Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01, pag 3

Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 01
Etenim multo magis est secundum naturam excelsitas animi et magnitudo itemque comitas, iustitia, liberalitas quam voluptas, quam vita, quam divitiae; quae quidem contemnere et pro nihilo ducere comparantem cum utilitate communi magni animi et excelsi est

Detrahere autem de altero sui commodi causa magis est contra naturam quam mors, quam dolor, quam cetera generis eiusdem

temque magis est secundum naturam, pro omnibus gentibus, si fieri possit, conservandis aut iuvandis, maximos labores molestiasque suscipere imitantem Herculem illum, quem hominum fama beneficiorum memor in concilio caelestium conlocavit quam vivere in solitudine non modo sine ullis molestiis sed etiam in maximis voluptatibus, abundantem omnibus copiis, ut excellas etiam pulchritudine et viribus
Infatti sono molto di più secondo natura l'elevatezza d'animo e la grandezza, ed ugualmente l'affabilità, la giustizia, la generosità, che non il piacere, la vita e le ricchezze: è proprio di un animo grande ed elevato disprezzare questi beni e ritenerli cose di nessun valore a confronto dell'utile comune

Sottrarre, invece, ad un altro a causa del proprio vantaggio è più contro natura della stessa morte, del dolore e delle altre calamità simili

Allo stesso modo è più secondo natura, per conservare ed aiutare se possibile tutte le genti, sobbarcarsi le più grandi fatiche e disagi, ed imitare il famoso Ercole, che la fama degli uomini, memore dei benefici ricevuti, collocò nel consesso degli dei; è molto meglio, dunque, tutto questo che vivere in solitudine non solo senza alcun affanno, ma anche tra i più raffinati piaceri, ricchi di ogni sorta di beni, sì da eccellere anche in bellezza ed in forza
Quocirca optimo quisque et splendidissimo ingenio longe illam vitam huic anteponit; ex quo efficitur, hominem naturae oboedientem homini nocere non posse

Deinde qui alterum violat, ut ipse aliquid commodi consequatur, aut nihil existimat se facere contra naturam aut magis fugienda censet mortem, paupertatem, dolorem, amissionem etiam liberorum, propinquorum, amicorum, quam facere cuiquam iniuriam

Si nihil existimat contra naturam fieri hominibus violandis, quid cum eo disseras, qui omnino hominem ex homine tollat

Sin fugiendum id quidem censet, sed multo illa peiora, mortem, paupertatem, dolorem, errat in eo, quod ullum aut corporis aut fortunae vitium vitiis animi gravius existimat
Perciò ogni persona fornita di un'indole assai nobile e superiore, preferisce di gran lunga quella vita a questa; da ciò si deduce che l'uomo che obbedisca alla natura non può nuocere ad un altro uomo

Inoltre colui che fa del male ad un altro per conseguire qualche vantaggio, o ritiene di non far niente contro natura o giudica che si debbano piuttosto tenere a distanza la morte, la povertà, il dolore, la perdita anche dei figli, dei parenti, degli amici, anziché recare offesa a qualcuno

Se crede di non compiere niente contro natura col far violenza agli uomini, a che pro discutere con una persona che sopprime completamente l'umanità nell'uomo

Se invece pensa che si debba evitare ciò, ma che siano molto peggiori i mali, come la morte, la povertà, il dolore, sbaglia in questo, che ritiene più gravi dei difetti dell'animo quelli riguardanti il corpo o la fortuna
Ergo unum debet esse omnibus propositum, ut eadem sit utilitas uniuscuiusque et universorum; quam si ad se quisque rapiet, dissolvetur omnis humana consortio

Atque etiam si hoc natura praescribit, ut homo homini, quicumque sit, ob eam ipsam causam, quod is homo sit, consultum velit, necesse est secundum eandem naturam omnium utilitatem esse communem

Quod si ita est, una continemur omnes et eadem lege naturae, idque ipsum si ita est, certe violare alterum naturae lege prohibemur

Verum autem primum, verum igitur extremum

Nam illud quidem absurdum est, quod quidam dicunt, parenti se aut fratri nihil detracturos sui commodi causa, aliam rationem esse civium reliquorum

Hi sibi nihil iuris, nullam societatem communis utilitatis causa statuunt esse cum civibus quae sententia omnem societatem distrahit civitatis
Uno solo, dunque, deve essere lo scopo di tutti: che coincida l'utile individuale con quello di tutti, in quanto se ciascuno se lo arrogherà, tutta la società umana andrà in frantumi

E anche se la natura prescrive che l'uomo provveda ad un altro uomo, qualunque esso sia, per il fatto stesso che è uomo, ne consegue necessariamente, secondo la stessa legge di natura, che l'utilità di ogni individuo coincide con quella comune

E se le cose stanno così, noi tutti siamo regolati da un'unica e medesima legge di natura, e se è proprio cosi, certamente la legge di natura ci proibisce di far violenza ai nostri simili

Vera la premessa, vera, dunque, la conseguenza

Infatti è certamente assurda quella frase che dicono alcuni, che essi non sottrarrebbero nulla al padre,o al fratello per il proprio vantaggio, ma che diverso è il criterio da seguire nei riguardi degli altri cittadini

Costoro pensano di non avere alcun vincolo giuridico o sociale, a causa dell'utile, con i propri concittadini, opinione, questa, che disintegra ogni società umana

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Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 01
Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 01 - Parte 01

Qui autem civium rationem dicunt habendam, externorum negant, ii dirimunt communem humani generis societatem; qua sublata beneficentia, liberalitas, bonitas, iustitia funditus tollitur; quae qui tollunt, etiam adversus deos immortales impii iudicandi sunt

Ab iis enim constitutam inter homines societatem evertunt, cuius societatis artissimum vinculum est magis arbitrari esse contra naturam hominem homini detrahere sui commodi causa quam omnia incommoda subire vel externa vel corporis vel etiam ipsius anim; iustitia enim una virtus omnium est domina et regina virtutum

Forsitan quispiam dixerit: Nonne igitur sapiens, si fame ipse conficiatur, abstulerit cibum alteri homini ad nullam rem utili

Minime vero: non enim mihi est vita mea utilior quam animi talis affectio, neminem ut violem commodi mei gratia

Quid
Coloro, poi, i quali affermano che si deve avere considerazione per i concittadini, ma non per i forestieri, spezzano il comune vincolo sociale del genere umano, soppresso il quale, la beneficenza, la generosità, la bontà e la giustizia sono sradicate sin dalle fondamenta; e coloro che distruggono queste virtù devono essere giudicati empi anche verso gli dei immortali

Abbattono, infatti, proprio quella società stabilita dagli dei tra gli uomini, società il cui vincolo più saldo consiste nel ritenere che sia più contro natura che l'uomo sottragga all'uomo per il proprio vantaggio, piuttosto che subisca ogni danno o esterno o fisico o anche morale che mancano di giustizia: infatti questa sola è la signora e la regina di tutte le virtù

Forse qualcuno potrebbe dire: un sapiente, nel caso che fosse oppresso dalla fame, non potrebbe sottrarre del cibo ad un altro uomo, che non gli è di alcuna utilità

Nient'affatto, perché la mia vita non è per me più utile di una tale disposizione dell'animo, e cioè di non far violenza ad alcuno per un mio vantaggio personale

E allora
si Phalarim, crudelem tyrannum et immanem, vir bonus, ne ipse frigore conficiatur, vestitu spoliare possit, nonne faciat

Haec ad iudicandum sunt facillima

Nam si quid ab homine ad nullam partem utili utilitatis tuae causa detraxeris, inhumane feceris contraque naturae legem, sin autem is tu sis, qui multam utilitatem rei publicae atque hominum societati, si in vita remaneas, adferre possis si quid ob eam causam alteri detraxeris, non sit reprehendendum

Sin autem id non sit eiusmodi, suum cuique incommodum ferendum est potius quam de alterius commodis detrahendum

Non igitur magis est contra naturam morbus aut egestas aut quid eiusmodi quam detractio atque appetitio alieni, sed communis utilitatis derelictio contra naturam est; est enim iniusta
Se un uomo onesto, per non morire di freddo, potesse spogliare del vestito Falaride, tiranno crudele e disumano, forse che non lo farebbe

Per questi interrogativi è assai facile trovare una risposta

Infatti se tu avessi sottratto qualcosa ad un uomo che non è di alcuna utilità per il tuo particolare vantaggio, avresti compiuto un'azione disumana e contraria alla legge di natura; se invece tu fossi tale da poter apportare molto giovamento allo Stato e alla società umana, rimanendo in vita, se sottraessi ad un altro per quel motivo non saresti da biasimare

Ma se invece la motivazione non è di tal genere, ciascuno deve sopportare la propria situazione di svantaggio piuttosto che sottrarre qualcosa dai vantaggi di un altro

Non sono, dunque, contro natura la malattia, la povertà o altri mali simili, più che il sottrarre o il desiderare le cose altrui, ma è contro natura il trascurare l'utilità generale, perché è ingiusto

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Itaque lex ipsa naturae, quae utilitatem hominum conservat et continet, decernet profecto, ut ab homine inerti atque inutili ad sapientem, bonum, fortem virum transferantur res ad vivendum necessariae, qui si occiderit, multum de communi utilitate detraxerit, modo hoc ita faciat, ut ne ipse de se bene existimans seseque diligens hanc causam habeat ad iniuriam

Ita semper officio fungetur utilitati consulens hominum et ei, quam saepe commemoro, humanae societati

Nam quod ad Phalarim attinet, perfacile iudicium est

Nulla est enim societas nobis cum tyrannis et potius summa distractio est, neque est contra naturam spoliare eum, si possis, quem est honestum necare, atque hoc omne genus pestiferum atque impium ex hominum communitate exterminandum est
Così sarà la stessa legge naturale, che conserva e assicura il benessere generale, a stabilire senza dubbio che i beni necessari alla vita siano passati dall'uomo incapace ed inutile all'uomo sapiente, buono e coraggioso, che, morendo, sottrarrà molto all'utilità generale, purché costui, avendo un alto concetto di sé ed amando troppo se stesso, non tragga da ciò il pretesto per compiere un'ingiustizia

Si compirà sempre il proprio dovere, provvedendo all'utilità degli uomini ed a quella società umana, che io spesse volte ricordo

Per ciò che riguarda, difatti, l'esempio di Falaride, la risposta è assai facile

Non sussiste per noi alcun rapporto sociale coi tiranni; piuttosto vi è un estremo distacco; non è contro natura se è possibile spogliare dei suoi beni colui che è addirittura onesto uccidere, e tutto questo genere pestifero ed empio deve essere sterminato dalla comunità umana
Etenim, ut membra quaedam amputantur, si et ipsa sanguine et tamquam spiritu carere coeperunt et nocent reliquis partibus corporis, sic ista in figura hominis feritas et immanitas beluae a communi tamquam humanitate corporis segreganda est

Huius generis quaestiones sunt omnes eae, in quibus ex tempore officium exquiritur

Eiusmodi igitur credo res Panaetium persecuturum fuisse, nisi aliqui casus aut occupatio eius consilium peremisset

Ad quas ipsas consultationes ex superioribus libris satis multa praecepta sunt, quibus perspici possit, quid sit propter turpitudinem fugiendum, quid sit, quod idcirco fugiendum non sit, quod omnino turpe non sit
Infatti come si amputano certe membra, se esse cominciano a mancare di sangue e quasi di vita e nuocciono alle altre parti del corpo, cosi questa belva feroce e selvaggia dall'aspetto d'uomo deve essere allontanata, per cosi dire, dal corpo comune dell'umanità

Di tal genere sono tutte quelle questioni, nelle quali si studia il dovere in rapporto alle circostanze

Io credo, dunque, che Panezio avrebbe trattato simili questioni, se qualche evento o qualche occupazione non gli avessero impedito l'esecuzione di questo suo progetto

Per queste stesse questioni dai libri precedenti si deducono numerosi consigli, in base ai quali si può distinguere quale azione sia da evitare per la sua disonestà, e quale non si debba evitare proprio perché non è del tutto vergognosa

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 02 - Parte 01

Sed quoniam operi inchoato, prope tamen absoluto, tamquam fastigium imponimus, ut geometrae solent non omnia docere, sed postulare, ut quaedam sibi concedantur, quo facilius quae volunt, explicent, sic ego a te postulo, mi Cicero, ut mihi concedas si potes, nihil praeter id, quod honestum sit, propter se esse expetendum

Sin hoc non licet per Cratippum, at illud certe dabis, quod honestum sit, id esse maxime propter se expetendum

Mihi utrumvis satis est et tum hoc tum illud probabilius videtur nec praeterea quicquam probabile

Ac primum in hoc Panaetius defendendus est, quod non utilia cum honestis pugnare aliquando posse dixerit neque enim ei fas erat sed ea, quae viderentur utilia
Ma poiché all'opera incominciata e quasi portata a termine sto per porre, per così dire, il tetto, come i geometri sono soliti non dimostrare ogni affermazione, ma chiedere che alcune siano loro concesse perché più facilmente possano spiegare il loro assunto, così io ti chiedo, o mio Cicerone, di concedermi, se lo puoi, questo, che non si deve desiderare niente di per se stesso tranne ciò che è onesto

Se invero ciò non ti è permesso, perché contrasta con le teorie di Cratippo, mi concederai sicuramente questo, che l'onesto si deve desiderare soprattutto per se stesso

A me basta o l'uno o l'altro; ed ora questo ora quello mi pare più probabile, ed inoltre non mi pare probabile alcun altro postulato

In primo luogo a questo proposito bisogna appoggiare Panezio, perché egli non ha affermato che l'utile possa contrastare talvolta con l'onesto e non gli era lecito dire ciò ma che possono contrastare con l'onesto quelle cose che hanno l'apparenza dell'utile
Nihil vero utile, quod non idem honestum, nihil honestum, quod non idem utile sit, saepe testatur negatque ullam pestem maiorem in vitam hominum invasisse quam eorum opinionem, qui ista distraxerint

Itaque non ut aliquando anteponeremus utilia honestis, sed ut ea sine errore diiudicaremus, si quando incidissent, induxit eam, quae videretur esse, non quae esset, repugnantiam

Hanc igitur partem relictam explebimus nullis adminiculis, sed, ut dicitur, Marte nostro

Neque enim quicquam est de hac parte post Panaetium explicatum, quod quidem mihi probaretur, de iis, quae in manus meas venerint
In verità spesso dichiara che non c'è niente di utile che non sia pure onesto, e niente di onesto che non sia pure utile, e dice che nessun male ha colpito maggiormente la vita degli uomini che la dottrina di quanti hanno distinto questi concetti

Perciò non per anteporre talvolta l'utile all'onesto, ma per giudicare, senza incorrere in errore, le cose utili nel caso che qualche volta ciò accadesse introdusse nel suo discorso quel contrasto apparente, ma non reale

Esporrò, dunque, quest'ultima parte, senza alcun aiuto, ma, come si dice, con le mie sole armi

Infatti, dopo Panezio, non è stato formulato nulla, intorno a questa parte, che possa ottenere il mio consenso tra gli scritti che sono capitati nelle mie mani

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Cum igitur aliqua species utilitatis obiecta est, commoveri necesse est ;sed si, cum animum attenderis, turpitudinem videas adiunctam ei rei, quae speciem utilitatis attulerit, tum non utilitas relinquenda est, sed intellegendum, ubi turpitudo sit, ibi utilitatem esse non posse

Quod si nihil est tam contra naturam quam turpitudo recta enim et convenientia et constantia natura desiderat aspernaturque contraria nihilque tam secundum naturam quam utilitas, certe in eadem re utilitas et turpitudo esse non potest

Itemque, si ad honestatem nati sumus eaque aut sola expetenda est, ut Zenoni visum est, aut certe omni pondere gravior habenda quam reliqua omnia, quod Aristoteli placet, necesse est, quod honestum sit, id esse aut solum aut summum bonum, quod autem bonum, id certe utile, ita, quicquid honestum, id utile
Quando, dunque, ci si presenta qualche cosa apparentemente utile, inevitabilmente ne siamo impressionati; ma se, riflettendo, si vede la disonestà intrinsecamente legata a ciò che aveva l'apparenza dell'utilità, allora non è l'utile che si deve abbandonare, ma si deve comprendere che non vi può essere utilità là dove c'è la disonestà

Se non vi è niente tanto contro natura quanto la disonestà la natura, infatti, richiede rettitudine, armonia, coerenza e disprezza il contrario di queste qualità, e niente è tanto conforme a natura quanto l'utile; ne consegue che dove c'è l'utile non può esserci la disonestà

Allo stesso modo, se siamo nati per l'onestà e quella sola deve essere l'oggetto delle nostre aspirazioni come sembrò a Zenone o almeno deve esser ritenuta più importante di ogni altra cosa secondo il pensiero di Aristotele , necessariamente l'onesto o è il solo o è il sommo bene, e sicuramente ciò che è onesto è utile, e così qualsiasi azione onesta è anche utile

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