesturi bellum essent

nimirum aduersarium se, non socium imperii legisse - sensim exprobrat - et inuidisse Decium concordibus collegis tribus

Postremo se tendere nihil ultra quam ut, si dignum provincia ducerent, in eam mitterent; in senatus arbitrio se fuisse et in potestate populi futurum
Fabio sosteneva non fosse giusto che altri raccogliesse i frutti dall'albero che lui aveva piantato: era stato lui a inaugurare la selva Ciminia e ad aprire la strada agli eserciti romani attraverso quegli scoscesi dirupi

Perché andarlo tanto a sollecitare, se poi intendevano gestire la guerra con un altro comandante

Si rimproverava di aver scelto un avversario, non un compagno nell'esercizio del comando, e rinfacciava a Decio di aver tradito lo spirito di concordia col quale essi avevano insieme condotto tre consolati

Concluse dicendo di non volere altro se non di essere inviato su quel fronte di guerra, qualora però lo ritenessero degno del comando; quanto a se stesso, si sarebbe rimesso alla volontà del popolo, così come si era rimesso a quella del senato

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P Decius senatus iniuriam querebatur: quoad potuerint, patres adnisos ne plebeiis aditus ad magnos honores esset; postquam ipsa uirtus peruicerit ne in ullo genere hominum inhonorata esset, quaeri quemadmodum inrita sint non suffragia modo populi sed arbitria etiam fortunae et in paucorum potestatem uertantur

Omnes ante se consules sortitos provincias esse: nunc extra sortem Fabio senatum provinciam dare, -- si honoris eius causa, ita eum de se deque re publica meritum esse ut faueat Q Fabi gloriae quae modo non sua contumelia splendeat

Cui autem dubium esse, ubi unum bellum sit asperum ac difficile, cum id alteri extra sortem mandetur, quin alter consul pro superuacaneo atque inutili habeatur
Publio Decio si lamentava dell'affronto subito da parte del senato, sostenendo che i patrizi si erano sforzati, finché era in loro potere, di impedire ai plebei l'accesso alle magistrature più importanti; ma poi, da quando i valori morali erano riusciti da soli a superare i pregiudizi sociali, gli ottimati cercavano il modo di eludere non solo il voto del popolo, ma anche le decisioni della sorte, vincolandola alla volontà arbitraria di pochi individui

Tutti i consoli che li avevano preceduti si erano divisi le zone di operazioni ricorrendo al sorteggio: adesso il senato affidava a Fabio il comando della campagna senza alcun sorteggio; se ciò era dovuto a un atto di onore nei suoi confronti, i meriti di quell'uomo nei riguardi dello Stato e di lui stesso erano così grandi, da essere pronto a favorirne la gloria, purché non risplendesse a spese del suo disonore

Infatti, quando ci si trovava di fronte a una guerra dura e difficile e la si affidava a uno dei due consoli senza il sorteggio, a chi poteva non venire in mente che l'altro console era considerato inutile e di troppo

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