Indulgentiae scio istud esse, non iudici; et si modo iudici est, indulgentia tibi imposuit Sed qualescumque sunt, tu illos sic lege tamquam verum quaeram adhuc, non sciam, et contumaciter quaeram Non enim me cuiquam emancipavi, nullius nomen fero; multum magnorum virorum iudicio credo, aliquid et meo vindico Nam illi quoque non inventa sed quaerenda nobis reliquerunt, et invenissent forsitan necessaria nisi et supervacua quaesissent Multum illis temporis verborum cavillatio eripuit, captiosae disputationes quae acumen irritum exercent Nectimus nodos et ambiguam significationem verbis illigamus ac deinde dissolvimus: tantum nobis vacat iam vivere, iam mori scimus Tota illo mente pergendum est ubi provideri debet ne res nos, non verba decipiant |
So che questa richiesta è dettata da benevolenza, non da un giudizio ponderato; e se pure nasce da un giudizio, te lo ha imposto la tua indulgenza Ma quali che siano, tu leggili tenendo presente che ancòra cerco la verità: non la posseggo e la cerco ostinatamente Non mi sono fatto servo di nessuno, non porto il nome di nessuno; ho stima dell'opinione di molti grandi uomini, ma rivendico qualche diritto anche al mio pensiero Loro stessi ci hanno lasciato verità non ancora scoperte, da ricercare, e avrebbero trovato forse le spiegazioni necessarie, se non avessero ricercato anche quelle superflue Hanno sottratto loro molto tempo le conversazioni cavillose e le dispute capziose, vano esercizio di acutezza Intrecciamo nodi e leghiamo alle parole significati ambigui e poi li sciogliamo: abbiamo proprio tanto tempo Sappiamo ormai vivere, sappiamo morire Dobbiamo cercare con tutta la nostra intelligenza di non farci ingannare non tanto dalle parole, quanto dalle cose |
Quid mihi vocum similitudines distinguis, quibus nemo umquam nisi dum disputat captus est Res fallunt: illas discerne Pro bonis mala amplectimur; optamus contra id quod optavimus; pugnant vota nostra cum votis, consilia cum consilis Adulatio quam similis est amicitiae Non imitatur tantum illam sed vincit et praeterit; apertis ac propitiis auribus recipitur et in praecordia ima descendit, eo ipso gratiosa quo laedit: doce quemadmodum hanc similitudinem possim dinoscere Venit ad me pro amico blandus inimicus; vitia nobis sub virtutum nomine obrepunt: temeritas sub titulo fortitudinis latet, moderatio vocatur ignavia, pro cauto timidus accipitur In his magno periculo erramus: his certas notas imprime |
Perché fare distinzione tra parole simili, da cui nessuno è tratto in inganno, se non in una disputa la realtà che ci inganna; qui servono le distinzioni Noi abbracciamo il male credendolo il bene; formuliamo desideri contrari a quelli precedenti; le nostre preghiere, le nostre decisioni sono in contrasto tra loro Quanto è simile l'adulazione all'amicizia Non solo la imita, ma la vince e la supera; trova orecchie ben disposte e pronte a recepirla, e scende nel più profondo dell'anima, resa gradita proprio da ciò che reca danno: insegnami come posso distinguerle nonostante la loro somiglianza Mi si presenta un nemico pieno di lusinghe spacciandosi per amico; si insinuano in noi i vizi sotto l'apparenza di virtù: la temerità si nasconde sotto le spoglie del valore, l'ignavia si chiama moderazione, il vile viene considerato prudente Questi errori di giudizio rappresentano per noi un grave pericolo: su queste false apparenze imprimi un marchio sicuro |
Ceterum qui interrogatur an cornua habeat non est tam stultus ut frontem suam temptet, nec rursus tam ineptus aut hebes ut nesciat nisi tu illi subtilissima collectione persuaseris Sic ista sine noxa decipiunt quomodo praestigiatorum acetabula et calculi, in quibus me fallacia ipsa delectat Effice ut quomodo fiat intellegam: perdidi lusum Idem de istis captionibus dico - quo enim nomine potius sophismata appellem -: nec ignoranti nocent nec scientem iuvant |
D'altra parte, se uno si sente chiedere se ha le corna, non è tanto sciocco da toccarsi la fronte, e nemmeno è tanto stupido o ottuso da non saperlo, a meno che tu non lo abbia convinto con qualche sottile argomentazione Così questi giochetti non sono dannosi, come i bussolotti e le pietruzze dei prestigiatori che divertono proprio per i loro trucchi Svelami il meccanismo e il divertimento è finito Lo stesso dico di questi cavilli (e come potrei chiamarli invece che sofismi ): non nuoce ignorarli, non serve conoscerli |
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Si utique vis verborum ambiguitates diducere, hoc nos doce, beatum non eum esse quem vulgus appellat, ad quem pecunia magna confluxit, sed illum cui bonum omne in animo est, erectum et excelsum et mirabilia calcantem, qui neminem videt cum quo se commutatum velit, qui hominem ea sola parte aestimat qua homo est, qui natura magistra utitur, ad illius leges componitur, sic vivit quomodo illa praescripsit; cui bona sua nulla vis excutit, qui mala in bonum vertit, certus iudicii, inconcussus, intrepidus; quem aliqua vis movet, nulla perturbat; quem fortuna, cum quod habuit telum nocentissimum vi maxima intorsit, pungit, non vulnerat, et hoc raro; nam cetera eius tela, quibus genus humanum debellatur, grandinis more dissultant, quae incussa tectis sine ullo habitatoris incommodo crepitat ac solvitur | Se vuoi sciogliere del tutto l'ambiguità delle parole, insegnaci che non è felice l'uomo definito tale dalla massa, e che dispone di molto denaro, ma quello che possiede ogni suo bene nell'intimo e si erge fiero e nobile calpestando ciò che desta l'ammirazione degli altri; che non trova nessuno con cui vorrebbe cambiarsi; che stima un uomo per quella sola parte per cui è uomo; che si avvale del magistero della natura, si uniforma alle sue leggi e vive secondo le sue regole; l'uomo al quale nessuna forza può strappare i propri beni, che volge il male in bene, sicuro nei giudizi, costante, intrepido; che una qualche forza può scuotere, nessuna può turbare; che la sorte, quando gli scaglia contro la sua arma più micidiale con la massima violenza, riesce a pungere, e raramente, ma non a ferire; le altre armi, con cui la fortuna prostra il genere umano, rimbalzano come la grandine, che battendo sui tetti senza causare danni agli inquilini, crepita e si scioglie |
Quid me detines in eo quem tu ipse pseudomenon appellas, de quo tantum librorum compositum est Ecce tota mihi vita mentitur: hanc coargue, hanc ad verum, si acutus es, redige Necessaria iudicat quorum magna pars supervacua est; etiam quae non est supervacua nihil in se momenti habet in hoc, ut possit fortunatum beatumque praestare Non enim statim bonum est, si quid necessarium est: aut proicimus bonum, si hoc nomen pani et polentae damus et ceteris sine quibus vita non ducitur Quod bonum est utique necessarium est: quod necessarium est non utique bonum est, quoniam quidem necessaria sunt quaedam eademque vilissima Nemo usque eo dignitatem boni ignorat ut illud ad haec in diem utilia demittat Quid ergo non eo potius curam transferes, ut ostendas omnibus magno temporis impendio quaeri supervacua et multos transisse vitam dum vitae instrumenta conquirunt |
Ma perché mi trattieni su un tema che tu stesso definisci capzioso, e che è argomento di tanti libri Ecco, per me tutta la vita è un inganno: mostrane le menzogne, riconducila alla verità, se hai acume Essa giudica necessari beni per la maggior parte superflui; ma anche quelli che non sono superflui non hanno il potere di renderci fortunati e felici Ciò che è necessario non per questo è senz'altro un bene: oppure sviliamo il concetto di bene se diamo questo nome al pane, alla polenta e alle altre cose senza le quali non si tira avanti Ciò che è un bene è senz'altro necessario: ciò che è necessario non è senz'altro un bene, perché sono necessarie anche cose di scarsissimo valore Nessuno ignora a tal punto la dignità del bene da abbassarlo al livello di queste cose utili all'uso quotidiano E allora rivolgi piuttosto le tue cure a mostrare a tutti che si ricercano con grande dispendio di tempo beni superflui e che molti hanno trascorso la vita cercando i mezzi per viverla |
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Recognosce singulos, considera universos: nullius non vita spectat in crastinum Quid in hoc sit mali quaeris Infinitum Non enim vivunt sed victuri sunt: omnia differunt Etiamsi attenderemus, tamen nos vita praecurreret; nunc vero cunctantes quasi aliena transcurrit et ultimo die finitur, omni perit Sed ne epistulae modum excedam, quae non debet sinistram manum legentis implere, in alium diem hanc litem cum dialecticis differam nimium subtilibus et hoc solum curantibus, non et hoc Vale Librum tuum quem mihi promiseras accepi et tamquam lecturus ex commodo adaperui ac tantum degustare volui; deinde blanditus est ipse ut procederem longius Qui quam disertus fuerit ex hoc intellegas licet: levis mihi visus est, cum esset nec mei nec tui corporis, sed qui primo aspectu aut Titi Livii aut Epicuri posset videri |
Esamina gli uomini singolarmente, considerali tutti insieme: ognuno vive guardando al domani Chiedi che male c'è in questo atteggiamento Un male grandissimo Non vivono, ma sono in attesa di vivere: rimandano ogni cosa Anche se badassimo a tutto, la vita ci precederebbe sempre; mentre noi indugiamo, passa oltre come se appartenesse ad altri e benché finisca con l'ultimo giorno, va scomparendo giorno per giorno Ma per non superare la giusta misura di una lettera, che non deve riempire la mano sinistra di chi la legge, rimanderò a un altro momento questa disputa con i dialettici troppo sottili che badano solo alle minuzie e a niente altro Stammi bene Ho ricevuto quel tuo libro che mi avevi promesso; l'ho aperto deciso a leggerlo con comodo e con l'intenzione di prenderne solo un assaggio; ma poi mi ha invitato ad andare avanti scritto bene e puoi capirlo da questo: mi è parso gradevole, pur non essendo della mia o della tua statura, ma tale da sembrare a una prima occhiata o di Tito Livio o di Epicuro |
Tanta autem dulcedine me tenuit et traxit ut illum sine ulla dilatione perlegerim Sol me invitabat, fames admonebat, nubes minabantur; tamen exhausi totum Non tantum delectatus sed gavisus sum Quid ingenii iste habuit, quid animi Dicerem 'quid impetus ', si interquievisset, si ex intervallo surrexisset; nunc non fuit impetus sed tenor Compositio virilis et sancta; nihilominus interveniebat dulce illud et loco lene Grandis, erectus es: hoc te volo tenere, sic ire Fecit aliquid et materia; ideo eligenda est fertilis, quae capiat ingenium, quae incitet libro plura scribam cum illum retractavero; nunc parum mihi sedet iudicium, tamquam audierim illa, non legerim Sine me et inquirere Non est quod verearis: verum audies O te hominem felicem, quod nihil habes propter quod quisquam tibi tam longe mentiatur |
Mi ha attratto e mi ha assorbito tanto che l'ho letto tutto d'un fiato fino alla fine Il sole mi invitava, la fame si faceva sentire, le nuvole comparivano minacciose; ma io l'ho divorato tutto E non ho provato solo diletto, ma addirittura godimento Ne ha avuto ingegno l'autore, e anche spirito Direi, che impeto , se avesse fatto qualche pausa, se si fosse innalzato a intervalli; ma non ha proceduto per slanci, bensì con andatura costante un disegno virile e venerando; nondimeno compariva a tratti un tono dolce e pacato Sei grande e fiero: voglio che tu continui ad avanzare per questa strada Anche l'argomento ha avuto il suo peso; perciò bisogna sceglierlo fertile, che occupi la mente, che la sproni Scriverò ancora sul libro quando lo riprenderò in mano; ora mi sono formato un giudizio incompleto, come se avessi ascoltato e non letto quei concetti Lascia che lo esamini più a fondo Non temere, udrai la verità Beato te: non dài motivo perché qualcuno ti menta da una tale distanza |
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nisi quod iam etiam ubi causa sublata est mentimur consuetudinis causa Vale Libenter ex iis qui a te veniunt cognovi familiariter te cum servis tuis vivere: hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet 'Servi sunt ' Immo homines 'Servi sunt ' Immo contubernales 'Servi sunt ' Immo humiles amici 'Servi sunt ' Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae Itaque rideo istos qui turpe existimant cum servo suo cenare: quare, nisi quia superbissima consuetudo cenanti domino stantium servorum turbam circumdedit Est ille plus quam capit, et ingenti aviditate onerat distentum ventrem ac desuetum iam ventris officio, ut maiore opera omnia egerat quam ingessit |
Per quanto, ormai, si menta per abitudine anche senza ragione Stammi bene Ho sentito con piacere da persone provenienti da Siracusa che tratti familiarmente i tuoi servi: questo comportamento si confà alla tua saggezza e alla tua istruzione Sono schiavi No, sono uomini Sono schiavi No, vivono nella tua stessa casa Sono schiavi No, umili amici Sono schiavi No, compagni di schiavitù, se pensi che la sorte ha uguale potere su noi e su loro Perciò rido di chi giudica disonorevole cenare in compagnia del proprio schiavo; e per quale motivo, poi, se non perché è una consuetudine dettata dalla piú grande superbia che intorno al padrone, mentre mangia, ci sia una turba di servi in piedi Egli mangia oltre la capacità del suo stomaco e con grande avidità riempie il ventre rigonfio ormai disavvezzo alle sue funzioni: è più affaticato a vomitare il cibo che a ingerirlo |
At infelicibus servis movere labra ne in hoc quidem ut loquantur, licet; virga murmur omne compescitur, et ne fortuita quidem verberibus excepta sunt, tussis, sternumenta, singultus; magno malo ulla voce interpellatum silentium luitur; nocte tota ieiuni mutique perstant Sic fit ut isti de domino loquantur quibus coram domino loqui non licet At illi quibus non tantum coram dominis sed cum ipsis erat sermo, quorum os non consuebatur, parati erant pro domino porrigere cervicem, periculum imminens in caput suum avertere; in conviviis loquebantur, sed in tormentis tacebant Deinde eiusdem arrogantiae proverbium iactatur, totidem hostes esse quot servos: non habemus illos hostes sed facimus Alia interim crudelia, inhumana praetereo, quod ne tamquam hominibus quidem sed tamquam iumentis abutimur |
Ma a quegli schiavi infelici non è permesso neppure muovere le labbra per parlare: ogni bisbiglio è represso col bastone e non sfuggono alle percosse neppure i rumori casuali, la tosse, gli starnuti, il singhiozzo: interrompere il silenzio con una parola si sconta a caro prezzo; devono stare tutta la notte in piedi digiuni e zitti Così accade che costoro, che non possono parlare in presenza del padrone, ne parlino male Invece quei servi che potevano parlare non solo in presenza del padrone, ma anche col padrone stesso, quelli che non avevano la bocca cucita, erano pronti a offrire la testa per lui e a stornare su di sé un pericolo che lo minacciasse; parlavano durante i banchetti, ma tacevano sotto tortura Inoltre, viene spesso ripetuto quel proverbio frutto della medesima arroganza: Tanti nemici, quanti schiavi: loro non ci sono nemici, ce li rendiamo tali noi Tralascio per ora maltrattamenti crudeli e disumani: abusiamo di loro quasi non fossero uomini, ma bestie |
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quod Cum ad cenandum discubuimus, alius sputa deterget, alius reliquias temulentorum toro subditus colligit Alius pretiosas aves scindit; per pectus et clunes certis ductibus circumferens eruditam manum frusta excutit, infelix, qui huic uni rei vivit, ut altilia decenter secet, nisi quod miserior est qui hoc voluptatis causa docet quam qui necessitatis discit Alius vini minister in muliebrem modum ornatus cum aetate luctatur: non potest effugere pueritiam, retrahitur, iamque militari habitu glaber retritis pilis aut penitus evulsis tota nocte pervigilat, quam inter ebrietatem domini ac libidinem dividit et in cubiculo vir, in convivio puer est Alius, cui convivarum censura permissa est, perstat infelix et exspectat quos adulatio et intemperantia aut gulae aut linguae revocet in crastinum |
Quando ci mettiamo a tavola, uno deterge gli sputi, un altro, stando sotto il divano, raccoglie gli avanzi dei convitati ubriachi Uno scalca volatili costosi; muovendo la mano esperta con tratti sicuri attraverso il petto e le cosce, ne stacca piccoli pezzi; poveraccio: vive solo per trinciare il pollame come si conviene; ma è più sventurato chi insegna tutto questo per suo piacere di chi impara per necessità Un altro, addetto al vino, vestito da donna, lotta con l'età: non può uscire dalla fanciullezza, vi è trattenuto e, pur essendo ormai abile al servizio militare, glabro, con i peli rasati o estirpati alla radice, veglia tutta la notte, dividendola tra l'ubriachezza e la libidine del padrone, e fa da uomo in camera da letto e da servo durante il pranzo Un altro che ha il còmpito di giudicare i convitati, se ne sta in piedi, sventurato, e guarda quali persone dovranno essere chiamate il giorno dopo perché hanno saputo adulare e sono stati intemperanti nel mangiare o nei discorsi |