Cicerone, De Natura deorum: Libro 03; 11-15, pag 4

Cicerone, De Natura deorum: Libro 03; 11-15

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Natura deorum parte Libro 03; 11-15
' Rursus eadem dici possunt: quidquid est enim, quod sensum habeat, id necesse est sentiat et voluptatem et dolorem, ad quem autem dolor veniat, ad eundem etiam interitum venire Anche in tal caso però valgono le stesse obiezioni; pgni essere fornito di sensibilità deve necessariamente provare anche piacere e dolore; ma tutto ciò che è soggetto al dolore è soggetto anche alla morte
Ita fit, ut ne ignem quidem efficere possitis aeternum Di conseguenza neppure del fuoco potete fare un essere eterno
[37] Quid enim [37] E non basta

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De Natura deorum parte Libro 03; 16-20

Non eisdem vobis placet omnem ignem pastus indigere nec permanere ullo modo posse, nisi alatur, ali autem solem, lunam, reliqua astra aquis, alia dulcibus, alia marinis; eamque causam Cleanthes adfert, cur se sol referat nec longius progrediatur solstitiali orbi itemque brumali, ne longius discedat a cibo Non siete voi a sostenere che tutto il fuoco ha bisogno di cibo e non può in alcun modo sopravvivere senza nutrirsi, e che il sole, la luna e gli altri corpi celesti traggono nutrimento dalle acque, gli uni da quelle marine e gli altri da quelle dolci; secondo Cleante sarebbe questa la ragione per cui il sole, allo scopo di non allontanarsi troppo dal cibo, al momento dei solstizio invernale e di quello estivo torna indietro senza spingersi oltre
Hoc totum quale sit, mox; nunc autem concludatur illud: quod interire possit, id aeternum non esse natura; ignem autem interiturum esse, nisi alatur; non esse igitur natura ignem sempiternum Di tutto questo argomento tratteremo poco più innanzi: per ora concludiamo così: ciò che può perire non è, per natura, eterno: ma il fuoco, se non viene alimentato, e destinato a perire; il fuoco dunque non è, per natura, eterno

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XV [38] Qualem autem deum intellegere nos possumus nulla virtute praeditum XV [38] Quale dio possiamo concepire sfornito di virtù
Quid enim Ma come ci regoleremo allora

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Prudentiamne deo tribuemus, quae constat ex scientia rerum bonarum et malarum et nec bonarum nec malarum Gli attribuiremo la virtù della prudenza, cioè la facoltà di discernere il bene dal male e da ciò che non è né bene né male
Cui mali nihil est nec esse potest, quid huic opus est dilectu bonorum et malorum, quid autem ratione, quid intellegentia; quibus utimur ad eam rem, ut apertis obscura adsequamur; at opscurum deo nihil potest esse Ma che bisogno ha un essere che non soggiace né può soggiacere ad alcunché di male di possedere la facoltà di distinguere il bene dal male;che bisogno ha di ragione e di intelligenza;sono facoltà che a noi servono a chiarire ciò che è oscuro; ma per un dio non esiste oscurità

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Nam iustitia, quae suum cuique distribuit, quid pertinet ad deos; hominum enim societas et communitas, ut vos dicitis, iustitiam procreavit Quanto alla giustizia, che distribuisce a ciascuno il suo, non ha certo nulla a che fare con la divinità: ammettete voi stessi che essa è una mera creazione della comunità umana

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