Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01, pag 7

Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 01

Quotus enim quisque reperietur, qui impunitate et ignoratione omnium proposita abstinere possit iniuria

Periclitemur, si placet, et in iis quidem exemplis, in quibus peccari volgus hominum fortasse non putet

Neque enim de sicariis, veneficis, testamentariis, furibus, peculatoribus, hoc loco disserendum est, qui non verbis sunt et disputatione philosophorum, sed vinclis et carcere fatigandi, sed haec consideremus, quae faciunt ii, qui habentur boni

L Minuci Basili locupletis hominis falsum testamentum quidam e Graecia Romam attulerunt; Quod quo facilius obtinerent, scripserunt heredes secum M Crassum et Q Hortensium, homines eiusdem aetatis potentissimos; Qui cum illud falsum esse suspicarentur, sibi autem nullius essent conscii culpae, alieni facinoris munusculum non repudiaverunt
Quanti, infatti, se ne troveranno capaci di astenersi dal commettere un'ingiustizia, una volta che sia stata loro assicurata impunità e l'ignoranza di tutti

Facciamo la prova, se non hai nulla in contrario, e proprio basandoci su quegli esempi, in cui gli uomini in generale non credono, forse, di essere in fallo

Non si deve trattare, qui dei sicari, degli avvelenatori, dei falsificatori di testamenti, dei ladri, dei rei di peculato, che non devono essere domati con le parole e le discussioni dei filosofi, ma con le catene e il carcere; consideriamo, invece, le azioni di coloro che godono la fama di uomini dabbene

Taluni portarono dalla Grecia in Roma un falso testamento di Lucio Minuoio Basilo, uomo ricco; per poter raggiungere con maggior facilità il loro scopo, vi misero come eredi, insieme a loro, Marco Crasso e Quinto Ortensio, due uomini tra i più importanti in quel periodo; costoro, pur avendo sospettato che il testamento fosse falso, ma non essendo complici di alcuna colpa, non rifiutarono il piccolo regalo che veniva loro dalla colpa altrui
Quid ergo satin est hoc, ut non deliquisse videantur

Mihi quidem non videtur, quamquam alterum vivum amavi, alterum non odi mortuum

Sed cum Basilus M Satrium sororis filium nomen suum ferre voluisset eumque fecisset heredem hunc dico patronum agri Piceni et Sabini; o turpe notam temporum nomen illorum, non erat aequum principes civis rem habere, ad Satrium nihil praeter nomen pervenire

Etenim si is, qui non defendit iniuriam neque propulsat a suis, cum potest, iniuste facit, ut in primo libro disserui, qualis habendus est is, qui non modo non repellit, sed etiam adiuvat iniuriam

Mihi quidem etiam verae hereditates non honestae videntur, si sunt malitiosis blanditiis, officiorum non veritate, sed simulatione quaesitae

Atqui in talibus rebus aliud utile interdum, aliud honestum videri solet
Dunque, è sufficiente questo perchè non sembrino colpevoli

In verità non mi pare, sebbene abbia amato l'uno, quando era in vita, e non nutra odio nei confronti dell'altro, ora che è morto

Ma avendo voluto Basilo dare il suo nome a Marco Satrio, figlio di sua sorella, e avendolo fatto erede parlo di colui che fu patrono dell'agro piceno e sabino, o vergogna dei tempi, il nome di quelli, non era giusto che due tra i principali cittadini avessero il patrimonio e a Satrio non toccasse nulla, ad eccezione del nome

Se, come ho spiegato nel primo libro, colui che non si oppone all'ingiustizia e non la tiene lontana dai suoi, pur potendolo, si comporta ingiustamente, che giudizio bisogna dare di colui che non solo non allontana l'ingiustizia, ma anzi l'appoggia

A me, sinceramente, non sembrano oneste neanche le vere eredità, se sono ottenute per mezzo di lusinghe piene di malizia, con devozione non sincera, ma simulata

Eppure in tali argomenti una cosa suole sembrare l'utile, un'altra l'onesto
Falso; nam eadem utilitatis quae honestatis est regula

Qui hoc non perviderit, ab hoc nulla fraus aberit, nullum facinus

Sic enim cogitans est istuc quidem honestum, verum hoc expedit, res a natura copulatas audebit errore divellere, qui fons est fraudium, maleficiorum, scelerum omnium

Itaque si vir bonus habeat hanc vim, ut, si digitis concrepuerit, possit in locupletium testamenta nomen eius inrepere, hac vi non utatur, ne si exploratum quidem habeat id omnino neminem umquam suspicaturum

At dares hanc vim M Crasso, ut digitorum percussione heres posset scriptus esse, qui re vera non esset heres, in foro, mihi crede, saltaret

Homo autem iustus isque, quem sentimus virum bonum, nihil cuiquam, quod in se transferat, detrahet

Hoc qui admiratur, is se, quid sit vir bonus, nescire fateatur
A torto, perché la norma dell'utile è la stessa dell'onesto

Se uno non si renderà conto di ciò, sarà capace di ogni frode, di ogni delitto

Ragionando, infatti, così: Questo, in verità, è onesto, ma quest'altro è utile arriverà al punto di scindere due cose che la natura ha strettamente unito, con un errore che origina frodi, misfatti ed ogni genere di delitti

Perciò se un galantuomo avesse una tale potenza da essere in grado di far inserire il suo nome nei testamenti con un semplice schiocco delle dita, non se ne servirebbe, neppure se avesse la sicurezza che nessuno mai nutrirebbe sospetti

Ma se tu dessi questo potere a Marco Crasso, d'essere cioè, con un semplice schiocco delle dita, registrato come erede senza essere realmente erede, credi a me, si metterebbe a danzare nel Foro

Invece l'uomo giusto e quello che intendiamo per uomo onesto, non sottrarrebbe niente a nessuno per prenderselo per sé

Chi si meraviglia di ciò, ammette di non sapere che cosa sia un uomo onesto

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Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 04
Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 04

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 01 - Parte 04

At vero, si qui voluerit animi sui complicatam notionem evolvere, iam se ipse doceat eum virum bonum esse, qui prosit, quibus possit, noceat nemini nisi lacessitus iniuria

Quid ergo, hic non noceat, qui quodam quasi veneno perficiat, ut veros heredes moveat, in eorum locum ipse succedat

Non igitur faciat dixerit quis, quod utile sit, quod expediat

Immo intellegat nihil nec expedire nec utile esse, quod sit iniustum

Hoc qui non didicerit, bonus vir esse non poterit
Ma se qualcuno vorrà sviluppare il concetto involuto nel proprio animo, si convincerà che è uomo onesto colui che giova a chi può e non nuoce ad alcuno, a meno che non sia stato provocato da un'offesa

Dunque, non nuoce chi, con una specie di sortilegio, fa in modo d'allontanare i veri eredi per mettersi al posto loro

Non dovrà fare, dunque, dirà qualcuno ciò che è utile, che gli giova

Anzi capisca che nulla giova né è utile, se è ingiusto

Chi non capirà ciò, non potrà essere un uomo onesto
C Fimbriam consularem audiebam de patre nostro puer iudicem M Lutatio Pinthiae fuisse, equiti Romano sane honesto, cum is sponsionem fecisset ni vir bonvs esset; itaque ei dixisse Fimbriam se illam rem numquam iudicaturum, ne aut spoliaret fama probatum hominem, si contra iudicavisset, aut statuisse videretur virum bonum esse aliquem, cum ea res innumerabilibus officiis et laudibus contineretur

Huic igitur viro bono, quem Fimbria etiam, non modo Socrates noverat, nullo modo videri potest quicquam esse utile, quod non honestum sit

Itaque talis vir non modo facere, sed ne cogitare quidem quicquam audebit, quod non audeat praedicare

Haec non turpe est dubitare philosophos, quae ne rustici quidem dubitent
Quand'ero ragazzo sentivo raccontare da mio padre che l'ex console Fimbria fu giudice in un processo riguardante Marco Lutazio Pinzia, onestissimo cavaliere romano, che si era impegnato a pagare una somma se una sentenza da lui provocata non l'avesse dichiarato galantuomo; Fimbria gli disse che non avrebbe mai fatto da giudice in quella questione, per non togliere la reputazione ad un uomo stimato, in caso di un giudizio negativo, o per non sembrare di aver decretato che un uomo è onesto, dal momento che tale qualità presuppone innumerevoli doveri e virtù

A quest'uomo buono, di cui aveva un'idea ben precisa non solo Socrate, ma anche Fimbria, in nessun modo può sembrare utile una cosa che non sia onesta

Di conseguenza un tale uomo non solo non oserà fare, ma neppure pensare alcunché che non oserebbe dire pubblicamente

Non è vergognoso che i filosofi siano indecisi su ciò che non suscita dubbi neanche nei contadini

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 02

a quibus natum est id, quod iam contritum est vetustate proverbium: Cum enim fidem alicuius bonitatemque laudant, dignum esse dicunt, quicum in tenebris mices

Hoc quam habet vim nisi illam, nihil expedire quod non deceat, etiam si id possis nullo refellente optinere

Videsne hoc proverbio neque Gygi illi posse veniam dari neque huic, quem paulo ante fingebam digitorum percussione hereditates omnium posse converrere

Ut enim, quod turpe est, id, quamvis occultetur, tamen honestum fieri nullo modo potest, sic, quod honestum non est, id utile ut sit effici non potest adversante et repugnante natura

At enim cum permagna praemia sunt, est causa peccandi
Da essi derivò quel proverbio ormai logoro per l'uso: quando vogliono lodare la lealtà e la bontà di qualcuno, dicono che è degno che si giuochi alla morra con lui al buio

Che significa questo, se non che nulla è conveniente se non è lecito moralmente, anche se noi lo possiamo ottenere senza che alcuno ci smentisca

Non vedi che in base a questo proverbio non si può giustificare né quel famoso Gige né costui che poco fa ho immaginato capace di accaparrarsi tutte le eredità con un semplice schiocco delle dita

Come, difatti, ciò che è turpe non può in alcun modo diventare onesto, benché lo si nasconda, così ciò che onesto non è, non può esser mutato in utile, se la natura vi si oppone e vi fa resistenza

Ma quando si prevedono grandi vantaggi, vi sarebbe un motivo per cadere in fallo
C Marius, cum a spe consulatus longe abesset et iam septimum annum post praeturam iaceret neque petiturus umquam consulatum videretur, Q Metellum, cuius legatus erat, summum virum et civem cum ab eo, imperatore suo, Romam missus esset, apud populum Romanum criminatus est, bellum illum ducere, si se consulem fecissent, brevi tempore aut vivum aut mortuum Iugurtham se in potestatem populi Romani redacturum

Itaque factus est ille quidem consul, sed a fide iustitiaque discessit, qui optimum et gravissimum civem, cuius legatus et a quo missus esset, in invidiam falso crimine adduxerit
Gaio Mario era molto lontano dalla speranza di divenir console e ormai da sette anni dopo la pretura era abbandonato da tutti né dava l'impressione che avrebbe mai presentato la propria candidatura al consolato; inviato a Roma dal suo comandante Quinto Metallo, di cui era luogotenente, uomo e cittadino di altissime qualità, lo accusò presso il popolo romano di tirare alle lunghe la guerra

Se lo avessero fatto console, avrebbe consegnato in poco tempo Giugurta, vivo o morto, in potere del popolo romano; e così egli fu eletto console, ma si allontanò dalla lealtà e dalla giustizia, poiché con una falsa accusa suscitò odiosità nei confronti di un cittadino ottimo e rispettabilissimo, del quale era luogotenente e dal quale era stato inviato

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Ne noster quidem Gratidianus officio viri boni functus est tum, cum praetor esset, collegiumque praetorium tribuni plebi adhibuissent, ut res nummaria de communi sententia constitueretur; iactabatur enim temporibus illis nummus sic, ut nemo posset scire, quid haberet

Conscripserunt communiter edictum cum poena atque iudicio constitueruntque, ut omnes simul in rostra post meridiem escenderent

Et ceteri quidem alius alio: Marius ab subselliis in rostra recta idque, quod communiter compositum fuerat, solus edixit

Et ea res, si quaeris, ei magno honori fuit; omnibus vicis statuae, ad eas tus, cerei

Quid multa

Nemo umquam multitudini fuit carior
Neppure il nostro parente Gratidiano adempì al dovere di un uomo onesto, allorché egli era pretore e i tribuni della plebe avevano convocato il collegio dei pretori per regolare di comune accordo la situazione monetaria; in quel periodo, difatti, il valore del nummo oscillava in modo tale che nessuno era in grado di sapere quanto possedesse

Stesero di comune accordo un editto, in cui era indicata la pena e la relativa procedura giudiziaria, e decisero di presentarsi tutti insieme sui Rostri il pomeriggio

Tutti gli altri andarono chi da una parte, chi da un'altra; Mario si recò direttamente dagli scanni dei tribuni ai Rostri e da solo pubblicò quell'editto che era stato redatto in comune

E questa cosa, se vuoi saperlo, gli tornò di grande onore; gli furono innalzate statue in tutti i rioni, e dinanzi ad esse incenso e fiaccole di cera

A che serve dilungarsi

Nessuno fu mai più caro alla folla
Haec sunt, quae conturbent in deliberatione non numquam, cum id, in quo violatur aequitas, non ita magnum, illud autem, quod ex eo paritur, permagnum videtur, ut Mario praeripere collegis et tribunis plebi popularem gratiam non ita turpe, consulem ob eam rem fieri, quod sibi tum proposuerat, valde utile videbatur

Sed omnium una regula est, quam tibi cupio esse notissimam: aut illud, quod utile videtur, turpe ne sit, aut si turpe est, ne videatur esse utile

Quid igitur

possumusne aut illum Marium virum bonum iudicare aut hunc

Explica atque excute intellegentiam tuam, ut videas, quae sit in ea species forma et notio viri boni

Cadit ergo in virum bonum mentiri, emolumenti sui causa criminari, praeripere, fallere

Nihil profecto minus

Est ergo ulla res tanti aut commodum ullum tam expetendum, ut viri boni et splendorem et nomen amittas
Sono questi i casi che spesso, quando dobbiamo decidere, ci rendono dubbiosi, allorché la violazione dell'equità non sembra rilevante, ma appare grandissimo il vantaggio che da essa deriva: così, ad esempio, a Mario non sembrava tanto riprovevole carpire il favore popolare ai colleghi e ai tribuni della plebe, ma molto utile diventar console con quel mezzo, ciò che egli si era proposto

Ma in tutti questi casi esiste una sola regola, che desidero ti sia notissima: o che non sia turpe quello che sembra utile o, se è turpe, che non sembri essere utile

E che, dunque

Possiamo giudicare probo il primo o il secondo Mario

Dispiega e fà funzionare la tua intelligenza, per vedere quale sia in essa il concetto e la nozione di uomo dabbene

Si addice, dunque, ad un uomo onesto mentire per proprio vantaggio, accusare, sottrarre, ingannare

Niente gli si addice di meno, questo è certo

Vi è, dunque, una cosa tanto importante o un vantaggio tanto desiderabile, da far si che tu perda l'aureola e il nome di uomo probo

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Quid est, quod afferre tantum utilitas ista, quae dicitur, possit, quantum auferre, si boni viri nomen eripuerit, fidem iustitiamque detraxerit

Quid enim interest, utrum ex homine se convertat quis in beluam an hominis figura immanitatem gerat beluae

Quid

qui omnia recta et honesta neglegunt, dummodo potentiam consequantur, nonne idem faciunt, quod is, qui etiam socerum habere voluit eum, cuius ipse audacia potens esset

Utile ei videbatur plurimum posse alterius invidia ; Id quam iniustum in patriam et quam turpe esset, non videbat

Ipse autem socer in ore semper Graecos versus de Phoenissis habebat, quos dicam ut potero; incondite fortasse sed tamen, ut res possit intellegi: Nam si violandum est ius, regnandi gratia,Violandum est; aliis rebus pietatem colas
Che cosa ti potrebbe dare di tanto grande questa cosiddetta utilità, quanto piuttosto togliere, se si sottrae il nome di uomo probo, se ti porta via la lealtà e la giustizia

Che differenza c'è, difatti, tra il mutarsi da uomo in bestia o il portare, sotto l'aspetto di uomo, l'indole crudele d'una belva

E che

Quanti trascurano ogni rettitudine e onestà, pur di raggiungere la potenza, non si comportano proprio come colui che volle avere per suocero un uomo, la cui audacia giovasse alla propria potenza

Gli sembrava utile raggiungere la massima potenza a spese dell'impopolarità altrui, ma non si rendeva conto di quanto ciò fosse ingiusto e vergognoso nei confronti della patria

E quel suocero aveva continuamente sulle labbra i versi greci delle Fenicie, che dirò come potrò, forse rozzamente, ma tuttavia in modo che si possa capire il contenuto: Se si deve violare il diritto, bisogna violarlo per il potere assoluto; per il resto coltiva la pietà

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