Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01, pag 8

Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 01
Capitalis Eteocles vel potius Euripides, qui id unum quod omnium sceleratissimum fuerit, exceperit

Quid igitur minuta colligimus, hereditates, mercaturas, venditiones fraudulentas

Ecce tibi, qui rex populi Romani dominusque omnium gentium esse concupiverit idque perfecerit

Hanc cupiditatem si honestam quis esse dicit, amens est; probat enim legum et libertatis interitum earumque oppressionem taetram et detestabilem gloriosam putat

Qui autem fatetur honestum non esse in ea civitate, quae libera fuerit quaeque esse debeat, regnare, sed ei, qui id facere possit, esse utile, qua hunc obiurgatione aut quo potius convitio a tanto errore coner avellere

Potest enim, di immortales, cuiquam esse utile foedissimum et taeterrimum parricidium patriae, quamvis is, qui se eo obstrinxerit, ab oppressis civibus parens nominetur
Degno d'essere messo a morte è Eteocle, o piuttosto Euripide, che eccettuava quest'unico caso, che è il più scellerato di tutti

Ma perché andiamo raccogliendo queste minuzie, eredità, commerci, vendite fraudolente

Eccoti chi desiderò essere re del popolo romano e signore di tutte le genti, e ci riusci

Se qualcuno dicesse che questa bramosia è onesta, sarebbe un pazzo; così facendo egli approva la morte delle leggi e della libertà e ritiene gloriosa la loro infame e detestabile soppressione

Se uno, invece, ammette che non è onesto regnare in una città che è stata e dovrebbe essere libera, ma è utile a chi è capace di farlo, con quali rimproveri o, piuttosto, con quali grida potresti tentare dì allontanarlo da un simile errore

Può, per gli dei immortali, essere utile a qualcuno il più turpe e abominevole parricidio della patria, anche se colui che se n'è macchiato viene chiamato padre dai cittadini oppressi
Honestate igitur dirigenda utilitas est, et quidem sic, ut haec duo verbo inter se discrepare, re unum sonare videantur

Non habeo ad volgi opinionem quae maior utilitas quam regnandi esse possit, nihil contra inutilius ei, qui id iniuste consecutus sit, invenio, cum ad veritatem coepi revocare rationem

Possunt enim cuiquam esse utiles angores, sollicitudines, diurni et nocturni metus, vita insidiarum periculorumque plenissima

Multi iniqui atque infideles regno, pauci benivoli inquit Accius

At cui regno

quod a Tantalo et Pelope proditum iure optinebatur

Nam quanto plures ei regi putas, qui exercitu populi Romani populum ipsum Romanum oppressisset civitatemque non modo liberam, sed etiam gentibus imperantem servire sibi coegisset

Hunc tu quas conscientiae labes in animo censes habuisse, quae vulnera
L'utilità, dunque, deve essere guidata dall'onestà, e precisamente in modo che questi due concetti a parole sembrino diversi, ma nella sostanza suonino la stessa cosa

Non so quale utilità possa esistere, a giudizio del volgo, maggiore del regnare; ma quando comincio ad accostare il giudizio alla luce della verità, non trovo nulla di più inutile per colui che abbia conseguito il regno ingiustamente

Possono, difatti, essere utili per qualcuno le angosce, le preoccupazioni, i timori diurni e notturni, la vita piena zeppa di insidie e di pericoli

Molti gli iniqui ed infedelí al regno, pochi i benevoli Così dice Accio

Ma a quale regno

Quello che, trasmesso legittimamente, avevano Tantalo e Pelope

E quanti di più ne avrebbe, secondo te, quel re che con l'esercito del popolo romano oppresse proprio il popolo romano e costrinse ad essergli schiava quella città non solo libera, ma anche signora delle genti

Quale macchia della coscienza pensi che costui abbia avuto nell'animo, quali ferite
Cuius autem vita ipsi potest utilis esse, cum eius vitae ea condicio sit, ut qui illam eripuerit, in maxima et gratia futurus sit et gloria

Quod si haec utilia non sunt, quae maxime videntur, quia plena sunt dedecoris ac turpitudinis, satis persuasum esse debet, nihil esse utile, quod non honestum sit

Quamquam id quidem cum saepe alias, tum Pyrrhi bello a C Fabricio consule iterum et a senatu nostro iudicatum est

Cum enim rex Pyrrhus populo Romano bellum ultro intulisset cumque de imperio certamen esset cum rege generoso ac potente, perfuga ab eo venit in castra Fabricii eique est pollicitus, si praemium sibi proposuisset, se, ut clam venisset, sic clam in Pyrrhi castra rediturum et eum veneno necaturum

Hunc Fabricius reducendum curavit ad Pyrrhum idque eius factum laudatum a senatu est
E a quale uomo può essere utile la propria vita, se la condizione di essa è tale che chi gliela sottraesse si procurerebbe grandissima gloria e riconoscenza

E se non sono utili queste cose, che sembrano esserlo massimamente, perché sono piene di ignominia e di turpitudine, bisogna essere abbastanza convinti che nulla è utile, se non è onesto

Questo è stato riconosciuto spesso in altre occasioni e specialmente da Gaio Fabrizio, console per la seconda volta durante la guerra contro Pirro, e dal nostro senato

Avendo, il re Pirro dichiarato di sua iniziativa guerra al popolo romano, e svolgendosi la lotta per la supremazia con un re nobile e potente, giunse un disertore negli accampamenti di Fabrizio e gli promise, in cambio di una ricompensa, di ritornare negli accampamenti di Pirro di nascosto cem'era venuto e di ucciderlo col veleno

Fabrizio lo fece ricondurre da Pirro e il suo comportamento fu lodato dal senato

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Atqui si speciem utilitatis opinionemque quaerimus, magnum illud bellum perfuga unus et gravem adversarium imperii sustulisset, sed magnum dedecus et flagitium, quicum laudis certamen fuisset, eum non virtute, sed scelere superatum Eppure se noi ricerchiamo l'apparenza e il concetto comune dell'utilità, un unico disertore avrebbe eliminato quella guerra ed un pericoloso rivale della nostra supremazia, ma sarebbe stato per noi un grande disonore e una grande colpa l'aver vinto non col valore, ma con il delitto un avversario con cui si lottava per la gloria

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