17] Tunc vero quanto ardentius amabam illos, de quibus audiebam salubres affectus, quod se totos tibi sanandos dederant, tanto exsecrabilius me comparatum eis oderam, quoniam multi mei anni mecum effluxerant, forte duodecim anni, ex quo ab undevicesimo anno aetatis meae lecto Ciceronis Hortensio excitatus eram studio sapientiae et differebam contempta felicitate terrena ad eam investigandam vacare, cuius non inventio, sed vel sola inquisitio iam praeponenda erat etiam inventis thesauris regnisque gentium et ad nutum circumfluentibus corporis voluptatibus At ego adulescens miser valde, miser in exordio ipsius adulescentiae, etiam petieram a te castitatem et dixeram: "Da mihi castitatem et continentiam, sed noli modo" |
17] Ma ora più ardente era l'amore che sentivo per i due protagonisti dell'esperienza di salvezza che avevo appena sentito narrare, e più intenso era l'odio che provavo per me confrontandomi a loro, che per la loro guarigione si erano totalmente affidati a te; mentre molti anni della mia vita erano scivolati via con me - forse dodici - da quando a diciott'anni avevo letto l'Ortensio di Cicerone e ne ero stato risvegliato alla filosofia, e ancora non mi decidevo a liberarmi, a trovare il tempo per ricercare, nel disprezzo della felicità terrena, la sapienza: quando questa semplice ricerca - per non parlare della sua scoperta - già era da preferire alla scoperta di tesori e regni, o di una marea di piaceri sensuali tutt'intorno crescente, a un solo cenno; ma l'infelice ragazzo che ero, infelice già sulla soglia della giovinezza, te l'aveva pur chiesta la castità Sì : "Dammi la castità e la continenza, ma non subito", dicevo |
Timebam enim, ne me cito exaudires et cito sanares a morbo concupiscentiae, quem malebam expleri quam extingui Et ieram per vias pravas superstitione sacrilega non quidem certus in ea, sed quasi praeponens eam ceteris, quae non pie quaerebam, sed inimice oppugnabam [7 18] Et putaveram me propterea differre de die in diem contempta spe saeculi te solum sequi, quia non mihi apparebat certum aliquid, quo dirigerem cursum meum Et venerat dies, quo nudarer mihi et increparet in me conscientia mea: "Ubi est lingua Nempe tu dicebas propter incertum verum nolle te abicere sarcinam vanitatis Ecce iam certum est, et illa te adhuc premit umerisque liberioribus pinnas recipiunt, qui neque ita in quaerendo attriti sunt nec decennio et amplius ista meditati" |
Avevo paura che tu mi esaudissi troppo presto, e troppo presto mi guarissi dal male del desiderio, che preferivo vedere soddisfatto piuttosto che estinto E andavo per le male vie di una falsa religiosità, non perché fosse per me una certezza, ma per farmene schermo in qualche modo a tutte le altre fedi: che non interrogavo con devozione, ma polemicamente attaccavo [7 18] E avevo creduto che la ragione per cui differivo di giorno in giorno la rinuncia alle speranze del secolo e la decisione di seguire te soltanto fosse che non vedevo nulla di certo, per orientarmi nel cammino Ed era venuto il giorno che mi spogliava nudo di fronte a me stesso, mentre la mia coscienza gridava a gran morsi: "Dov'è la tua lingua Non dicevi che era l'incertezza a impedirti di liberarti dal carico delle nullità Guarda, adesso la verità è certa, e tu lo porti ancora addosso: a spalle più libere delle tue spuntano le ali, eppure non si sono consumate a questo modo nella ricerca e non hanno passato dieci e più anni curve a meditarci su |
Ita rodebar intus et confundebar pudore horribili vehementer, cum Ponticianus talia loqueretur Terminato autem sermone et causa, qua venerat, abiit ille, et ego ad me Quae non in me dixi Quibus sententiarum verberibus non flagellavi animam meam, ut sequeretur me conantem post te ire Et renitebatur, recusabat et non se excusabat Consumpta erant et convicta argumenta omnia; remanserat muta trepidatio et quasi mortem reformidabat restringi a fluxu consuetudinis, quo tabescebat in mortem Quae secuta sunt in hortulo domus Augustinus in hortulum domus cum Alypio ascendit [8 19] Tum in illa grandi rixa interioris domus meae, quam fortiter excitaveram cum anima mea in cubiculo nostro, corde meo, tam vultu quam mente turbatus invado Alypium, exclamo: "Quid patimur Quid est hoc Quid audisti |
" Così mi rodevo nell'intimo, in uno spaventoso marasma di confusione e vergogna, mentre Ponticiano faceva questo suo racconto; finito che ebbe di parlare e sbrigata la faccenda per cui era venuto, se ne andò, e io tornai a me stesso Che cosa non dissi contro di me Che frustate di parole risparmiai a quest'anima, perché mi seguisse nei miei sforzi di tenerti dietro E resisteva, ricusava e non si scusava Tutti gli argomenti erano consumati e confutati Le restava un tremito silenzioso, il terrore che aveva - come si teme la morte - d'esser sottratta al corso dell'abitudine che la consumava a morte Crisi finale In giardino [8 19] Allora nel mezzo di quella rissa violenta che nella mia casa interiore avevo ingaggiato con l'anima qui nella stanza più segreta, il cuore, con la faccia e la mente sconvolte, irrompo da Alipio: "Non se ne può più " grido; "Cos'è che si sente Gli ignoranti si alzano e ci rubano il cielo, e noi con tutta la nostra erudizione senz'anima, guardaci qui, a rivoltarci nella carne e nel sangue |
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Agostino, Le Confessioni: Libro 03
Latino: dall'autore Agostino, opera Le Confessioni parte Libro 03
Surgunt indocti et caelum rapiunt, et nos cum doctrinis nostris sine corde ecce ubi volutamur in carne et sanguine An quia praecesserunt, pudet sequi et non pudet nec saltem sequi " Dixi nescio qua talia, et abripuit me ab illo aestus meus, cum taceret attonitus me intuens Neque enim solita sonabam Plus loquebantur animum meum frons, genae, oculi, color, modus vocis quam verba, quae promebam Hortulus quidam erat hospitii nostri, quo nos utebamur sicut tota domo; nam hospes ibi non habitabat, dominus domus Illuc me abstulerat tumultus pectoris, ubi nemo impediret ardentem litem, quam mecum aggressus eram, donec exiret, qua tu sciebas, ego autem non; sed tantum insaniebam salubriter et moriebar vitaliter, gnarus, quid mali essem, et ignarus, quid boni post paululum futurus essem Abscessi ergo in hortum et Alypius pedem post pedem |
Cos'è, vergogna di andargli dietro la nostra, di non essere i primi E non ci vergognamo a non seguirli neppure " Cose del genere dissi, e poi la piena del cuore mi strappò via da lui, che mi fissava attonito, in silenzio Neppure la mia voce era più la stessa E più che le parole era la fronte, erano gli occhi e la faccia, il suo colore, il tono della voce a dire quello che provavo La nostra casa aveva un piccolo giardino, di cui avevamo l'uso come di tutto il resto, perché il nostro ospite, il padrone di casa, non abitava lì; là mi spinse quella sommossa del cuore, dove nessuno avrebbe posto freno alla furiosa lite che avevo ingaggiato con me stesso, finché avesse il suo esito: che tu conoscevi, io no Io stavo semplicemente impazzendo per salvarmi e morivo per vivere Sapendo cos'ero di male e ignorando cosa sarei divenuto di buono poco dopo Mi rifugiai in giardino, dicevo, e Alipio dietro, passo dopo passo |
Neque enim secretum meum non erat, ubi ille aderat Aut quando me sic affectum desereret Sedimus quantum potuimus remoti ab aedibus Ego fremebam spiritu indignans indignatione turbulentissima, quod non irem in placitum et pactum tecum, Deus meus, in quod eundum esse omnia ossa mea clamabant et in caelum tollebant laudibus; et non illuc ibatur navibus aut quadrigis aut pedibus, quantum saltem de domo in eum locum ieram, ubi sedebamus Nam non solum ire, verum etiam pervenire illuc nihil erat aliud quam velle ire, sed velle fortiter et integre, non semisauciam hac atque hac versare et iactare voluntatem parte adsurgente cum alia parte cadente luctantem [8 |
Non c'era alcuna indiscrezione nella sua presenza, e poi come avrebbe potuto lasciarmi solo in quello stato Ci sedemmo il più lontano possibile dalla casa Io fremevo nell'intimo, sdegnato fino al furore più incontenibile, per non riuscire a venire incontro a te, al tuo piacere come alla tua alleanza, Dio mio, quando tutte le mie ossa gridavano sì e li esaltavano fino al cielo Non era un viaggio con navi o quadrighe, e neppure a piedi, non richiedeva neppure quei pochi passi che separavano da casa il luogo dove eravamo seduti Perché non solo l'andare, ma anche l'arrivare là non era altro che voler andare: ma volere con forza e integralmente, non coi rigiri e le impennate di una volontà mezzo acciaccata dalla lotta, una volontà che si rialza da una parte per crollare dall'altra Il paradosso della volontà [8 |
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Latino: dall'autore Agostino, opera Le Confessioni parte Libro 01; 11-20
20] Denique tam multa faciebam corpore in ipsis cunctationis aestibus, quae aliquando volunt homines et non valent, si aut ipsa membra non habeant aut ea vel conligata vinculis vel resoluta languore vel quoquo modo impedita sint Si vulsi capillum, si percussi frontem, si consertis digitis amplexatus sum genu, quia volui, feci Potui autem velle et non facere, si mobilitas membrorum non obsequeretur Tam multa ergo feci, ubi non hoc erat velle quod posse; et non faciebam, quod et incomparabili affectu amplius mihi placebat et mox, ut vellem, possem, quia mox, ut vellem, utique vellem Ibi enim facultas ea, quae voluntas, et ipsum velle iam facere erat; et tamen non fiebat, faciliusque obtemperabat corpus tenuissimae voluntati animae, ut ad nutum membra moverentur, quam ipsa sibi anima ad voluntatem suam magnam in sola voluntate perficiendam |
20] Insomma fra i marosi dell'indecisione mi trovavo a fare tutti i gesti caratteristici della volontà impotente, che gli uomini a volte sperimentano o perché privati di qualche loro membro, o perché legati o estremamente indeboliti o in qualche modo impediti Se mi strappai i capelli, se mi battei la fronte, se mi abbracciai le ginocchia con le dita intrecciate, lo feci di mia volontà Ma avrebbe anche potuto accadere che volessi senza riuscirci, se non fossi stato assecondato dalla mobilità degli arti Dunque compii molte azioni per le quali volere non è potere: e non facevo quello che mi sarebbe stato incomparabilmente più caro, e che appena avessi voluto avrei potuto fare: perché appena avessi voluto avrei senza dubbio voluto In quel caso infatti aver volontà era lo stesso che aver facoltà, e lo stesso volere era già fare; eppure non si faceva |
Cum non plena voluntas imperat, non efficitur quod imperat [9 21] Unde hoc monstrum Et quare istuc Luceat misericordia tua, et interrogem, si forte mihi respondere possint latebrae poenarum hominum et tenebrosissimae contritiones filiorum Adam Unde hoc monstrum Et quare istuc Imperat animus corpori, et paretur statim: imperat animus sibi, et resistitur Imperat animus, ut moveatur manus, et tanta est facilitas, ut vix a servitio discernatur imperium; et animus animus est, manus autem corpus est Imperat animus, ut velit animus, nec alter est nec facit tamen Unde hoc monstrum Et quare istuc Imperat, inquam, ut velit, qui non imperaret, nisi vellet, et non facit quod imperat Sed non ex toto vult: non ergo ex toto imperat |
Ed era più facile al corpo obbedire alla volontà dell'anima, per debole che fosse, e far muovere gli arti a un solo cenno, che all'anima obbedire a se stessa, alla sua propria volontà intensissima, per realizzarla semplicemente volendo [9 21] Come nasce questo paradosso E perché Accendi il sole della compassione, e io lo chiederò ai recessi del dolore umano, al buio folto, avvilito in cui s'aggirano i figli di Adamo Chissà che non mi possano rispondere: come nasce questo paradosso E perché Comanda al corpo, la mente, e viene subito obbedita: comanda a se stessa, e incontra resistenza La mente ordina alla mano di muoversi, e la cosa è così presto fatta che a fatica si distingue il comando dal servizio: e la mente è mente, la mano è corpo La mente ordina di volere alla mente: non è altra cosa, eppure non lo fa Come nasce questo paradosso E perché Chi ordina di volere non l'ordinerebbe se non volesse: eppure non esegue l'ordine Ma il fatto è che non vuole del tutto: e perciò non comanda del tutto |
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Latino: dall'autore Agostino, opera Le Confessioni parte Libro 01; 01-10
Nam in tantum imperat, in quantum vult, et in tantum non fit quod imperat, in quantum non vult, quoniam voluntas imperat, ut sit voluntas, nec alia, sed ipsa Non itaque plena imperat; ideo non est, quod imperat Nam si plena esset, nec imperaret, ut esset, quia iam esset Non igitur monstrum partim velle, partim nolle, sed aegritudo animi est, quia non totus assurgit veritate sublevatus, consuetudine praegravatus Et ideo sunt duae voluntates, quia una earum tota non est et hoc adest alteri, quod deest alteri Non duae naturae contrariae in homine confligunt inter se, sed eadem anima non tota voluntate interdum vult [10 22] Pereant a facie tua, Deus, sicuti pereunt, vaniloqui et mentis seductores, qui cum duas voluntates in deliberando animadverterint, duas naturas duarum mentium esse asseverant, unam bonam, alteram malam |
Perché in tanto comanda, in quanto vuole, e in tanto il comando non viene eseguito, in quanto non vuole Infatti la volontà comanda proprio che la volontà ci sia, e sia quella, non un'altra Dunque non è già tutta intera a comandare: e per questo il suo comando non viene eseguito Se fosse tutta intera, non comanderebbe di essere, perché già sarebbe Non è dunque un paradosso volere in parte e in parte non volere, ma è una malattia della mente, che la verità solleva ma non fa alzare del tutto, accasciata com'è sotto il peso dell'abitudine E perciò ci sono due volontà, perché nessuna è tutta intera, e ciò che ha l'una manca all'altra Natura di ogni scissione interiore [10 22] Siano spazzati via dalla tua vista, Dio, come i ciarlatani e i seduttori della mente, quelli che si rendono conto, sì, della presenza di due volontà nel corso di una deliberazione, ma affermano l'esistenza di due menti distinte per natura, una buona, l'altra maligna |
Ipsi vere mali sunt, cum ista mala sentiunt, et idem ipsi boni erunt, si vera senserint verisque consenserint, ut dicat eis Apostolus tuus: Fuistis aliquando tenebrae, nunc autem lux in Domino Illi enim dum volunt esse lux non in Domino, sed in se ipsis, putando animae naturam hoc esse, quod Deus est, ita facti sunt densiores tenebrae, quoniam longius a te recesserunt horrenda arrogantia, a te, vero lumine illuminante omnem hominem venientem in hunc mundum Attendite, quid dicatis, et erubescite et accedite ad eum et illuminamini, et vultus vestri non erubescent Ego cum deliberabam, ut iam servirem Domino Deo meo, sicut diu disposueram, ego eram, qui volebam, ego, qui nolebam; ego, ego eram Nec plene volebam nec plene nolebam Ideo mecum contendebam et dissipabar a me ipso, et ipsa dissipatio me invito quidem fiebat, nec tamen ostendebat naturam mentis alienae, sed poenam meae Et ideo non iam ego operabar illam, sed quod habitabat in me peccatum de supplicio liberioris peccati, quia eram filius Adam |
Loro sì sono maligni, malpensanti come sono Come saranno buoni essi stessi, ritrovando il senso della verità e solo a questa accordando il consenso Allora anche di loro potrà dire il tuo Apostolo: Un tempo foste tenebre, e ora siete luce nel Signore Già: vogliono esser luce non nel Signore ma in se stessi, perché ritengono che l'anima sia fatta della sostanza di Dio: e così diventano tenebre più fitte, via via che la loro arroganza spaventosa li allontana da te Da te, vero lume che illumina ogni uomo venuto a questo mondo Fate attenzione a ciò che dite e vergognatevi: e accostatevi a lui, sarete illuminati e i vostri volti non arrossiranno Mentre deliberavo se mettermi finalmente al servizio del mio Signore, come da un pezzo progettavo di fare, ero io a volere, io a non volere: io, sempre io; non ero tutto nel volere e non ero tutto nel non volere |
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Agostino, Le Confessioni: Libro 09
Latino: dall'autore Agostino, opera Le Confessioni parte Libro 09
[10 23] Nam si tot sunt contrariae naturae, quot voluntates sibi resistunt, non iam duae, sed plures erunt Si deliberet quisquam, utrum ad conventiculum eorum pergat an ad theatrum, clamant isti: "Ecce duae naturae, una bona hac ducit, altera mala illac reducit Nam unde ista cunctatio sibimet adversantium voluntatum " Ego autem dico ambas malas, et quae ad illos ducit et quae ad theatrum reducit Sed non credunt nisi bonam esse, qua itur ad eos Quid |
Per questo lottavo con me stesso e da me stesso mi spaccavo, e questa spaccatura avveniva senza dubbio mio malgrado: ma non per questo rivelava la sostanza di una mente estranea, bensì la pena della mia; e in questo senso non ero io a produrla, quella spaccatura, ma il peccato che abitava in me dalla condanna di un peccato più libero, perché ero figlio di Adamo [10 23] Infatti se ci sono tante nature contrastanti quante sono le volontà contrapposte, non ce ne saranno due, ma molte Supponiamo che uno stia deliberando se recarsi a un loro convegno oppure a teatro: subito si mettono a gridare: "Eccole le due nature, una buona che porta qui, l'altra cattiva che spinge là" Ma io le chiamo cattive tutt'e due, quella che porta da loro quanto quella che spinge a teatro Essi però non possono credere che non sia buona quella per cui si va da loro Bene, allora supponiamo che sia uno dei nostri a deliberare e nell'alterco di due volontà contrastanti oscilli nel dubbio se recarsi a teatro o alla nostra chiesa Non saranno anche loro in dubbio, adesso, sulla risposta da dare |