Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01, pag 4

Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 01

Quare error hominum non proborum, cum aliquid, quod utile visum est, arripuit, id continuo secernit ab honesto

Hinc sicae, hinc venena, hinc falsa testamenta nascuntur, hinc furta, peculatus, expilationes, direptionesque sociorum et civium, hinc opum nimiarum, potentiae non ferendae, postremo etiam in liberis civitatibus regnandi existunt cupiditates, quibus nihil nec taetrius nec foedius excogitari potest

Emolumenta enim rerum fallacibus iudiciis vident, poenam, non dico legum, quam saepe perrumpunt, sed ipsius turpitudinis, quae acerbissima est, non vident

Quam ob rem hoc quidem deliberantium genus pellatur e medio est enim totum sceleratum et impium, qui deliberant, utrum id sequantur, quod honestum esse videant, an se scientes scelere contaminent; in ipsa enim dubitatione facinus inest, etiamsi ad id non pervenerint
Perciò questo è l'errore degli uomini non onesti, che, quando si impadroniscono di qualche cosa che abbia l'apparenza dell'utile, subito la scindono dall'onesto

Di qui nascono i pugnali, i veleni, i falsi testamenti, di qui i furti, i peculati, le spogliazioni e le depredazioni degli alleati e dei concittadini, di qui sorge la cupidigia di eccessive ricchezze e di intollerabile potere e, infine, anche la bramosia di regnare nelle libere città, bramosia di cui niente si può immaginare di più infame e deprecabile

Essi vedono, infatti, con il loro erroneo giudizio il guadagno, e non il castigo, non dico quello delle leggi, che spesso riescono a spezzare, ma quello della stessa disonestà, che è assai aspro

Si tolgano, perciò, di mezzo tutte queste persone giacché sono tutte scellerate ed empie che si pongono il problema se seguire quello che vedono essere onesto o macchiarsi scientemente di un delitto; nello stesso dubbio è insita la colpa, anche se essi non vi sono giunti
Ergo ea deliberanda omnino non sunt, in quibus est turpis ipsa deliberatio

Atque etiam ex omni deliberatione celandi et occultandi spes opinioque removenda est; satis enim nobis, si modo in philosophia aliquid profecimus, persuasum esse debet, si omnes deos hominesque celare possimus, nihil tamen avare, nihil iniuste, nihil libidinose, nihil incontinenter esse faciendum
Non bisogna, dunque, decidere nemmeno su argomenti il cui esame stesso è disonesto

Ugualmente in ogni decisione bisogna tener lontana la speranza e la convinzione di potersi nascondere e celarsi; dovremmo essere abbastanza convinti, se pure abbiamo fatto qualche progresso nello studio della filosofia, che, pur potendo tenere all'oscuro tutti gli dei e gli uomini, ciò nonostante non dobbiamo compiere niente per desiderio di guadagno, niente con ingiustizia, niente per passione o smoderatezza
Hinc ille Gyges inducitur a Platone, qui cum terra discessisset magnis quibusdam imbribus, descendit in illum hiatum aeneumque equum, ut ferunt fabulae, animadvertit, cuius in lateribus fores essent; quibus apertis corpus hominis mortui vidit magnitudine invisitata anulumque aureum in digito; quem ut detraxit, ipse induit erat autem regius pastor, tum in concilium se pastorum recepit; ibi cum palam eius anuli ad palmam converterat, a nullo videbatur, ipse autem omnia videbat; idem rursus videbatur, cum in locum anulum inverterat

Itaque hac oportunitate anuli usus reginae stuprum intulit eaque adiutrice regem dominum interemit, sustulit quos obstare arbitrabatur, nec in his eum facinoribus quisquam potuit videre

Sic repente anuli beneficio rex exortus est Lydiae
Di qui trae l'origine il noto aneddoto di Gige introdotto da Platone: essendosi la terra spaccata per certe grandi piogge, Gige scese in quella voragine e scorse, come dicono le leggende, un cavallo di bronzo, che aveva ai fianchi delle porte; dopo averle aperte scorse il corpo di un uomo morto di grandezza mai vista, con un anello d'oro al dito; glielo tolse e se lo mise, poi si recò all'adunanza dei pastori era, intatti, pastore del re; lì, ogni volta che volgeva il castone dell'anello verso la palma della mano, diveniva invisibile a tutti, mentre egli era in grado di veder tutto; ritornava nuovamente visibile quando rimetteva l'anello al suo posto

E così, servendosi dei poteri concessigli dall'anello, fece violenza alla regina e col suo aiuto uccise il re suo padrone, tolse di mezzo chi, a parer suo, gli si opponeva, e nessuno potè scorgerlo mentre compiva questi delitti

Così, tutto ad un tratto, grazie all'anello divenne re della Lidia

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Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 02
Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 02

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 01 - Parte 02

Hunc igitur ipsum anulum si habeat sapiens, nihil plus sibi licere putet peccare, quam si non haberet; honesta enim bonis viris, non occulta quaeruntur

Atque hoc loco philosophi quidam minime mali illi quidem, sed non satis acuti, fictam et commenticiam fabulam prolatam dicunt a Platone, quasi vero ille aut factum id esse aut fieri potuisse defendat

Haec est vis huius anuli et huius exempli: si nemo sciturus, nemo ne suspicaturus quidem sit, cum aliquid divitiarum, potentiae, dominationis, libidinis causa feceris, si id diis hominibusque futurum sit semper ignotum, sisne facturus

Negant id fieri posse

Quamquam potest id quidem, sed quaero, quod negant posse, id si posset, quidnam facerent

Urgent rustice sane

Negant enim posse et in eo perstant, hoc verbum quid valeat non vident
Se, dunque, il sapiente avesse questo stesso anello, penserebbe che non gli fosse lecito peccare più che se non l'avesse; i galantuomini, difatti, cercano l'onestà, non la segretezza

A questo proposito taluni filosofi, niente affatto mediocri, ma non abbastanza acuti, affermano che Platone ha riferito un aneddoto falso ed immaginario, quasi che egli sostenesse che ciò fosse avvenuto o potrebbe essere avvenuto

Ecco il significato di questo anello e di questo esempio: se nessuno dovesse venire a saperlo e non dovesse neppure sospettarlo, tu, compiendo qualche azione per desiderio di ricchezza, di potenza, di dominio, di piacere, lo faresti, se ciò fosse destinato a rimanere ignoto per sempre agli dei e agli uomini

Negano questa possibilità

Non è assolutamente possibile, ma io domando che cosa farebbero se fosse possibile ciò che essi dicono impossibile

Insistono in una maniera veramente da zotici

Dicono, infatti, che non è possibile, rimangono su questa posizione e non scorgono il significato di queste mie parole
Cum enim quaerimus, si celare possint, quid facturi sint, non quaerimus, possintne celare, sed tamquam tormenta quaedam adhibemus, ut si responderint se impunitate proposita facturos, quod expediat, facinorosos se esse fateantur, si negent, omnia turpia per se ipsa fugienda esse concedant

Sed iam ad propositum revertamur

Incidunt multae saepe causae, quae conturbent animos utilitatis specie, non, cum hoc deliberetur, relinquendane sit honestas propter utilitatis magnitudinem nam id quidem improbum est, sed illud, possitne id, quod utile videatur, fieri non turpiter

Cum Collatino collegae Brutus imperium abrogabat, poterat videri facere id iniuste; fuerat enim in regibus expellendis socius Bruti consiliorum et adiutor
Quando domandiamo, che cosa farebbero se lo potessero celare, non domandiamo se possano celarlo, ma adoperiamo nei loro confronti per così dire degli strumenti di tortura, perché, se rispondessero che, sotto assicurazione d'impunità, farebbero quanto loro conviene, ammettano implicitamente d'essere dei malfattori, se invece lo negassero, ammettano che tutte le azioni turpi debbono essere evitate di per se stesse

Ma ritorniamo, ormai, all'argomento

Si presentano spesso molte cause che turbano l'animo con l'apparenza dell'utile, non quando ci si chiede se si debba abbandonare l'onestà per le dimensioni dell'utilità giacché questo è disonesto , ma se si possa compiere in modo non disonesto ciò che sembra utile

Quando Bruto destituiva dalla sua carica il collega Collatino, poteva sembrare che, cosi facendo, si comportasse ingiustamente, perché egli, al periodo della cacciata della monarchia, era stato compagno di disegni e aiutante di Bruto

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Cum autem consilium hoc principes cepissent, cognationem Superbi nomenque Tarquiniorum et memoriam regni esse tollendam, quod erat utile, patriae consulere, id erat ita honestum, ut etiam ipsi Collatino placere deberet

Itaque utilitas valuit propter honestatem, sine qua ne utilitas quidem esse potuisset

At in eo rege, qui urbem condidit, non item

Species enim utilitatis animum pepulit eius; cui cum visum esset utilius solum quam cum altero regnare, fratrem interemit

Omisit hic et pietatem et humanitatem, ut id, quod utile videbatur, neque erat, assequi posset, et tamen muri causa opposuit, speciem honestatis nec probabilem nec sane idoneam

Peccavit igitur, pace vel Quirini vel Romuli dixerim
Ma poiché i capi presero la decisione di eliminare i parenti del Superbo e persino il nome dei Tarquini insieme al ricordo dei regno, quello che era utile, cioè il provvedere al bene della patria, era anche onesto, sì che Collatino stesso doveva approvarlo

E così l'utilità prevalse per la sua onestà, in assenza della quale non sarebbe stata possibile l'esistenza della utilità stessa

Ma nel caso del re fondatore della città la cosa andò diversamente

Il suo animo fu spinto dall'apparenza dell'utile: poiché gli era sembrato più utile regnare da solo piuttosto che con un altro, uccise il fratello

Egli mise da parte affetto ed umanità, per poter conseguire quanto sembrava utile e non lo era, e tuttavia tirò in ballo il pretesto del muro, un'apparenza d'onestà né approvabile né abbastanza idonea

Commise, dunque, una colpa, potrei dirlo con buona pace di Quirino o di Romolo
Nec tamen nostrae nobis utilitates omittendae sunt aliisque tradendae, cum his ipsi egeamus, sed suae cuique utilitati, quod sine alterius iniuria fiat, serviendum est

Scite Chrysippus, ut multa, qui stadium, inquit, currit, eniti et contendere debet quam maxime possit, ut vincat, supplantare eum, quicum certet, aut manu depellere nullo modo debet; sic in vita sibi quemque petere, quod pertineat ad usum, non iniquum est, alteri deripere ius non est

Maxime autem perturbantur officia in amicitiis, quibus et non tribuere, quod recte possis et tribuere quod non sit aequum, contra officium est

Sed huius generis totius breve et non difficile praeceptum est ; quae enim videntur utilia, honores, divitiae, voluptates, cetera generis eiusdem, haec amicitiae numquam anteponenda sunt
Non dobbiamo, tuttavia, trascurare i nostri interessi e affidarli agli altri, quando noi stessi ne abbiamo bisogno, ma ciascuno deve preoccuparsi della propria utilità, se ciò avviene senza recare ingiustizia ad altri

Dice bene Crisippo, come al solito: Chi corre nello stadio, deve sforzarsi e lottare quanto più gli è possibile per vincere, ma non deve assolutamente sgambettare o allontanare con la mano il suo rivale: allo stesso modo nella vita non è ingiusto che ciascuno ricerchi ciò che riguarda le sue necessità, ma non è consentito sottrarlo ad un altro

In modo particolare, poi, c'è confusione tra i doveri nelle amicizie, perché è contrario al dovere non concedere agli amici quello che si potrebbe dare giustamente e concedere loro quanto non sarebbe giusto

Ma per tutta questa specie di casi c'è una regola breve e semplice: ciò che sembra utile, onori, ricchezze, piaceri ed altre cose simili, non deve essere mai anteposto all'amicizia

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At neque contra rem publicam neque contra ius iurandum ac fidem amici causa vir bonus faciet, ne si iudex quidem erit de ipso amico; ponit enim personam amici, cum induit iudicis

Tantum dabit amicitiae, ut veram amici causam esse malit, ut orandae litis tempus, quoad per leges liceat, accomodet

Cum vero iurato sententia dicendast, meminerit deum se adhibere testem, id est, ut ego arbitror, mentem suam, qua nihil homini dedit deus ipse divinius

Itaque praeclarum a maioribus accepimus morem rogandi iudicis, si eum teneremus, qvae salva fide facere possit

Haec rogatio ad ea pertinet, quae paulo ante dixi honeste amico a iudice posse concedi;nam si omnia facienda sint, quae amici velint, non amicitiae tales, sed coniurationes putandae sint
Ma un uomo onesto non compirà mai, per un amico, un'azione contraria allo Stato o a un giuramento o alla parola data, neanche se dovrà giudicare lo stesso amico, perché nell'indossare i panni di giudice deporrà quelli di amico

Concederà solo all'amicizia di preferire che la causa dell'amico sia giusta, di accordargli, entro i limiti della legge, il tempo occorrente per difendere la sua causa

Quando, però, dovrà pronunziare la propria sentenza sotto giuramento, si ricordi che prende a testimone la divinità, cioè, come io penso, la sua coscienza, della quale niente di più divino il dio stesso ha dato agli uomini

Pertanto ci è stata tramandata dai nostri antenati una formula bellissima, se ad essa ci attenessimo, per chiedere al giudice quello che egli possa fare, senza turbare la sua coscienza

Questa richiesta riguarda quello che, poco fa, ho detto che poteva essere concesso onestamente da un giudice all'amico; giacché se si dovesse fare tutto ciò che vogliono gli amici, non tali dovrebbero ritenersi le amicizie, ma congiure
Loquor autem de communibus amicitiis; nam in sapientibus viris perfectisque nihil potest esse tale

Damonem et Phintiam Pythagoreos ferunt hoc animo inter se fuisse, ut, cum eorum alteri Dionysius tyrannus diem necis destinavisset et is, qui morti addictus esset, paucos sibi dies commendandorum suorum causa postulavisset, vas factus est alter eius sistendi, ut si ille non revertisset, moriendum esset ipsi ; qui cum ad diem se recepisset, admiratus eorum fidem tyrannus petivit, ut se ad amicitiam tertium adscriberent

Cum igitur id, quod utile videtur in amicitia, cum eo, quod honestum est, comparatur, iaceat utilitatis species, valeat honestas

Cum autem in amicitia, quae honesta non sunt, postulabuntur, religio et fides anteponatur amicitiae; sic habebitur is, quem exquirimus dilectus officii
Parlo delle amicizie comuni; tra gli uomini saggi e perfetti non può esserci, nulla di simile

Si dice che i Pitagorici Damone e Finzia furono talmente legati tra di loro che, avendo il tiranno Dionisio fissato il giorno dell' esecuzione per uno di essi, e avendo il condannato a morte chiesto pochi giorni per affidare i suoi alle cure di qualcuno, l'altro si fece garante della comparizione dell'amico, con la condizione che, se questi non fosse ritornato, egli sarebbe stato ucciso; l'amico tornò il giorno stabilito, e Dionisio, pieno d'ammirazione per la loro lealtà, chiese d'essere ammesso nella loro amicizia come terzo

Quando, dunque, si mette a confronto nell'amicizia ciò che sembra utile con ciò che è onesto, venga meno l'apparenza dell'utile e prevalga l'onestà

Quando, invece, nell'amicizia saranno richieste cose che non sono oneste, la coscienza e la lealtà siano preposte all'amicizia; così verrà fatta quella scelta dei doveri, su cui si sta indagando

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Sed utilitatis specie in republica saepissime peccatur, ut in Corinthi disturbatione nostri; durius etiam Athenienses, qui sciverunt, ut Aeginetis, qui classe valebant, pollices praeciderentur

Hoc visum est utile; nimis enim imminebat propter propinquitatem Aegina Piraeo

Sed nihil, quod crudele, utile; est enim hominum naturae, quam sequi debemus, maxima inimica crudelitas

Male etiam, qui peregrinos urbibus uti prohibent eosque exterminant, ut Pennus apud patres nostros, Papius nuper

Nam esse pro cive, qui civis non sit, rectum est non licere, quam legem tulerunt sapientissimi consules Crassus et Scaevola

Usu vero urbis prohibere peregrinos, sane inhumanum est

Illa praeclara, in quibus publicae utilitatis species prae honestate contemnitur
Ma spesso, nel governo dello Stato, si commettono errori sotto un'apparenza di utilità, come fecero i nostri nella distruzione di Corinto; ancor più duramente si comportarono gli Ateniesi, che decretarono il taglio del pollice per gli Egineti, forti sul mare

Questo parve utile, perché Egina, per la sua vicinanza, minacciava troppo il Pireo

Ma niente che sia crudele è utile; la crudeltà, difatti, è in particolar modo nemica della natura umana, che noi dobbiamo seguire

Agiscono male anche coloro che vietano agli stranieri di godere dei vantaggi della città e li bandiscono, come fece Panno presso i nostri antenati e Papio recentemente

E' giusto, difatti, che non sia lecito che venga attribuito il titolo di cittadino a chi non lo è, in base alla legge proposta da Crasso e Scevola, saggissimi consoli

Ma è del tutto incivile proibire agli stranieri di godere dei vantaggi della città

Belli sono quei casi in cui l'apparenza della utilità pubblica non è tenuta in alcun conto di fronte all'onestà

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