Livio, Ab urbe condita: Libro 33; 01 - 25, pag 3

Livio, Ab urbe condita: Libro 33; 01 - 25

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 33; 01 - 25
Et ceteri quidem hos pulsos sequebantur; unus e tribunis militum ex tempore capto consilio cum uiginti signorum militibus, relicta ea parte suorum quae haud dubie vincebat, brevi circuitu dextrum cornu hostium aversum invadit

Nullam aciem ab tergo adortus non turbasset; ceterum ad communem omnium in tali re pidationem accessit quod phalanx Macedonum gravis atque immobilis nec circumagere se poterat nec hoc qui a fronte paulo ante pedem referentes tunc ultro territis instabant patiebantur

Ad hoc loco etiam premebantur, quia iugum ex quo pugnaverant dum per proclive pulsos insequuntur tradiderant hosti ad terga sua circumducto

Paulisper in medio caesi, deinde omissis plerique armis capessunt fugam
Tutti gli altri li seguirono nella fuga; un tribuno militare, con rapida decisione, lascia insieme ai soldati di venti manipoli quella parte del suo schieramento dove la vittoria dei suoi era sicura e con una breve manovra aggirante attacca alle spalle l'ala destra nemica

Attaccando alle spalle avrebbe in ogni caso sconvolto tutti i ranghi, ma alla confusione consueta in tali circostanze si aggiunse il fatto che la falange macedone, pesante e poco mobile, non poteva operare una conversione, cosa del resto che quanti poco prima si ritiravano dalla linea di combattimento e ora stavano incalzando i nemici impauriti non avrebbero permesso

Inoltre erano in difficoltà anche per il terreno, dato che il colle dal quale combattevano lo avevano abbandonato, spingendosi giù per il declivio all'inseguimento dei fuggiaschi, al nemico condotto alle loro spalle

Per un poco, presi in mezzo, si fecero uccidere, poi, per la maggior parte, abbandonate le armi si diedero alla fuga
(10) Philippus cum paucis peditum equitumque primo tumulum altiorem inter ceteros cepit specularetur quae in laeva parte suorum fortuna esset; deinde postquam fugam effusam animadvertit et omnia circa iuga signis atque armis fulgere, tum et ipse acie excessit

Quinctius cum institisset cedentibus, repente quia erigentes hastas Macedonas conspexerat, quidnam pararent incertus paulisper novitate rei constituit signa; deinde, ut accepit hunc morem esse Macedonum tradentium sese, parcere victis in animo habebat

Ceterum ab ignaris militibus omissam ab hoste pugnam et quid imperator vellet impetus in eos est factus et primis caesis ceteri in fugam dissipati sunt

Rex effuso cursu Tempe petit

Ibi ad Gonnos diem unum substitit ad excipiendos si qui proelio superessent
(10) Filippo con pochi fanti e cavalieri prima raggiunse un colle più elevato degli altri per vedere quale fosse, all'ala sinistra, la sorte dei suoi; poi, dopo aver visto ovunque una fuga precipitosa e il balenare su tutte le alture di armi e insegne romane, abbandonò anche lui il campo di battaglia

Quinzio che incalzava i fuggiaschi di colpo, poiché aveva visto che i Macedoni drizzavano le loro lance, arrestò per un poco le sue truppe non sapendo che cosa meditassero; poi, quando apprese che quella era l'usanza dei Macedoni quando volevano arrendersi, aveva in animo di risparmiare i vinti

I soldati però, non sapendo che i nemici abbandonavano la lotta e quali fossero le intenzioni del comandante, li attaccarono e, caduti i primi, gli altri si dispersero nella fuga

Il re si diresse a Tempe in corsa sfrenata

Qui si fermò un giorno a Gonni per riunire gli eventuali superstiti della battaglia
Romani victores in castra hostium spe praedae : ea magna iam direpta ab Aetolis inveniunt

Caesa eo die octo milia hostium, capta; ex victoribus septingenti ferme ceciderunt

Si Valerio qui credat omnium rerum immodice numerum augenti, quadraginta milia hostium eo die sunt caesa, captaibi modestius mendacium estquinque milia septingenti, signa militaria ducenta undequinquaginta

Claudius quoque duo et triginta milia hostium caesa scribit, capta quattuor milia et trecentos

Nos non minimo potissimum numero credidimus sed Polybium secuti sumus, non incertum auctorem cum omnium Romanarum rerum tum praecipue in Graecia gestarum
I Romani vittoriosi irrompono nel campo nemico bramosi di preda, ma lo trovano già in gran parte saccheggiato ad opera degli Etoli

Vennero uccisi in quel giorno ottomila nemici, e cinquemila catturati; tra i vincitori circa settecento furono i caduti

Se si vuol prestar fede a Valerio, che esagera senza misura le cifre in ogni circostanza, in quel giorno furono uccisi quarantamila nemici e catturati - la menzogna qui è più limitata - cinquemilasettecento, duecentoquarantanove furono le insegne catturate

Anche Claudio scrive che vennero uccisi trentaduemila nemici e quattromilatrecento catturati

Noi non abbiamo scelto, per prestarvi fede, il numero più piccolo, ma abbiamo seguito Polibio, storico fededegno per tutta la storia di Roma e in modo particolare per le vicende svoltesi in Grecia

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Livio, Ab urbe condita: Libro 38; 31 - 35
Livio, Ab urbe condita: Libro 38; 31 - 35

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 38; 31 - 35

(11) Philippus collectis ex fuga qui variis casibus pugnae dissipati vestigia eius secuti fuerant missisque Larisam ad commentarios regios comburendos ne in hostium venirent potestatem, in Macedoniam concessit

Quinctius captivis praedaque uenumdatis partim militi concessis Larisam est profectus, hauddum satis gnarus quam regionem petisset rex quidue pararet

Caduceator eo regius venit, specie ut indutiae essent donec tollerentur ad sepulturam qui in acie cecidissent, re vera ad petendam veniam legatis mittendis

Utrumque ab Romano impetratum
(11) Filippo, riuniti coloro che i vari casi della battaglia avevano disperso e che ne avevano seguito le tracce e mandati a Larisa degli uomini a dar fuoco agli archivireali, perché non cadessero nelle mani dei nemici, si ritirò in Macedonia

Quinzio dopo avere in parte venduto il bottino e i prigionieri, parte lasciandone ai soldati, partì per Larisa pur non sapendo ancora di preciso quale regione avesse raggiunto il re né che cosa preparasse

Venne a lui un araldo del re, in apparenza perché fosse concessa una tregua allo scopo di dare sepoltura ai caduti sul campo, in realtà per chiedere il permesso di mandare degli ambasciatori

L'una e l'altra cosa vennero concesse dal Romano
Adiecta etiam illa vox, bono animo esse regem ut iuberet, quae maxime Aetolos offendit iam tumentes querentesque mutatum victoria imperatorem: ante pugnam omnia magna parvaque communicare cum sociis solitum, nunc omnium expertes consiliorum esse, suo ipsum arbitrio cuncta agere; cum Philippo iam gratiae privatae locum quaerere, ut dura atque aspera belli Aetoli exhauserint, pacis gratiam et fructum Romanus in se vertat

Et haud dubie decesserat iis aliquantum honoris; sed cur neglegerentur ignorabant
Che aggiunse anche l'incarico di dire al re di stare di buon animo, tali parole offesero in sommo grado gli Etoli, già irritati, che dicevano essere il comandante cambiato dopo la vittoria: prima della battaglia era solito consultarsi con gli alleati tanto nelle questioni di primaria quanto in quelle di secondaria importanza; ora essi erano tenuti all'oscuro di tutti i suoi disegni, egli trattava ogni problema a proprio arbitrio, nei confronti di Filippo già mirava ad ottenerne la privata riconoscenza, in questo modo gli Etoli avrebbero subìto tutte le durezze e le difficoltà della guerra e il Romano avrebbe attirato su di sé i vantaggi e i sentimenti di riconoscenza conseguenti alla pace

Indubbiamente la considerazione di cui godevano era sensibilmente diminuita; essi però ignoravano il motivo per il quale erano trascurati in tal modo

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Livio, Ab urbe condita: Livio 41; 21 - 25
Livio, Ab urbe condita: Livio 41; 21 - 25

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Livio 41; 21 - 25

Donis regis imminere credebant invicti ab ea cupiditate animi uirum; sed et suscensebat non immerito Aetolis ob insatiabilem aviditatem praedae et adrogantiam eorum, victoriae gloriam in se rapientium, quae vanitate sua omnium aures offendebat, et Philippo sublato, fractis opibus Macedonici regni Aetolos habendos Graeciae dominos cernebat

Ob eas causas multa sedulo ut viliores leuioresque apud omnes essent et viderentur faciebat

(12) Indutiae quindecim dierum datae hosti erant et cum ipso rege constitutum conloquium; cuius priusquam tempus veniret, in consilium advocavit socios

Rettulit quas leges pacis placeret dici

Amynander Athamanum rex paucis sententiam absolvit: ita componendam pacem esse ut Graecia etiam absentibus Romanis satis potens tuendae simul pacis libertatisque esset
Credevano desideroso dei doni del re un uomo il cui animo non si lasciava vincere da tali bramosie; gli era invece irritato, non a torto, con gli Etoli per l'insaziabile cupidigia di bottino e per l'arroganza con la quale si attribuivano il merito della vittoria, così da infastidire tutti quanti con le loro vanterie, vedeva inoltre che, tolto di mezzo Filippo, infranta la potenza del regno di Macedonia, gli Etoli dovevano essere considerati i padroni della Grecia

Per tali motivi si dava un gran da fare perché fossero e apparissero a tutti diminuiti di importanza

(12) Era stata concessa al nemico una tregua di quindici giorni e si era fissato un colloquio col re in persona; prima che giungesse il giorno per esso stabilito, Quinzio convocò in assemblea gli alleati

Pose in discussione le condizioni di pace che intendevano proporre

Il re degli Atamani Aminandro espose in poche parole la sua opinione: la pace doveva prevedere condizioni tali per cui la Grecia, anche senza l'intervento dei Romani, fosse in grado di difendere la propria pace e la propria libertà ad un tempo
Aetolorum asperior oratio fuit, qui pauca praefati recte atque ordine imperatorem Romanum facere quod, quos belli socios habuisset, cum iis communicaret pacis consilia, falli aiunt eum tota re si aut Romanis pacem aut Graeciae libertatem satis firmam se credat relicturum nisi Philippo aut occiso aut regno pulso; quae utraque procliuia esse si fortuna uti vellet

Ad haec Quinctius negare Aetolos aut moris Romanorum memorem aut sibi ipsis convenientem sententiam dixisse; et illos prioribus omnibus conciliis conloquiisque (et) de condicionibus pacis semper, ut ad internecionem bellaretur disseruisse, et Romanos praeter vetustissimum morem victis parcendi praecipuum clementiae documentum dedisse pace Hannibali et Carthaginiensibus data

Omittere se Carthaginienses: cum Philippo ipso quotiens ventum in conloquium
Più dure furono le parole degli Etoli: dopo aver premesso in breve che il comandante romano agiva secondo le regole della correttezza discutendo i progetti di pace con quanti erano stati suoi alleati in guerra, affermarono che si sbagliava però completamente se pensava che avrebbe lasciato una pace abbastanza sicura ai Romani e una abbastanza sicura libertà ai Greci senza aver fatto morire Filippo o senza averlo cacciato dal suo regno; entrambe le cose erano facili, se avesse voluto approfittare della fortuna favorevole

A ciò Quinzio rispose che con le loro parole gli Etoli si erano mostrati dimentichi del costume romano e in contraddizione con se stessi: essi avevano sempre, in tutte le assemblee precedenti, in tutti i precedenti incontri, parlato delle condizioni di pace escludendo una guerra di sterminio, e i Romani, a parte l'antichissimo costume di risparmiare i vinti, avevano dato un insigne esempio di clemenza concedendo la pace ad Annibale e ai Cartaginesi

Avrebbe lasciato da parte i Cartaginesi; ma con Filippo stesso quante volte ci si era incontrati

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 25; 21-30

Nec unquam ut cederet regno actum esse

An quia victus proelio foret, inexpiabile bellum factum

Cum armato hoste infestis animis concurri debere: adversus victos mitissimum quemque animum maximum habere

Libertati Graeciae videri graves Macedonum reges: si regnum gensque tollatur, Thracas Illyrios Gallos deinde, gentes feras et indomitas, in Macedoniam se et in Graeciam effusuras

Ne proxima quaeque amoliendo maioribus gravioribusque aditum ad se facerent

Interfanti deinde Phaeneae praetori Aetolorum testificantique si elapsus eo tempore Philippus foret mox gravius eum rebellaturum, 'desistite tumultuari' inquit 'ubi consultandum est: non iis condicionibus inligabitur rex ut movere bellum possit
E non si era mai parlato di abbandono del regno

Forse perché era stato sconfitto in battaglia la guerra doveva divenire implacabile

Un nemico in armi lo si deve affrontare con l'ira in petto; di fronte ai vinti la maggiore clemenza è segno di maggiore grandezza d'animo

Sembravano pericolosi per la libertà della Grecia i re di Macedonia: ma se quel regno e quel popolo fossero stati tolti di mezzo, Traci, Illiri e poi Galli, popolazioni selvagge e indomite, sarebbero penetrati in Macedonia e in Grecia

Badassero a non aprire la via a nemici più potenti e pericolosi con lo sbarazzarsi di ogni vicino

A Fenea, pretore degli Etoli, che interrompendolo giurava che Filippo, se se la fosse cavata in quella occasione, si sarebbe ben presto ribellato ancor più pericolosamente, disse: - smettete di provocare incidenti quando si deve deliberare: le condizioni che verranno imposte a Filippo non saranno tali da consentirgli di provocare altre guerre -
'(13) Hoc dimisso concilio postero die rex ad fauces quae ferunt in Tempeis datus erat locus conloquiovenit; tertio die datur ei Romanorum ac sociorum frequens concilium

Ibi Philippus perquam prudenter iis sine quibus pax impetrari non poterat sua potius voluntate omissis quam altercando extorquerentur, quae priore conloquio aut imperata a Romanis aut postulata ab sociis essent omnia se concedere, de ceteris senatui permissurum dixit

Quamquam vel inimicissimis omnibus praeclusisse vocem videbatur, Phaeneas tamen Aetolus cunctis tacentibus 'quid

Spettriobis' inquit, 'Philippe, reddisne tandem Pharsalum et Larisam Cremasten et Echinum et Thebas Phthias
(13) Sciolta questa riunione il giorno seguente il re venne alla gola che conduce a Tempe - questo era il luogo fissato per il colloquio -; due giorni dopo è ammesso in una numerosa assemblea di Romani e di alleati

Qui Filippo, con molta avvedutezza, fece spontaneamente, anziché farsele strappare nella discussione, quelle concessioni senza le quali non avrebbe potuto ottenere la pace, disse che quanto gli era stato nel precedente colloquio imposto dai Romani o richiesto dai loro alleati lo avrebbe interamente concesso: per il resto si sarebbe rimesso al senato

Sebbene paresse in questo modo aver tolto la parola anche ai suoi più accaniti nemici, tuttavia, mentre tutti tacevano, l'etolo Fenea cosa

E allora disse:Filippo, ci restituisci finalmente Farsalo e Larisa Cremaste ed Echino e Tebe di Ftia

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' Cum Philippus nihil morari diceret quo minus reciperent, disceptatio inter imperatorem Romanum et Aetolos orta est de Thebis; nam eas populi Romani iure belli factas esse Quinctius dicebat, quod integris rebus exercitu ab se admoto vocati in amicitiam, cum potestas libera desciscendi ab rege esset, regiam societatem Romanae praeposuissent; Phaeneas et pro societate belli quae ante bellum habuissent restitui Aetolis aequum censebat et ita in foedere primo cautum esse ut belli praeda rerum quae ferri agique possent Romanos, ager urbesque captae Aetolos sequerentur

'Vos' inquit 'ipsi' Quinctius 'societatis istius leges rupistis quo tempore relictis nobis cum Philippo pacem fecistis
Filippo rispose che non avrebbe frapposto alcun indugio, e sorse allora una disputa tra il co mandante romano e gli Etoli a proposito di Tebe; diceva infatti Quinzio che quella città era stata fatta propria dal popolo romano per diritto di guerra, quando la guerra era ancora tutta da decidere egli aveva portato il suo esercito davanti alla città e aveva invitato i cittadini ad allearsi con Roma; i Tebani invece, pur potendo liberamente abbandonare il re, avevano preferito l'alleanza con lui a quella con Roma; Fenea disse invece che riteneva giusto che, per la loro alleanza in guerra, fosse restituito agli Etoli ciò che possedevano prima della guerra, e che del resto nel primo trattato era previsto che, del bottino di guerra, quanto si poteva portare o spingere via toccasse ai Romani, territorio e città agli Etoli

Voi stessi - rispose Quinzio - avete infranto le clausole di quell'alleanza, quando ci avete abbandonati per concludere la pace con Filippo

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