Livio, Ab urbe condita: Libro 01, 46-60

Livio, Ab urbe condita: Libro 01, 46-60

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 01, 46-60

[46] Seruius quamquam iam usu haud dubie regnum possederat, tamen quia interdum iactari voces a iuvene Tarquinio audiebat se iniussu populi regnare, conciliata prius voluntate plebis agro capto ex hostibus viritim diviso, ausus est ferre ad populum vellent iuberentne se regnare; tantoque consensu quanto haud quisquam alius ante rex est declaratus

Neque ea res Tarquinio spem adfectandi regni minuit; immo eo impensius quia de agro plebis adversa patrum voluntate senserat agi, criminandi Serui apud patres crescendique in curia sibi occasionem datam ratus est, et ipse iuvenis ardentis animi et domi uxore Tullia inquietum animum stimulante
[46] Servio, col tempo e con l'uso, era ormai incontestabilmente padrone del potere; ciò nonostante, sentendo che il giovane Tarquinio continuava a mettere in circolazione la voce che il suo regno non aveva avuto il beneplacito del popolo, si conciliò prima il favore della plebe distribuendo a ciascun cittadino parte delle terre tolte ai nemici e poi ebbe il coraggio di chiamare il popolo a esprimere un voto di fiducia nei suoi confronti; fu un grande successo: mai nessun re prima di lui era stato eletto con una simile unanimità di consensi

Nemmeno questo episodio ridusse in Tarquinio la speranza di impadronirsi del regno; al contrario, essendosi reso conto che la distribuzione di terre alla plebe aveva incontrato l'opposizione dei senatori, capì di avere la possibilità di diffamare Servio presso di loro e di acquistare credito in senato (lui era un giovane impetuoso e di carattere inquieto e per di più, in casa, era incitato dalla moglie Tullia)
Tulit enim et Romana regia sceleris tragici exemplum, ut taedio regum maturior veniret libertas ultimumque regnum esset quod scelere partum foret

Hic L Tarquinius - Prisci Tarquini regis filius neposne fuerit parum liquet; pluribus tamen auctoribus filium ediderim - fratrem habuerat Arruntem Tarquinium mitis ingenii iuvenem

His duobus, ut ante dictum est, duae Tulliae regis filiae nupserant, et ipsae longe dispares moribus

Forte ita inciderat ne duo violenta ingenia matrimonio iungerentur fortuna, credo, populi Romani, quo diuturnius Serui regnum esset constituique civitatis mores possent
Così anche il palazzo reale di Roma fu teatro di un tragico fatto di sangue che accelerò, più della noia per la monarchia, l'avvento della libertà e fece sì che l'ultimo regno fosse il prodotto di un delitto

Questo Lucio Tarquinio - è poco chiaro se fosse il figlio o il nipote di Tarquinio Prisco, anche se la maggior parte degli storici propende per la prima tesi - aveva un fratello, Arrunte Tarquinio, giovane dal carattere piuttosto mite

Essi avevano sposato, come ho già detto, le due Tullie, figlie del re, ugualmente diversissime per temperamento

Caso volle che i due caratteri violenti non fossero finiti insieme (immagino perché la buona stella del popolo romano volle prolungare il regno di Servio e permettere che si consolidassero i fondamenti morali della società)
Angebatur ferox Tullia nihil materiae in viro neque ad cupiditatem neque ad audaciam esse; tota in alterum aversa Tarquinium eum mirari, eum virum dicere ac regio sanguine ortum: spernere sororem, quod virum nacta muliebri cessaret audacia

Contrahit celeriter similitudo eos, ut fere fit: malum malo aptissimum; sed initium turbandi omnia a femina ortum est
La più arrogante delle figlie di Tullio non poteva darsi pace che il marito non avesse un briciolo di ambizione e intraprendenza; di qui il suo essere tutta occhi e parole di ammirazione per l'altro Tarquinio, da lei definito un vero uomo e un autentico rampollo di re; di qui pure il suo disprezzo per la sorella, a sua detta responsabile di appiattire il marito con una totale assenza di iniziativa femminile

Presto, come sempre succede, l'affinità reciproca li avvicinò, dato che il male può solo attirare il male, anche se però fu la donna la responsabile prima di tutto l'intrigo

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Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 08 - 10

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 30; 08 - 10

Ea secretis viri alieni adsuefacta sermonibus nullis verborum contumeliis parcere de viro ad fratrem, de sorore ad virum; et se rectius viduam et illum caelibem futurum fuisse contendere, quam cum impari iungi ut elanguescendum aliena ignauia esset; si sibi eum quo digna esset di dedissent virum, domi se propediem visuram regnum fuisse quod apud patrem videat

Celeriter adulescentem suae temeritatis implet; Arruns Tarquinius et Tullia minor prope continuatis funeribus cum domos vacuas novo matrimonio fecissent, iunguntur nuptiis, magis non prohibente Seruio quam adprobante

[47] Tum vero in dies infestior Tulli senectus, infestius coepit regnum esse; iam enim ab scelere ad aliud spectare mulier scelus
Quest'ultima cominciò a vedersi in segreto col cognato e, durante questi incontri, non si esimeva dall'insultare il proprio marito (con il fratello di lui) e la propria sorella (con il marito di lei); il punto su cui batteva di più era questo: per lei sarebbe stato meglio essere senza marito e per il cognato sarebbe stato meglio essere celibe piuttosto che stare con persone di livello inferiore e vedersi costretti a languire per loro ignavia; se gli dèi le avessero fatto sposare l'uomo che meritava, non ci avrebbe messo molto a vedere nella sua casa il potere reale che ora vedeva in quella del padre

Si affretta così a instillare nel cuore del giovane l'audacia del suo progetto; grazie ai decessi di Tarquinio e Tullia a catena ebbero via libera in casa per celebrare un nuovo matrimonio; servio non si oppose alle nozze, ma non diede neppure il suo consenso

[47] Da quel momento in poi la vecchiaia e il regno di Tullio furono di giorno in giorno sempre più in pericolo; infatti, quella donna, dopo il primo delitto, non vedeva l'ora di commetterne un secondo
Nec nocte nec interdiu virum conquiescere pati, ne gratuita praeterita parricidia essent: non sibi defuisse cui nupta diceretur, nec cum quo tacita seruiret; defuisse qui se regno dignum putaret, qui meminisset se esse Prisci Tarquini filium, qui habere quam sperare regnum mallet

'Si tu is es cui nuptam esse me arbitror, et virum et regem appello; sin minus, eo nunc peius mutata res est quod istic cum ignauia est scelus

Quin accingeris

Non tibi ab Corintho nec ab Tarquiniis, ut patri tuo, peregrina regna moliri necesse est: di te penates patriique et patris imago et domus regia et in domo regale solium et nomen Tarquinium creat vocatque regem

Aut si ad haec parum est animi, quid frustraris civitatem

quid te ut regium iuvenem conspici sinis
Toglieva il fiato al marito giorno e notte perché non voleva che i suoi precedenti crimini rimanessero fini a se stessi: non le era certo mancato l'uomo di cui si potesse dire che lei era la moglie e la rassegnata compagna di sottomissione; le era mancato un uomo che si ritenesse degno del trono, che si ricordasse di esser figlio di Tarquinio Prisco e che preferisse avere il potere piuttosto che sperare di averlo

Se sei tu l'uomo che io credo di aver sposato, allora ti chiamo marito e re; se non lo sei, allora vuol dire che mi è andata di male in peggio perché in te oltre all'ignavia c'è anche la delinquenza

Perché non ti muovi

Non vieni mica da Tarquinia o da Corinto, come tuo padre, né devi andarti a conquistare un trono in terra straniera; gli dèi di casa e della patria, il ritratto di tuo padre, il palazzo reale e il trono che vi si trova all'interno, il nome Tarquinio, ogni cosa ti vuole e ti chiama re

E se poi non hai abbastanza fegato, perché mai inganni la gente

Perché lasci che guardino a te come a un erede al trono

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 30; 04 - 07

Facesse hinc Tarquinios aut Corinthum; deuoluere retro ad stirpem, fratri similior quam patri'

His aliisque increpando iuvenem instigat, nec conquiescere ipsa potest si, cum Tanaquil, peregrina mulier, tantum moliri potuisset animo ut duo continua regna viro ac deinceps genero dedisset, ipsa regio semine orta nullum momentum in dando adimendoque regno faceret

His muliebribus instinctus furiis Tarquinius circumire et prensare minorum maxime gentium patres; admonere paterni beneficii ac pro eo gratiam repetere; allicere donis iuvenes; cum de se ingentia pollicendo tum regis criminibus omnibus locis crescere

Postremo ut iam agendae rei tempus visum est, stipatus agmine armatorum in forum inrupit
Tornatene a Tarquinia o a Corinto, risali i rami del tuo albero genealogico, visto che sei più della pasta di tuo fratello che non di quella di tuo padre

Questo più o meno il sarcasmo con cui istigava il giovane; una cosa invece non le dava pace: com'era possibile che Tanaquil, pur essendo una straniera, fosse riuscita a brigare tanto da far salire al trono, uno dopo l'altro, prima il marito e poi il genero, e invece lei che era figlia di un re contava meno di zero negli stessi giochi di potere

Tarquinio, istigato dai furori della moglie, cominciò ad andare in giro in cerca di appoggio, specialmente presso i senatori del secondo ordine, ai quali, ricordando il gesto generoso del padre, faceva presente che era venuto il momento di ricambiarlo; riempiva di regali i giovani; così, sia grazie alle grandi promesse, sia grazie alla pessima pubblicità che faceva al re, la sua posizione acquistava credibilità a tutti i livelli

Alla fine, quando gli sembrò fosse tempo di agire, fece irruzione nel foro scortato da un drappello di armati
Inde omnibus perculsis pavore, in regia sede pro curia sedens patres in curiam per praeconem ad regem Tarquinium citari iussit

Conuenere extemplo, alii iam ante ad hoc praeparati, alii metu ne non venisse fraudi esset, novitate ac miraculo attoniti et iam de Seruio actum rati

Ibi Tarquinius maledicta ab stirpe ultima orsus: seruum seruaque natum post mortem indignam parentis sui, non interregno, ut antea, inito, non comitiis habitis, non per suffragium populi, non auctoribus patribus, muliebri dono regnum occupasse
Quindi, nello sbalordimento generale, prese posto sul trono di fronte alla curia e, tramite un araldo, fece comunicare ai senatori che si presentassero in senato al cospetto del re Tarquini

Essi arrivarono subito: alcuni già preparati alla cosa, altri temendo di incappare in spiacevoli conseguenze mancando all'appuntamento, tutti però sconcertati dalla novità senza precedenti e convinti che Servio fosse finito

Tarquinio allora, andando molto indietro nel tempo, accusò Servio di essere uno schiavo figlio di una schiava il quale, dopo la morte indegna di suo padre, era salito al trono grazie al regalo di una donna e non aveva rispettato la tradizione (e cioè l'interregno, la convocazione dei comizi, il voto del popolo e la ratifica dei senatori)

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 27; 44 - 46

Ita natum, ita creatum regem, fautorem infimi generis hominum ex quo ipse sit, odio alienae honestatis ereptum primoribus agrum sordidissimo cuique divisisse; omnia onera quae communia quondam fuerint inclinasse in primores civitatis; instituisse censum ut insignis ad inuidiam locupletiorum fortuna esset et parata unde, ubi vellet, egentissimis largiretur

[48] Huic orationi Seruius cum intervenisset trepido nuntio excitatus, extemplo a uestibulo curiae magna voce 'Quid hoc' inquit, 'Tarquini, rei est

qua tu audacia me uiuo vocare ausus es patres aut in sede considere mea
Con un simile albero genealogico e con una simile carriera politica alle spalle, aveva favorito le classi più abiette della società - cioè quelle dalle quali proveniva -, e per l'odio nei confronti di una classe alla quale non apparteneva, aveva tolto le proprietà terriere ai notabili per darle alla plebaglia; gli oneri fiscali prima equamente distribuiti li aveva addossati nella loro totalità sulle spalle dei più abbienti; aveva istituito il censo per convogliare l'invidia sulle fortune dei ricchi e per averle a portata di mano quando decideva di fare generose elargizioni ai nullatenenti

[48] Servio, svegliato di soprassalto da un messaggero, arrivò nel bel mezzo di questa tirata e, dall'ingresso della curia, gridò fortissimo: Che razza di storia è questa, Tarquinio

Avere il coraggio, con me vivo, di convocare i senatori e di sederti sul mio trono
' Cum ille ferociter ad haec - se patris sui tenere sedem; multo quam seruum potiorem filium regis regni heredem; satis illum diu per licentiam eludentem insultasse dominis - , clamor ab utriusque fautoribus oritur et concursus populi fiebat in curiam, apparebatque regnaturum qui vicisset

Tum Tarquinius necessitate iam et ipsa cogente ultima audere, multo et aetate et viribus ualidior, medium arripit Seruium elatumque e curia in inferiorem partem per gradus deiecit; inde ad cogendum senatum in curiam rediit

Fit fuga regis apparitorum atque comitum; ipse prope exsanguis cum sine regio comitatu domum se reciperet ab iis qui missi ab Tarquinio fugientem consecuti erant interficitur

Creditur, quia non abhorret a cetero scelere, admonitu Tulliae id factum
La risposta di Tarquinio fu estremamente insolente;disse che stava occupando il trono di suo padre, trono che era di gran lunga preferibile finisse in mano all'erede legittimo (cioè lui in persona) piuttosto che a uno schiavo e che Servio aveva già insultato e preso in giro abbastanza i suoi padroni; seguirono urla di consenso e di approvazione; intanto la gente stava affluendo in massa sul posto ed era chiaro che il potere sarebbe andato al vincitore di quel giorno

Allora Tarquinio, costretto dalla situazione a giocarsi il tutto per tutto, favorito dall'età e dalla maggiore vigoria fisica, afferrò Servio all'altezza della vita, lo sollevò da terra e, trascinandolo fuori, lo scaraventò giù dalle scale; quindi rientrò nella curia per evitare che i senatori si sparpagliassero

La scorta e il séguito del re se la diedero a gambe;quanto poi al re stesso, mentre quasi in fin di vita stava rientrando a palazzo senza il suo séguito abituale, fu raggiunto e assassinato dai sicari di Tarquinio, i quali lo avevano pedinato

Sembra (e non stride poi troppo coi suoi precedenti delinquenziali) che la cosa porti la firma di Tullia

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Carpento certe, id quod satis constat, in forum inuecta nec reuerita coetum virorum euocavit virum e curia regemque prima appellavit

A quo facessere iussa ex tanto tumultu cum se domum reciperet pervenissetque ad summum Cyprium vicum, ubi Dianium nuper fuit, flectenti carpentum dextra in Vrbium cliuum ut in collem Esquiliarum eueheretur, restitit pavidus atque inhibuit frenos is qui iumenta agebat iacentemque dominae Seruium trucidatum ostendit
Su questo, invece, non ci sono dubbi: ella, arrivata in senato col suo cocchio, per niente intimorita dalla gran massa di persone, chiamò fuori dalla curia il marito e fu la prima a conferirgli il titolo di re

Tarquinio la pregò di allontanarsi da quel trambusto pericoloso; allora Tullia, quando sulla via di casa arrivò in cima alla via Cipria (dove non molto tempo fa c'era il santuario di Diana), ordinò di piegare verso il Clivo Urbio e di portarla all'Esquilino; in quel momento il cocchiere bloccò la vettura con un colpo secco di redini e, pallido come uno straccio, indicò alla padrona il cadavere di Servio abbandonato per terra

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