Cicerone, De officiis: Libro 02 - Parte 01, pag 2

Cicerone, De officiis: Libro 02 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 02 - Parte 01
Ex quibus multisque aliis perspicuum est, qui fructus quaeque utilitates ex rebus iis, quae sint inanima, percipiantur, eas nos nullo modo sine hominum manu atque opera capere potuisse

Qui denique ex bestiis fructus aut quae commoditas, nisi homines adiuvarent, percipi posset

Nam et qui principes inveniendi fuerunt, quem ex quaque belua usum habere possemus, homines certe fuerunt, nec hoc tempore sine hominum opera aut pascere eas aut domare aut tueri aut tempestivos fructus ex iis capere possemus; ab eisdemque et eae, quae nocent, interficiuntur et, quae usui possunt esse, capiuntur

Quid enumerem artium multitudinem, sine quibus vita omnino nulla esse potuisset

Qui enim aegris subveniretur, quae esset oblectatio valentium, qui victus aut cultus, nisi tam multae nobis artes ministrarent quibus rebus exculta hominum vita tantum distat a victu et cultu bestiarum
Da questi e da molti altri esempi è evidente che quei frutti e quei vantaggi che si traggono dalle cose inanimate, non li avremmo mai potuti ottenere senza il lavoro manuale dell'uomo

Infine, qual frutto o qual vantaggio si sarebbe potuto ricavare dalle bestie, se gli uomini non ci aiutassero

Infatti furono certamente uomini coloro che per primi trovarono quale uso si potesse avere da ciascun animale, e ora senza l'opera dell'uomo non potremmo farli pascolare o domarli o custodirli o prenderne il frutto al momento opportuno; e sono gli uomini che uccidono gli animali dannosi e che catturano quelli che ci possono essere utili

A che enumerare il gran numero delle arti, senza le quali la vita dell'uomo non potrebbe affatto sussistere

Quale aiuto si darebbe ai malati, quale sollievo avrebbero i sani, quali potrebbero essere il vitto e il tenore di vita, se tante arti non ci fornissero quei mezzi dai quali la vita dell'uomo resa civile tanto lontana dal vitto e dal modo di vivere delle bestie
Urbes vero sine hominum coetu non potuissent nec aedificari nec frequentari, ex quo leges moresque constituti, tum iuris aequa discriptio certaque vivendi disciplina; quas res et mansuetudo animorum consecuta et verecundia est effectumque, ut esset vita munitior atque ut dando et accipiendo mutandisque facultatibus et commodis nulla re egeremus

Longiores hoc loco sumus quam necesse est

Quis est enim, cui non perspicua sint illa, quae pluribus verbis a Panaetio commemorantur, neminem neque ducem bello nec principem domi magnas res et salutares sine hominum studiis gerere potuisse

Commemoratur ab eo Themistocles, Pericles, Cyrus, Agesilaos, Alexander, quos negat sine adiumentis hominum tantas res efficere potuisse

Utitur in re non dubia testibus non necessariis
Le città, poi, senza l'unione degli uomini non avrebbero potuto essere né edificate né popolate: di lì furono stabilite le leggi e i costumi, l'equa ripartizione dei diritti e dei doveri e una regola sicura di vita; da ciò derivarono mitezza d'animo e pudore; ne risultarono anche una maggiore sicurezza di vita e il non mancar di nulla, col dare e con l'avere, con lo scambio e il prestito dei beni

Ma noi ci siamo dilungati su questo argomento più a lungo di quanto non fosse necessario

Chi è, infatti, colui al quale non siano evidenti quelle considerazioni sulle quali Panezio si dilungava con tante parole, cioè che nessun generale in guerra e nessun capo in pace abbia potuto mai compiere grandi e salutari imprese senza l'aiuto degli altri uomini

Egli ricorda Temistocle, Pericle, Ciro, Agesilao, Alessandro, e dice che essi non avrebbero potuto compiere imprese così grandi senza l'aiuto degli uomini

Ma egli fa ricorso, in una tesi indubitabile, a testimoni non necessari
Atque ut magnas utilitates adipiscimur conspiratione hominum atque consensu, sic nulla tam detestabilis pestis est, quae non homini ab homine nascatur

Est Dicaearchi liber de interitu hominum, Peripatetici magni et copiosi, qui collectis ceteris causis eluvionis, pestilentiae, vastitatis, beluarum etiam repentinae multitudinis, quarum impetu docet quaedam hominum genera esse consumpta, deinde comparat, quanto plures deleti sint homines hominum impetu, id est bellis aut seditionibus, quam omni reliqua calamitate

Cum igitur hic locus nihil habeat dubitationis, quin homines plurimum hominibus et prosint et obsint, proprium hoc statuo esse virtutis, conciliare animos hominum et ad usus suos adiungere
Come si ottengono grandi vantaggi con la collaborazione degli uomini e il loro consenso, così non vi è sciagura più funesta che non provenga all'uomo da un altro uomo

Sulla morte degli uomini c'è un libro di Dícearco, peripatetico famoso ed eloquente, che, dopo aver raccolto tutte le altre cause, come le alluvioni, pestilenze, devastazioni e anche gli improvvisi assalti delle belve i cui assalti egli ricorda distrussero alcune stirpi umane mette, poi, a confronto il numero di gran lunga maggiore degli uomini annientati dalla violenza degli altri uomini, cioè in guerre e in rivolte, che non da ogni altra calamità

Dal momento che questo punto non lascia sussistere alcun motivo di dubbio che gli uomini aiutino, ma anche ostacolino moltissimo gli altri uomini, ritengo proprietà della virtù conciliare gli animi degli uomini e trarli ai propri vantaggi

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Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 04
Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 04

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 01 - Parte 04

Itaque, quae in rebus inanimis quaeque in usu et tractatione beluarum fiunt utiliter ad hominum vitam, artibus ea tribuuntur operosis, hominum autem studia, ad amplificationem nostrarum rerum prompta ac parata, virorum praestantium sapientia et virtute excitantur Perciò quegli utili che si ricavano dalle cose inanimate e quelli che si ricavano dall'uso e dall'utilizzazione degli animali per la vita dell'uomo sono dispensati dalle arti manuali, mentre la saggezza e la virtù degli uomini superiori stimolano l'interesse degli altri uomini, pronto e disposto ad accrescere il benessere comune
Etenim virtus omnis tribus in rebus fere vertitur, quarum una est in perspiciendo, quid in quaque re verum sincerumque sit, quid consentaneum cuique, quid consequens, ex quo quaeque gignantur, quae cuiusque rei causa sit, alterum cohibere motus animi turbatos, quos Graeci pathe nominant, appetitionesque, quas illi hormas, oboedientes efficere rationi, tertium iis, quibuscum congregemur, uti moderate et scienter, quorum studiis ea, quae natura desiderat, expleta cumulataque habeamus, per eosdemque, si quid importetur nobis incommodi, propulsemus ulciscamurque eos, qui nocere nobis conati sint, tantaque poena adficiamus, quantam aequitas humanitasque patiatur

Quibus autem rationibus hanc facultatem assequi possimus, ut hominum studia complectamur eaque teneamus, dicemus, neque ita multo post, sed pauca ante dicenda sunt
Infatti ogni virtù è riposta, genericamente, in tre aspetti: il primo consiste nel vedere che cosa sia sincero e vero in qualsiasi azione, che cosa sia conveniente a ciascuno, quanto sia conseguente e quanto derivi da ciascuna cosa, quale ne sia la causa; il secondo consiste nel frenare le tumultuose passioni dell'animo, che i Greci chiamano patos, e rendere obbedienti alla ragione gli istinti , ormai , come essi dicono; il terzo consiste nel comportarsi in maniera moderata e riflessiva verso coloro coi quali conviviamo, a finché, col loro aiuto, possiamo ottenere in grande abbondanza quello che la natura richiede, ma anche per respingere, per mezzo di quegli stessi, quanto eventualmente ci rechi danno e per vendicarci di coloro che abbiano tentato di nuocerci, e per infligger loro una pena in quella misura che lo consentano la giustizia ed il senso d'umanità

Diremo, poi, e tra non molto in quali modi possiamo conseguire la capacità di conquistare e mantenere l'interesse degli uomini; ma prima devo dire poche cose

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Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01
Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 01

Magnam vim esse in fortuna in utramque partem, vel secundas ad res vel adversas, quis ignorat

Nam et cum prospero flatu eius utimur, ad exitus pervehimur optatos et cum reflavit, affligimur

Haec igitur ipsa fortuna ceteros casus rariores habet, primum ab inanimis procellas, tempestates, naufragia, ruinas, incendia, deinde a bestiis ictus, morsus, impetus

Haec ergo, ut dixi, rariora

At vero interitus exercituum, ut proxime trium, saepe multorum clades imperatorum, ut nuper summi et singularis viri, invidiae praeterea multitudinis atque ob eas bene meritorum saepe civium expulsiones, calamitates, fugae, rursusque secundae res, honores, imperia, victoriae, quamquam fortuita sunt, tamen sine hominum opibus et studiis neutram in partem effici possunt
Chi ignora la gran forza della fortuna in un senso e nell'altro, così nelle avversità come nella prosperità

Infatti quan do godiamo del suo soffio favorevole, perveniamo alle mete desiderate, e quando ci soffia contro siamo sballottati

Gli altri casi della fortuna, dunque, sono più rari, in primo luogo quelli dipendenti dalle cose inanimate, come procelle, tempeste, naufragi, distruzioni, incendi, poi quelli causati dalle belve, colpi, morsi, assalti

Ma tutti questi accidenti sono come ho detto piuttosto rari

Ma stragi di eserciti come recentemente di tre frequenti uccisioni di generali, come poco fa di quel sommo ed eccezionale uomo, inoltre l'odiosità della folla e a causa di ciò le frequenti espulsioni di cittadini meritevoli, le disgrazie, le fughe e, d'altra parte, gli avvenimenti favorevoli, le cariche civili, i comandi militari, le vittorie, benche siano fortuite, tuttavia non possono accadere né in un, caso né nell 'altro senza i mezzi e le intenzioni degli uomini
Hoc igitur cognito dicendum est, quonam modo hominum studia ad utilitates nostras allicere atque excitare possimus

Quae si longior fuerit oratio cum magnitudine utilitatis comparetur; ita fortasse etiam brevior videbitur

Quaecumque igitur homines homini tribuunt ad eum augendum atque honestandum, aut benivolentiae gratia faciunt, cum aliqua de causa quempiam diligunt, aut honoris, si cuius virtutem suspiciunt quemque dignum fortuna quam amplissima putant, aut cui fidem habent et bene rebus suis consulere arbitrantur, aut cuius opes metuunt, aut contra, a quibus aliquid exspectant, ut cum reges popularesve homines largitiones aliquas proponunt, aut postremo pretio ac mercede ducuntur, quae sordidissima est illa quidem ratio et inquinatissima et iis, qui ea tenentur, et illis, qui ad eam confugere conantur
Assodato questo si deve dire in qual modo possiamo risvegliare e attrarre gli interessi degli uomini verso il nostro utile

Se il discorso sarà troppo lungo, lo si confronti con la grandezza dell'utile; così, forse, parrà anche troppo breve

Qualsiasi servigio l'uomo presti all'uomo per aumentarne il prestigio e la dignità, o è reso per benevolenza amandosi qualcuno per qualche motivo, o a fine di onore, allorché si osserva il valore di qualcuno e lo si ritiene degno della miglior fortuna possibile; oppure lo si fa a qualcuno in cui si ha fiducia, e cosi si crede di ben provvedere ai propri interessi, o a qualcuno la cui potenza incute timore, o, invece, a qualcuno da cui ci si aspetta qualche favore come quando i re e i demagoghi promettono qualche elargizione, o, da ultimo, uomo può essere attratto dal lucro e dalla mercede, motivo, invero, quanto mai vergognoso ed abietto sia per chi si faccia prendere da esso, sia per chi tenti di ricorrervi

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Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 02
Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 02

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 02

Male enim se res habet, cum quod virtute effici debet, id temptatur pecunia

Sed quoniam non numquam hoc subsidium necessarium est, quemadmodum sit utendum eo dicemus, si prius iis de rebus, quae virtuti propriores sunt, dixerimus

Atque etiam subiciunt se homines imperio alterius et potestati de causis pluribus

Ducuntur enim aut benivolentia aut beneficiorum magnitudine aut dignitatis praestantia aut spe sibi id utile futurum aut metu ne vi parere cogantur aut spe largitionis promissisque capti aut postremo, ut saepe in nostra re publica videmus, mercede conducti

Omnium autem rerum nec aptius est quicquam ad opes tuendas ac tenendas quam diligi nec alienius quam timeri

Praeclare enim Ennius Quem metuunt oderunt; quem quisque odit, perisse expetit

Multorum autem odiis nullas opes posse obsistere, si antea fuit ignotum, nuper est cognitum
E' male, difatti quando si ottiene col denaro quello che si dovrebbe ottenere con la virtù

Ma poiché questo mezzo è talvolta necessario, dirà in quale modo ci si debba servire di esso, dopo aver parlato di quelle azioni che sono più vicine alla virtù

Inoltre gli uomini si sottomettono al volere e al potere di un altro uomo per più d'un motivo

Sono spinti a ciò o dalla benevolenza o dalla grandezza dei benefici, o dalla superiorità del rango sociale o dalla speranza di ottenere qualche utile o per paura d'essere costretti ad obbedire con la violenza o allettati dalla speranza d'un donativo e da varie promesse o, infine, indotti dal denaro, come spesso abbiamo visto nel nostro Stato

Fra tutti questi mezzi nessuno è più adatto a difendere e a conservare il potere dell'essere amati e nessuno è più contrario dell'essere temuti

Benissimo, infatti, dice Ennio:odiano colui che temono, e colui che ciascuno odia desidera che perisca

Si è visto poco tempo fa, se prima non lo si sapeva, che nessun potere può resistere all'odio di molti
Nec vero huius tyranni solum, quem armis oppressa pertulit civitas ac paret cum maxime mortuo interitus declarat, quantum odium hominum valeat ad pestem, sed reliquorum similes exitus tyrannorum, quorum haud fere quisquam talem interitum effugit

Malus enim est custos diuturnitatis metus contraque benivolentia fidelis vel ad perpetuitatem

Sed iis, qui vi oppressos imperio coercent, sit sane adhibenda saevitia, ut eris in famulos, si aliter teneri non possunt; qui vero in libera civitate ita se instruunt, ut metuantur, iis nihil potest esse dementius

Quamvis enim sint demersae leges alicuius opibus, quamvis timefacta libertas, emergunt tamen haec aliquando aut iudiciis tacitis aut occultis de honore suffragiis

Acriores autem morsus sunt intermissae libertatis quam retentae
E non solo di questo tiranno, che la città sopportò, pur oppressa dalle sue armi, la morte dimostra quanto l'odio degli uomini valga a far cadere in rovina, ma anche la fine simile degli altri tiranni, quasi nessuno dei quali riuscì a sfuggire ad una simile morte

La paura, difatti, è una cattiva sorvegliante di un prolungato dominio, mentre la benevolenza è fedele custode e lo fa durare addirittura in eterno

Coloro che esercitano il comando opprimendo i cittadini con la forza, impieghino pure la crudeltà, come i padroni nei confronti degli schiavi, se non possono governarli in nessun altro modo;ma quelli che, in una libera città, si pre parano a farsi temere, raggiungono il massimo della follia

Benché le leggi siano conculcate dalla potenza di un uomo e la libertà sia intimidita, tuttavia sia le une che l'altra emergono di quando in quando o in taciti giudizi o nelle elezioni segrete per qualche carica

Più penetranti sono i morsi della libertà perduta che non di quella costantemente mantenuta

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Quod igitur latissime patet neque ad incolumitatem solum, sed etiam ad opes et potentiam valet plurimum, id amplectamur, ut metus absit, caritas retineatur

Ita facillime quae volemus et privatis in rebus et in re publica consequemur

Etenim qui se metui volent, a quibus metuentur, eosdem metuant ipsi necesse est

Quid enim censemus superiorem illum Dionysium quo cruciatu timoris angi solitum, qui cultros metuens tonsorios candente carbone sibi adurebat capillum

quid Alexandrum Pheraeum quo animo vixisse arbitramur
Accogliamo questa considerazione, che ha una vastissima applicazione e non vale solo per l'incolumità dei cittadini, ma soprattutto per la ricchezza e la potenza, e cioè di tener lontano il timore e conservare la benevolenza dei cittadini

Così con grandissima facilità otterremo ciò che vorremo sia negli affari privati che nella vita pubblica

Giacché coloro che vogliono essere temuti, necessariamente devono essi stessi, a loro volta, a temere quegli stessi dei quali dovrebbero essere temuti

E che:Possiamo noi comprendere da qual tormentoso timore veniva di solito assalito il famoso Dionigi il Vecchio, che temendo il rasoio del barbiere si bruciava da sé la barba con un tizzone ardente

E che, con quale animo pensiamo che sia vissuto Alessandro di Fere

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