Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 11-12-13 Parte 02, pag 2

Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 11-12-13 Parte 02

Latino: dall'autore Seneca, opera Lettere a Lucilio parte Libri 11-12-13 Parte 02
nam sacrilegia minuta puniuntur, magna in triumphis feruntur

Adice nunc quod sacrilegium, si omnino ex aliqua parte bonum est, etiam honestum erit et recte factum vocabitur, nostra enim actio est quod nullius mortalium cogitatio recipit

Ergo bona nasci ex malo non possunt

Nam si, ut dicitis, ob hoc unum sacrilegium malum est, quia multum mali adfert, si remiseris illi supplicia, si securitatem spoponderis, ex toto bonum erit

Atqui maximum scelerum supplicium in ipsis est

Erras, inquam, si illa ad carnificem aut carcerem differs: statim puniuntur cum facta sunt, immo dum fiunt

Non nascitur itaque ex malo bonum, non magis quam ficus ex olea: ad semen nata respondent, bona degenerare non possunt

Quemadmodum ex turpi honestum non nascitur, ita ne ex malo quidem bonum; nam idem est honestum et bonum
Le colpe piccole vengono punite, quelle grandi sono addirittura celebrate trionfalmente

Inoltre se il sacrilegio è in parte senz'altro un bene, sarà anche una cosa onesta e verrà considerato un'azione virtuosa, ma nessun uomo può pensarlo

Quindi, da un male non possono nascere beni

Se, infatti, come dite, il sacrilegio è un male solo perché causa molto male, se gli condoniamo la pena e gli assicuriamo l'impunità, sarà sotto ogni aspetto un bene

Ma i delitti hanno in se stessi la loro più grave punizione

Sbagli, ti dico, a rinviare la pena al boia o al carcere: i delitti vengono puniti subito appena sono commessi, anzi, mentre vengono commessi

Da un male non nasce un bene, come un fico non nasce da un ulivo: ogni seme dà i suoi frutti, e i beni non possono degenerare

Da un'azione turpe non ne deriva una onesta, così da un male non deriva un bene; perché bene e onestà coincidono
Quidam ex nostris adversus hoc sic respondent: 'putemus pecuniam bonum esse undecumque sumptam; non tamen ideo ex sacrilegio pecunia est, etiam si ex sacrilegio sumitur

Hoc sic intellege

In eadem urna et aurum est et vipera: si aurum ex urna sustuleris, non ideo sustuleris quia illic et vipera est; non ideo, inquam, mihi urna aurum dat quia viperam habet, sed aurum dat, cum et viperam habeat

Eodem modo ex sacrilegio lucrum fit, non quia turpe et sceleratum est sacrilegium, sed quia et lucrum habet

Quemadmodum in illa urna vipera malum est, non aurum quod cum vipera iacet, sic in sacrilegio malum est scelus, non lucrum

' A quibus dissentio; dissimillima enim utriusquerei condicio est

Illic aurum possum sine vipera tollere, hic lucrum sine sacrilegio facere non possum; lucrum istud non est adpositum sceleri sed inmixtum
Certi Stoici ribattono così: Supponiamo che il denaro sia un bene, da qualunque parte provenga; perciò anche se deriva da un sacrilegio, il denaro non è sacrilego

Eccoti un esempio

In uno stesso scrigno c'è dell'oro e una vipera: se dallo scrigno prendi l'oro, non lo prendi perché lì c'è anche una vipera; voglio dire, lo scrigno mi dà l'oro non perché contiene una vipera, ma mi dà l'oro, pur contenendo anche una vipera

Allo stesso modo da un furto sacrilego si ricava un guadagno, non perché il sacrilegio è un'azione infame e scellerata, ma perché procura anche un guadagno

Come in quello scrigno il male è la vipera e non l'oro che le sta accanto, così nel sacrilegio il male è l'azione delittuosa, non il guadagno

Non sono d'accordo; le due situazioni sono molto diverse

Nel primo caso posso prendere l'oro senza la vipera, nel secondo non posso ricavare un guadagno senza commettere il sacrilegio; questo guadagno non è vicino al delitto: vi è strettamente unito
'Quod dum consequi volumus in multa mala incidimus, id bonum non est; dum divitias autem consequi volumus, in multa mala incidimus; ergo divitiae bonum non sunt

' 'Duas' inquit 'significationes habet propositio vestra: unam, dum divitias consequi volumus, in multa nos mala incidere

In multa autem mala incidimus et dum virtutem consequi volumus: aliquis dum navigat studii causa, naufragium fecit, aliquis captus est

Altera significatio talis est: per quod in mala incidimus bonum non est

Huic propositioni non erit consequens per divitias nos aut per voluptates in mala incidere; aut si per divitias in multa mala incidimus, non tantum bonum non sunt divitiae sed malum sunt; vos autem illas dicitis tantum bonum non esse

Praeterea' inquit 'conceditis divitias habere aliquid usus: inter commoda illas numeratis

Atqui eadem ratione commodum quidem erunt; per illas enim multa nobis incommoda eveniunt
Quello che conseguiamo a prezzo di molti mali, non è un bene; la ricchezza la conseguiamo a prezzo di molti mali; quindi, la ricchezza non è un bene

La vostra premessa, dicono, può significare due cose: primo, che conseguiamo la ricchezza a prezzo di molti mali

Ma anche la virtù la conseguiamo a prezzo di molti mali: qualcuno durante un viaggio per motivi di studio ha fatto naufragio, qualche altro è stato fatto prigioniero

Il secondo significato è questo: non è un bene ciò che è causa di mali

Dalla vostra premessa non consegue che la ricchezza o i piaceri sono per noi causa di mali; oppure, se la ricchezza è causa di molti mali, la ricchezza non solo non è un bene, ma è addirittura un male; voi, invece, sostenete soltanto che non è un bene

Inoltre, continuano, ammettete che la ricchezza abbia una certa utilità e la considerate tra i vantaggi

Ma per la stessa ragione non sarà neppure un vantaggio, perché ci causa molti mali

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' His quidam hoc respondent: 'erratis, qui incommoda divitis inputatis

Illae neminem laedunt: aut sua nocet cuique stultitia aut aliena nequitia, sic quemadmodum gladius neminem occidit: occidentis telum est

Non ideo divitiae tibi nocent si propter divitias tibi nocetur

' Posidonius, ut ego existimo, melius, qui ait divitias esse causam malorum, non quia ipsae faciunt aliquid, sed quia facturos inritant

Alia est enim causa efficiens, quae protinus necessest noceat, alia praecedens

Hanc praecedentem causam divitiae habent: inflant animos, superbiam pariunt, invidiam contrahunt, et usque eo mentem alienant ut fama pecuniae nos etiam nocitura delectet

Bona autem omnia carere culpa decet; pura sunt, non corrumpunt animos, non sollicitant; extollunt quidem et dilatant, sed sine tumore
Alcuni controbattono così: Sbagliate imputando i mali alla ricchezza

In realtà essa non danneggia nessuno: a ciascuno il danno lo porta o la propria stoltezza o la malvagità degli altri, così come la spada di per sé non uccide nessuno: è un'arma per l'assassino

Perciò se la ricchezza ti danneggia, la colpa non è della ricchezza

Più giusta, a mio parere, la tesi di Posidonio: egli afferma che la ricchezza causa il male, non perché sia essa stessa a produrlo, ma perché spinge gli altri a farlo

Una cosa è la causa efficiente, che di necessità provoca direttamente il male, un'altra è la causa antecedente

La ricchezza è la causa antecedente: esalta gli animi, genera arroganza, provoca l'invidia e fa uscire di senno al punto che il credito derivante dal denaro, anche se ci danneggerà, ci riesce gradito

Tutti i beni, invece, devono essere immuni da colpa; sono puri, non corrompono l'anima, non la turbano; ci innalzano e ci dilatano, ma senza renderci superbi
Quae bona sunt fiduciam faciunt, divitiae audaciam; quae bona sunt magnitudinem animi dant, divitiae insolentiam

Nihil autem aliud est insolentia quam species magnitudinis falsa

'Isto modo' inquit 'etiam malum sunt divitiae, non tantum bonum non sunt

' Essent malum si ipsae nocerent, si, ut dixi, haberent efficientem causam: nunc praecedentem habent et quidem non inritantem tantum animos sed adtrahentem; speciem enim boni offundunt veri similem ac plerisque credibilem

Habet virtus quoque praecedentem causam ad invidiam; multis enim propter sapientiam, multis propter iustitiam invidetur

Sed nec ex se hanc causam habet nec veri similem; contra enim veri similior illa species hominum animis obicitur a virtute, quae illos in amorem et admirationem vocet
I veri beni ci rendono sicuri, la ricchezza arroganti; i veri beni generano grandezza d'animo, la ricchezza tracotanza

La tracotanza non è altro che una falsa apparenza di grandezza

In questo modo,dicono, la ricchezza, non soltanto non è un bene, ma è anche un male

Sarebbe un male se essa stessa provocasse il male, se, come ho detto, fosse la causa efficiente: invece, è la causa antecedente che non solo eccita gli animi, ma li trascina; diffonde del bene un'immagine verosimile cui la maggioranza presta fede

Anche la virtù è una causa antecedente: suscita invidia; molti sono invidiati per la loro saggezza, molti per la loro giustizia

Ma questa causa non ce l'ha in sé la virtù e non è verosimile; al contrario la virtù offre all'anima umana quell'aspetto più verosimile che la richiama all'amore e all'ammirazione

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Posidonius sic interrogandum ait: 'quae neque magnitudinem animo dant nec fiduciam nec securitatem non sunt bona; divitiae autem et bona valetudo et similia his nihil horum faciunt; ergo non sunt bona'

Hanc interrogationem magis etiamnunc hoc modo intendit: 'quae neque magnitudinem animo dant nec fiduciam nec securitatem, contra autem insolentiam, tumorem, arrogantiam creant, mala sunt; a fortuitis autem in haec inpellimur; ergo non sunt bona'

'Hac' inquit 'ratione ne commoda quidem ista erunt

' Alia est commodorum condicio, alia bonorum: commodum est quod plus usus habet quam molestiae; bonum sincerum esse debet et ab omni parte innoxium

Non est id bonum quod plus prodest, sed quod tantum prodest

Praeterea commodumet ad animalia pertinet et ad inperfectos homines et ad stultos
Posidonio dice che il sillogismo bisogna formularlo così: Le cose che non danno all'anima né grandezza, né sicurezza, né tranquillità non sono beni; la ricchezza, la salute e altre cose simili non dànno niente di tutto questo; dunque, non sono beni

Egli dà a questo sillogismo un senso ancora più ampio: Le cose che non dànno all'anima né grandezza, né sicurezza, né tranquillità, anzi provocano superbia, orgoglio, arroganza, sono mali; ad essi ci spingono i doni della fortuna, quindi non sono beni

econdo questo ragionamento, si ribatte, non saranno neppure dei vantaggi

Vantaggi e beni sono due cose diverse: per vantaggio si intende ciò che porta più utilità che fastidio; il bene, invece, deve essere genuino e completamente innocuo

Non è un bene quello che è più utile, ma quello che è solamente utile

Il vantaggio, inoltre, tocca agli animali, agli uomini imperfetti, agli stolti
Itaque potest ei esse incommodum mixtum, sed commodum dicitur a maiore sui parte aestimatum: bonum ad unum sapientem pertinet; inviolatum esse oportet

Bonum animum habe: unus tibi nodus, sed Herculaneus restat: 'ex malis bonum non fit; ex multis paupertatibus divitiae fiunt; ergo divitiae bonum non sunt'

Hanc interrogationem nostri non agnoscunt, Peripatetici et fingunt illam et solvunt

Ait autem Posidonius hoc sophisma, per omnes dialecticorum scholas iactatum, sic ab Antipatro repelli

'paupertas non per possessionem dicitur, sed per detractionem' vel, ut antiqui dixerunt, orbationem; Graeci kata steresin dicunt; 'non quod habeat dicit, sed quod non habeat

Itaque ex multis inanibus nihil impleri potest: divitias multae res faciunt, non multae inopiae

Aliter' inquit 'quam debes paupertatem intellegis
Può essere perciò unito a uno svantaggio, ma viene definito un vantaggio in base agli elementi predominanti: il bene riguarda solo il saggio e deve essere incontaminato

Coraggio: ti resta un solo nodo, anche se difficile, da sciogliere: Dai mali non nasce il bene; da molte povertà nasce la ricchezza; dunque la ricchezza non è un bene

filosofi stoici non riconoscono questo sillogismo, i peripatetici, invece, lo formulano e lo risolvono

Dice Posidonio che questo sofisma trattato in tutte le scuole dai dialettici, viene così confutato da Antipatro

La povertà non viene definita per possesso, ma per detrazione o, come dicevano gli antichi, per privazione; i Greci dicono kat st rhsin, non indica quello che si possiede, ma quello che non si possiede

Con molti vuoti non si può riempire niente: la ricchezza la formano molti beni, non molte carenze

Voi non intendete la povertà nel modo dovuto

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Paupertas enim est non quae pauca possidet, sed quae multa non possidet; ita non ab eo dicitur quod habet, sed ab eo quod ei deest

' Facilius quod volo exprimerem, si Latinum verbum esset quo anuparxia significaretur

Hanc paupertati Antipater adsignat: ego non video quid aliud sit paupertas quam parvi possessio

De isto videbimus, si quando valde vacabit, quae sit divitiarum, quae paupertatis substantia; sed tunc quoque considerabimus numquid satius sit paupertatem permulcere, divitiis demere supercilium quam litigare de verbis, quasi iam de rebus iudicatum sit

Putemus nos ad contionem vocatos: lex de abolendis divitis fertur

His interrogationibus suasuri aut dissuasuri sumus
Povertà non è possedere poche cose, ma non possederne molte; non viene definita da quanto possiede, ma da quanto le manca

Quello che intendo, l'esprimerei più facilmente se ci fosse una parola latina per indicare

Antipatro la ascrive alla povertà: secondo me la povertà è unicamente possedere poco

Se un giorno avremo tempo, esamineremo che cosa siano in sostanza la ricchezza e la povertà, ma anche allora considereremo se non sia meglio mitigare la povertà e togliere superbia alla ricchezza piuttosto che discutere sulle parole, come se sulla sostanza si fosse già formulato un giudizio

Supponiamo di partecipare a una adunanza popolare: viene proposta una legge per l'abolizione della ricchezza

La sosterremo o la combatteremo con questi sillogismi
his effecturi ut populus Romanus paupertatem, fundamentum et causam imperii sui, requirat ac laudet, divitias autem suas timeat, ut cogitet has se apud victos repperisse, hinc ambitum et largitiones et tumultus in urbem sanctissimam temperatissimam inrupisse, nimis luxuriose ostentari gentium spolia, quod unus populus eripuerit omnibus facilius ab omnibus uni eripi posse

Haec satius est suadere, et expugnare adfectus, non circumscribere

Si possumus, fortius loquamur; si minus, apertius

Vale

De liberalibus studiis quid sentiam scire desideras: nullum suspicio, nullum in bonis numero quod ad aes exit

Meritoria artificia sunt, hactenus utilia si praeparant ingenium, non detinent

Tamdiu enim istis inmorandum est quamdiu nihil animus agere maius potest; rudimenta sunt nostra, non opera
Otterremo con essi che il popolo romano ricerchi e apprezzi la povertà, base e origine del suo impero, e tema la sua ricchezza; che pensi di averla trovata presso i popoli vinti e che da qui intrighi, corruzione, disordini si siano riversati in una città modello assoluto di purezza e di temperanza; che le prede di guerra vengano ostentate con troppa superbia, che i beni strappati da un solo popolo a tutti gli altri, possano più facilmente essere strappati da tutti i popoli a uno solo

meglio persuaderlo di ciò e vincere le passioni che esprimersi con giri di parole

Parliamo, se è possibile, con più forza; se no, con maggiore chiarezza

Stammi bene

Tu vuoi sapere che cosa penso degli studi liberali: non stimo, non considero un bene studi che sfociano in un guadagno

Sono arti venali, utili se esercitano la mente, ma non la occupano del tutto

Bisogna dedicarvisi finché l'animo non è in grado di trattare una materia più impegnativa; sono il nostro tirocinio, non il nostro lavoro

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Quare liberalia studia dicta sint vides: quia homine libero digna sunt

Ceterum unum studium vere liberale est quod liberum facit, hoc est sapientiae, sublime, forte, magnanimum: cetera pusilla et puerilia sunt

An tu quicquam in istis esse credis boni quorum professores turpissimos omnium ac flagitiosissimos cernis

Non discere debemus ista, sed didicisse

Quidam illud de liberalibus studiis quaerendum iudicaverunt, an virum bonum facerent: ne promittunt quidem nec huius rei scientiam adfectant

Grammatice circa curam sermonis versatur et, si latius evagari vult, circa historias, iam ut longissime fines suos proferat, circa carmina

Quid horum ad virtutem viam sternit

Syllabarum enarratio et verborum diligentia et fabularum memoria et versuum lex ac modificatio quid ex his metum demit, cupiditatem eximit, libidinem frenat
Perché si chiamano studi liberali lo capisci: perché sono degni di un uomo libero

Ma l'unico studio veramente liberale è quello che rende liberi, cioè lo studio della saggezza, sublime, forte, nobile: gli altri sono insignificanti e puerili

Pensi che in questi studi di cui sono maestri gli uomini più infami e dissoluti ci sia qualcosa di buono

Queste cose non dobbiamo impararle, ma averle imparate

Secondo certi filosofi bisogna chiedersi se gli studi liberali possono formare l'uomo virtuoso: in realtà essi non se lo ripromettono né aspirano a questa scienza

La filologia si rivolge allo studio della lingua e, se vuole spaziare di più, alla storia; e arriva, come limite estremo, alla poesia

Quale di queste materie spiana la via alla virtù

La scansione delle sillabe, la proprietà di linguaggio, la tradizione mitica, le leggi e la misura dei versi, Che cosa di tutto questo cancella la paura, libera dalle passioni, frena l'intemperanza

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