Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 01; 396-428

Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 01; 396-428

Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 01; 396-428

[396] Nam nunc quidem cogitationibus mollissimis effeminamur, ut, si ante mors adventet quam Chaldaeorum promissa consecuti sumus, spoliati magnis quibusdam bonis inlusi destitutique videamur

[397] Quodsi exspectando et desiderando pendemus animis, cruciamur, angimur, pro di immortales, quam illud iter iucundum esse debet, quo confecto nulla reliqua cura, nulla sollicitudo futura sit

Quam me delectat Theramenes

Quam elato animo est

Etsi enim flemus cum legimus, tamen non miserabiliter vir clarus emoritur

[398] Qui cum coniectus in carcerem triginta iussu tyrannorum venenum ut sitiens abduxisset, reliquum sic e poculo eiecit, ut id resonaret, quo sonitu reddito adridens “Propino”, inquit, “hoc pulchro Critiae”, qui in eum fuerat taeterrimus

[399] Graeci enim in conviviis solent nominare, cui poculum tradituri sint
[396] Ora infatti certamente ci abbandoniamo a pensieri del tutto effeminati, al punto che, se la morte avviene prima che abbiamo realizzato le promesse dei Cialdei, ci sentiamo spogliati di alcuni grandi beni, illusi e ingannati

[397] Se dunque aspettando e desiderando proviamo ansia, ci tormentiamo, ci addoloriamo per gli dèi immortali, quanto deve essere lieto quel cammino che, una volta compiuto, non riserva nessuna preoccupazione, nessun affanno

Quanto mi diletta Teramene

Che animo elevato è il suo

Infatti anche se quando leggiamo piangiamo, tuttavia quell’uomo illustre non viene compianto compassionevolmente

[398] Egli, gettato in carcere per ordine dei trenta tiranni, affinché bevesse il veleno come se avesse sete, buttò così il resto dalla coppa, facendola tintinnare, dopo aver provocato quel suono disse ridendo “Alla salute del bel Crizia”, che era stato il più crudele nei suoi confronti

[399] Infatti i Greci nei banchetti erano soliti dichiarare a chi sarebbe stata passata la coppa
[400] Lusit vir egregius extremo spiritu, cum iam praecordiis conceptam mortem contineret, vereque ei cui venenum praebiberat, mortem eam est auguratus, quae brevi consecuta est

[401] Quis hanc maximi animi aequitatem in ipsa morte laudaret, si mortem malum iudicaret

Vadit enim in eundem carcerem atque in eundem paucis post annis scyphum Socrates eodem scelere iudicum quo tyrannorum Theramenes

[402] Quae est igitur eius oratio, qua facit eum Plato usum apud iudices iam morte multatum

“Magna me”, inquit, “spes tenet iudices, bene mihi evenire quod mittar ad mortem

[403] Necesse est enim sit alterum de duobus, ut aut sensus omnino omnis mors auferat aut in alium quendam locum ex his locis morte migretur
[400] Quell’uomo eccellente scherzò fino all’ultimo respiro, quando già teneva dentro di sé, assorbita dalle viscere, la morte, e in realtà a colui al quale aveva brindato con il veleno, aveva augurato la morte, che lo colse poco dopo

[401] Chi loderebbe la serenità di un animo così grande di fronte alla morte, se considerasse la morte un male

Infatti pochi anni dopo Socrate venne condannato allo stesso carcere e alla stessa coppa, per lo stesso crimine e per colpa di giudici iniqui come i tiranni che avevano condannato Teramene

[402] Qual è dunque il suo discorso, che Platone tenne davanti ai giudici quando era già stato condannato a morte

Dice “Oh giudici, è grande la mia speranza, che sia un bene per me essere mandato a morte

[403] Infatti ci sono necessariamente due possibilità, o la morte toglie completamente ogni sensibilità o con la morte ci si trasferisce da questi luoghi in uno diverso
[404] Quam ob rem, sive sensus extinguitur morsque ei somno similis est qui non numquam etiam sine visis somniorum placatissimam quietem adfert, di boni, quid lucri est emori

Aut quam multi dies reperiri possunt qui tali nocti anteponantur, cui si similis futura est perpetuitas omnis consequentis temporis, quis me beatior

[405] Sin vera sunt, quae dicuntur, migrationem esse mortem in eas oras, quas qui e vita excesserunt incolunt, id multo iam beatius est

[406] Tene, cum ab iis qui se iudicum numero haberi volunt evaseris, ad eos venire, qui vere iudices appellentur, Minoem, Rhadamanthum, Aeacum, Triptolemum, convenireque eos qui iuste et cum fide vixerint

Haec peregrinatio mediocris vobis videri potest

Ut vero conloqui cum Orpheo, Musaeo, Homero, Hesiodo liceat, quanti tandem aestimatis
[404] Per questo motivo, se la sensibilità scompare e la morte è simile a quel sonno che talvolta senza neppure la visione dei sogni ci procura il riposo più sereno, buon dio, quanto è vantaggioso morire

O quanti giorni si possono trovare che siano preferibili a una notte di tal genere, se ad essa sarà simile l’eternità di tutto il tempo futuro, chi più felice di me

[405] Se invece sono veri i discorsi che sostengono che la morte sia un trasferimento in quelle zone, dove coloro che abitano sono usciti dalla vita, questa è una condizione ancora più felice

[406] Puoi giungere, dopo essere sfuggito da coloro che vogliono essere annoverati nella schiera dei giudici, presso quelli che davvero sono nominati giudici, Minosse, Radamanto, Eaco, Trittolemo, e incontrare coloro che sono vissuti nella giustizia e nella lealtà

Questo viaggio può sembrarvi mediocre

Infine quanto stimate veramente il poter discutere con Orfeo, Museo, Omero, Esiodo

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Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 01; 274-332
Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 01; 274-332

Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 01; 274-332

Equidem saepe emori si fieri posset, vellem, ut ea quae dico mihi liceret invisere

[407] Quanta delectatione autem adficerer, cum Palamedem, cum Aiacem, cum alios iudicio iniquo circumventos convenirem

Temptarem etiam summi regis qui maximas copias duxit ad Troiam, et Ulixi Sisyphique prudentiam, nec ob eam rem, cum haec exquirerem, sicut hic faciebam, capite damnarer

[408] Ne vos quidem iudices ii, qui me absoluistis, mortem timueris

[409] Nec enim cuiquam bono mali quicquam evenire potest nec vivo nec mortuo, nec umquam eius res a dis immortalibus neglegentur, nec mihi ipsi hoc accidit fortuito

[410] Nec vero ego iis, a quibus accusatus aut a quibus condemnatus sum habeo quod suscenseam, nisi quod mihi nocere se crediderunt”
Certamente, se fosse possibile, vorrei morire più di una volta, affinché sia possibile per me contemplare ciò che dico

[407] Poi da quanta gioia sarei pervaso incontrando Palamede, Aiace e le altre vittime di giudizi ingiusti

Metterei alla prova anche la saggezza del grande re che condusse un esercito immenso a Troia, di Ulisse e di Sisifo, senza con ciò essere condannato a morte, per il fatto di fare queste indagini, come le facevo qui

[408] Non abbiate paura della morte neppure voi, o giudici che mi avete assolto

[409] Infatti non può capitare nulla di male a chi è onesto, né da vivo, né da morto, e la sua situazione non sarà mai trascurata dagli dèi immortali, e neanche a me stesso questo è capitato per caso

[410] Sinceramente io non ho motivi per essere in collera con coloro da cui sono stato accusato o condannato, se non per il fatto che hanno creduto di danneggiarmi”
[411] Et haec quidem hoc modo; nihil autem melius extremo: “Sed tempus est”, inquit, “iam hinc abire me, ut moriar, vos, ut vitam agatis

[412] Utrum autem sit melius, di immortales sciunt, hominem quidem scire arbitror neminem”

[413] Ne ego haud paulo hunc animum malim quam eorum omnium fortunas qui de hoc iudicaverunt

[414] Etsi, quod praeter deos negat scire quemquam, id scit ipse utrum sit melius; nam dixit ante; sed suum illud, nihil ut adfirmet, tenet ad extremum

[415] Nos autem teneamus, ut nihil censeamus esse malum, quod sit a natura datum omnibus, intellegamusque, si mors malum sit, sempiternum malum

[416] Nam vitae miserae mors finis esse videtur; mors si est misera, finis esse nullus potest
[411] E certamente queste furono le sue parole; ma non c’è niente di meglio della conclusione: “Ma ormai”, disse, “è tempo che io me ne vada da qui, affinché io muoia, voi continuiate la vostra vita

[412] Ma gli dèi immortali sanno quale delle due condizioni sia la migliore, penso che indubbiamente nessun uomo lo sappia”

[413] Davvero io preferirei di gran lunga quest’anima piuttosto che le fortune di tutti quelli che giudicarono riguardo ciò

[414] Sebbene egli, cosa che chiunque dice di non sapere tranne gli dèi, sappia quale delle due sia la condizione migliore, infatti l’ ha indicata prima, però osserva fino all’ultimo quel suo principio di non affermare nulla

[415] Ma noi atteniamoci alla considerazione che nulla di ciò che è stato dato a tutti dalla natura riteniamo essere un male, e rendiamo conto che, se la morte è un male, il male è eterno

[416] Infatti la morte appare come la fine di una vita infelice; se la morte è infelice, non può esserci alcun termine

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Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 01; 333-395

[417] Sed quid ego Socratem aut Theramenem, praestantis viros virtutis et sapientiae gloria, commemoro

Cum Lacedaemonius quidam, cuius ne nomen quidem proditum est, mortem tantopere contempserit, ut, cum ad eam duceretur damnatus ab ephoris et esset voltu hilari atque laeto, dixissetque ei quidam inimicus: “Contemnisne leges Lycurgi

” responderit: “Ego vero illi maximam gratiam habeo, qui me ea poena multaverit, quam sine mutuatione et sine versura possem dissolvere”

[418] O virum Sparta dignum

Ut mihi quidem, qui tam magno animo fuerit, innocens damnatus esse videatur

[419] Talis innumerabilis nostra civitas tulit

[420] Sed quid duces et principes nominem, cum legiones scribat Cato saepe alacris in eum locum profectas, unde redituras se non arbitrarentur
[417] Ma perché io ricordo Socrate e Teramene, uomini famosi per gloria di virtù e di sapienza

Anche quello spartano, di cui non è stato tramandato neppure il nome, disprezzò così tanto la morte, che, mentre veniva condotto ad essa, essendo stato condannato dagli efori, con il voto lieto e allegro, a un nemico che gli aveva detto “Disprezzi le leggi di Licurgo

”, rispose “Sinceramente io provo una grandissima gratitudine verso di lui, che mi ha condannato ad una pena che posso scontare senza prestiti e senza debiti”

[418] Oh uomo degno di Sparta

A me sembra certamente, che un uomo che ebbe una tale grandezza d’animo, sia stato condannato innocente

[419] La nostra città è stata piena di uomini come lui

[420] Ma perché nomino condottieri e uomini politici, quando Catone scrive che spesso legioni partirono piene di zelo verso quelle destinazioni, da cui pensavano che non sarebbero più tornate
Pari animo Lacedaemonii in Thermopylis occiderunt, in quos Simonides: Dic, hospes, Spartae nos te hic vidisse iacentis, dum sanctis patriae legibus obsquimur

[421] [Quid ille dux Leonidas dicit

“Pergite animo forti, Lacedaemonii; hodie apud inferos fortasse cenabimus”

[422] Fuit haec gens fortis, dum Lycurgi leges vigebant]

[423] E quibus unus, cum Perses hostis in conloquio dixisset glorians: “Solem prae iaculorum multitudine et sagittarum non videbitis”, “in umbra igitur”, inquit, “pugnabimus”

[424] Viros commemoro; qualis tandem Lacaena

Quae cum filium in proelium misisset et interfectum audisset, “Idcirco”, inquit, “genueram, ut esset, qui pro patria mortem non dubitaret occumbere”

[425] Esto, fortes et duri Spartiatae; magnam habet vim rei publicae disciplina

[426] Quid
Con lo stesso coraggio caddero agli Termopili gli Spartani, ai quali Simonide dedica questo epigramma: Straniero, dì a Sparta che tu hai visto noi che giacciamo qui, mentre portiamo ossequio alle sante leggi della patria

[421] [Che dice Leonida, il famoso condottiero

“Andate avanti con grande coraggio, Spartani; oggi forse ceneremo negli inferi”

[422] Questo fu un popolo forte, finché rimasero in vigore le leggi di Licurgo]

[423] Uno di loro, per vantarsi, avendo detto in un colloquio ad un nemico persiano: “Per la grande quantità di dardi e di frecce non vedrete il sole”, rispose: “Allora combatteremo all’ombra”

[424] Ricordo gli uomini; infine che dire di quella spartana

Che dopo aver mandato il figlio in guerra e dopo aver appreso la notizia della sua morte, disse “Proprio per questo lo avevo generato, affinché fosse capace di affrontare la morte per la patria senza esitare”

[425] Certo, sono forti e rigorosi gli Spartani; le istituzioni dello stato hanno un’importanza determinante

[426] Cosa

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Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 01; 502-526

Cyrenaeum Theodorum, philosophum non ignobilem, nonne miramur

Cui cum Lysimachus rex crucem minaretur, “Istis, quaeso”, inquit, “ista horribilia minitare purpuratis tuis; Theodori quidem nihil interest humine an sublime putescat”

[427] Cuius hoc dicto admoneor ut aliquid etiam de humatione et sepultura dicendum existimem, rem non difficilem, iis praesertim cognitis quae de nihil sentiendo paulo ante dicta sunt

[428] De qua Socrates quidem quid senserit, apparet in eo libro in quo moritur, de quo iam tam multa diximus
Non ammiriamo il cirenaico Teodoro, il filosofo non privo di fama

Poiché il re Lisimaco minacciava di crocifiggerlo, egli gli disse: “Ti chiedo di riservare queste cose orribili a questi tuoi cortigiani; certamente a Teodoro non interessa marcire sottoterra o per aria”

[427] Con queste sue parole mi ricordo che sarebbe opportuno dire qualcosa anche a proposito dell’inumazione e della sepoltura, argomento non difficile, soprattutto con quelle conoscenze che sono state enunciate prima riguardo la totale mancanza di sensibilità

[428] Certamente cosa pensa Socrate riguardo questo argomento, lo si vede in quel libro nel quale muore, di cui abbiamo già tanto parlato
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