Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 04, pag 2

Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 04

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 05 Parte 04
at levisomna canum fido cum pectore corda, et genus omne quod est veterino semine partum lanigeraeque simul pecudes et bucera saecla omnia sunt hominum tutelae tradita, Memmi

nam cupide fugere feras pacemque secuta sunt et larga suo sine pabula parta labore, quae damus utilitatis eorum praemia causa

at quis nil horum tribuit natura, nec ipsa sponte sua possent ut vivere nec dare nobis utilitatem aliquam, quare pateremur eorum praesidio nostro pasci genus esseque tutum, scilicet haec aliis praedae lucroque iacebant indupedita suis fatalibus omnia vinclis, donec ad interitum genus id natura redegit

Sed neque Centauri fuerunt nec tempore in ullo esse queunt duplici natura et corpore bino ex alienigenis membris compacta, potestas hinc illinc partis ut sat par esse potissit
Ma i cani dal sonno leggero, che nei petti hanno cuori fedeli, e ogni progenie nata dal seme delle bestie da soma e insieme le greggi lanose e le cornute stirpi dei buoi, tutti furono affidati alla tutela degli uomini, o Memmio

Ardentemente infatti fuggirono le fiere e cercarono pace e copiose pasture ottenute senza loro fatica, cose che noi diamo loro in ricompensa della loro utilità

Ma quelli cui la natura non diede nulla di ciò, né di vivere da sé stessi liberamente, né di rendere a noi qualche servigio per cui consentissimo alla loro progenie di nutrirsi e di vivere sicura sotto la nostra protezione, questi certo soggiacevano ad altri come preda e bottino, inceppati come erano tutti dalle loro catene fatali, finché la natura ne portò la progenie ad estinzione

Ma non ci furono Centauri, né in alcun tempo possono esistere esseri di duplice natura e di corpo doppio, messi insieme con membra eterogenee, così che le facoltà di creature nate da questa specie e da quella possano corrispondere abbastanza
id licet hinc quamvis hebeti cognoscere corde

principio circum tribus actis impiger annis floret equus, puer haut quaquam; nam saepe etiam nunc ubera mammarum in somnis lactantia quaeret

post ubi equum validae vires aetate senecta membraque deficiunt fugienti languida vita, tum demum puerili aevo florenta iuventas officit et molli vestit lanugine malas

ne forte ex homine et veterino semine equorum confieri credas Centauros posse neque esse, aut rapidis canibus succinctas semimarinis corporibus Scyllas et cetera de genere horum, inter se quorum discordia membra videmus

quae neque florescunt pariter nec robora sumunt corporibus neque proiciunt aetate senecta nec simili Venere ardescunt nec moribus unis conveniunt neque sunt eadem iucunda per artus
Ciò si può conoscere di qui, anche con mente ottusa

Anzitutto, nel giro di tre anni il focoso cavallo è nel suo fiore, ma il bambino per niente; ché spesso ancora cercherà nel sonno i capezzoli del seno materno colmi di latte

Poi, quando al cavallo per vecchiaia vengon meno le forze poderose e languiscono le membra per il fuggire della vita, solo allora il fanciullo raggiunge il fiore dell'età e comincia per lui la gioventù, che gli veste di morbida lanugine le guance

Non ti avvenga, dunque, di credere che dall'uomo e dal seme di bestie da soma, dei cavalli, possan formarsi Centauri, ed esistere, o Scille coi corpi semimarini, cinte di rabbiosi cani, e tutti gli altri esseri di questa fatta, le cui membra vediamo discordanti fra loro

che nello stesso tempo né fioriscono, né prendono il vigore del corpo, né lo perdono a causa della vecchiaia, né di simile amore ardono, né armonizzano per abitudini uniformi, né identiche sono le cose che giovano alle loro membra
quippe videre licet pinguescere saepe cicuta barbigeras pecudes, homini quae est acre venenum

flamma quidem [vero] cum corpora fulva leonum tam soleat torrere atque urere quam genus omne visceris in terris quod cumque et sanguinis extet, qui fieri potuit, triplici cum corpore ut una, prima leo, postrema draco, media ipsa, Chimaera ore foras acrem flaret de corpore flammam

quare etiam tellure nova caeloque recenti talia qui fingit potuisse animalia gigni, nixus in hoc uno novitatis nomine inani, multa licet simili ratione effutiat ore, aurea tum dicat per terras flumina vulgo fluxisse et gemmis florere arbusta suësse aut hominem tanto membrorum esse impete natum, trans maria alta pedum nisus ut ponere posset et manibus totum circum se vertere caelum
Spesso infatti si può vedere che le barbute capre ingrassano con la cicuta, mentre questa per l'uomo è violento veleno

Poiché, d'altra parte, la fiamma suole cuocere e bruciare i corpi fulvi dei leoni, tanto quanto qualunque altra specie di carne e sangue che esiste sulla terra, come sarebbe potuto avvenire che un unico essere con triplice corpo, nella parte anteriore leone, nella posteriore drago, nella mediana lei, la Chimera, spirasse per la bocca una fiamma violenta uscita dal corpo

Così, dunque, chi immagina che tali animali potessero nascere quando la terra era giovane e il cielo da poco formato, fondandosi soltanto su questo vano nome di gioventù, molte cose similmente può dire a vanvera; può dire che allora fiumi d'oro scorrevano sulla terra ovunque e che gli alberi comunemente fiorivano di pietre preziose o che nacque un uomo con membra tanto gigantesche da poter con un passo poggiare il piede di là da mari profondi e con le mani rotare intorno a sé tutto il cielo

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Lucrezio, De rerum natura: Libro 02
Lucrezio, De rerum natura: Libro 02

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 02

nam quod multa fuere in terris semina rerum, tempore quo primum tellus animalia fudit, nil tamen est signi mixtas potuisse creari inter se pecudes compactaque membra animantum, propterea quia quae de terris nunc quoque abundant herbarum genera ac fruges arbustaque laeta non tamen inter se possunt complexa creari, sed res quaeque suo ritu procedit et omnes foedere naturae certo discrimina servant

Et genus humanum multo fuit illud in arvis durius, ut decuit, tellus quod dura creasset, et maioribus et solidis magis ossibus intus fundatum, validis aptum per viscera nervis, nec facile ex aestu nec frigore quod caperetur nec novitate cibi nec labi corporis ulla

multaque per caelum solis volventia lustra volgivago vitam tractabant more ferarum
Ché, se la terra contenne molti semi di cose nel tempo in cui il suolo cominciò a produrre gli animali, questo tuttavia non è segno che si siano potute creare bestie miste fra loro e membra accozzate di esseri viventi, poiché le specie delle erbe e le messi e gli alberi rigogliosi, che tuttora pullulano in abbondanza dalla terra, non posson tuttavia nascere intrecciati fra loro, ma ognuna di queste cose procede secondo un proprio modo e tutte per salda legge di natura conservano le differenze

Ma la stirpe umana che visse allora nei campi fu molto più dura, com'era naturale, ché la dura terra l'aveva creata; e nell'interno del corpo fu piantata su ossa più grandi e più salde, connessa attraverso le carni da nervi poderosi, tale che non poteva facilmente esser vinta dal caldo, né dal freddo, né da cibo inconsueto, né da alcun difetto del corpo

E, durante il corso di molti lustri del sole per il cielo, conducevano la vita a guisa di fiere vagabonde
nec robustus erat curvi moderator aratri quisquam, nec scibat ferro molirier arva nec nova defodere in terram virgulta neque altis arboribus veteres decidere falcibus ramos

quod sol atque imbres dederant, quod terra crearat sponte sua, satis id placabat pectora donum

glandiferas inter curabant corpora quercus plerumque; et quae nunc hiberno tempore cernis arbita puniceo fieri matura colore, plurima tum tellus etiam maiora ferebat

multaque praeterea novitas tum florida mundi pabula dura tulit, miseris mortalibus ampla

at sedare sitim fluvii fontesque vocabant, ut nunc montibus e magnis decursus aquai claricitat late sitientia saecla ferarum
Non c'era nessuno che robusto reggesse l'aratro ricurvo, nessuno sapeva lavorare i campi col ferro, né piantare nella terra i virgulti novelli, né dagli alti alberi tagliar via coi falcetti i rami vecchi

Ciò che donavano il sole e le piogge, ciò che produceva di per sé la terra, era un dono bastevole a placare quei petti

Tra le querce cariche di ghiande per lo più ristoravano i corpi; e le corbezzole, che ora nella stagione invernale vedi farsi mature, di colore purpureo, allora la terra le produceva in grandissimo numero e anche più grosse

E la fiorente gioventù del mondo produsse allora molti altri rudi alimenti, abbondanza per i miseri mortali

Ma a sedare la sete li chiamavano i fiumi e le fonti, come ora il torrente, che precipita giù dai grandi monti, chiama per ampio spazio col chiaro suono sitibonde famiglie di fiere

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denique nota vagis silvestria templa tenebant nympharum, quibus e scibant umore fluenta lubrica proluvie larga lavere umida saxa, umida saxa, super viridi stillantia musco, et partim plano scatere atque erumpere campo

necdum res igni scibant tractare neque uti pellibus et spoliis corpus vestire ferarum, sed nemora atque cavos montis silvasque colebant et frutices inter condebant squalida membra verbera ventorum vitare imbrisque coacti

nec commune bonum poterant spectare neque ullis moribus inter se scibant nec legibus uti

quod cuique obtulerat praedae fortuna, ferebat sponte sua sibi quisque valere et vivere doctus

et Venus in silvis iungebat corpora amantum; conciliabat enim vel mutua quamque cupido vel violenta viri vis atque inpensa libido vel pretium, glandes atque arbita vel pira lecta
Occupavano infine i silvestri recessi delle ninfe, scoperti nel loro vagare, dai quali sapevano che rivoli d'acqua fluivano con larga corrente lavando le umide rocce, le umide rocce, stillanti sopra il verde muschio, mentre altri scaturivano ed erompevano per la piana campagna

E non sapevano ancora trattare le cose col fuoco, né servirsi di pelli e vestire il corpo con spoglie di fiere, ma abitavano boschi e caverne montane e selve e nascondevano le scabre membra tra le macchie, quando eran costretti a evitare sferzate di venti e piogge

Né erano capaci di mirare al bene comune, né sapevano valersi di costumi e di leggi nei loro rapporti

Ciò che a ciascuno la fortuna aveva offerto come preda, ciascuno se lo prendeva, avvezzo a usare la forza e a vivere da sé, per sé stesso

E Venere nelle selve congiungeva i corpi degli amanti; conquistava infatti la donna o un reciproco desiderio o la violenta forza dell'uomo e la sua brama intensa o una mercede: ghiande e corbezzole o pere scelte
et manuum mira freti virtute pedumque consectabantur silvestria saecla ferarum missilibus saxis et magno pondere clavae multaque vincebant, vitabant pauca latebris; saetigerisque pares subus silvestria membra nuda dabant terrae nocturno tempore capti, circum se foliis ac frondibus involventes

nec plangore diem magno solemque per agros quaerebant pavidi palantes noctis in umbris, sed taciti respectabant somnoque sepulti, dum rosea face sol inferret lumina caelo

a parvis quod enim consuerant cernere semper alterno tenebras et lucem tempore gigni, non erat ut fieri posset mirarier umquam nec diffidere, ne terras aeterna teneret nox in perpetuum detracto lumine solis

sed magis illud erat curae, quod saecla ferarum infestam miseris faciebant saepe quietem
E, confidando nella meravigliosa forza delle mani e dei piedi, davano la caccia alle silvestri stirpi delle fiere con lancio di sassi e con clave pesanti; e molte ne vincevano, poche ne evitavano nascondendosi; e, come setolosi cinghiali, abbandonavano sulla terra nude le membra silvestri, quando li sorprendeva la notte, avvolgendosi, tutt'intorno, di foglie e di fronde

Né con grande lamento cercavano il giorno e il sole per i campi vagando paurosi tra le ombre della notte, ma taciti e sepolti nel sonno aspettavano che con la rosea fiaccola il sole portasse la luce nel cielo

E infatti, poiché dalla fanciullezza s'erano abituati a vedere sempre le tenebre e la luce prodursi in tempi alterni, non poteva avvenire mai che li colpisse meraviglia o il timore che una notte senza fine occupasse la terra e il lume del sole fosse stato rapito per sempre

Ma più angoscioso era questo, che le stirpi ferine spesso a quei miseri facevano tribolato il riposo

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eiectique domo fugiebant saxea tecta spumigeri suis adventu validique leonis atque intempesta cedebant nocte paventes hospitibus saevis instrata cubilia fronde

Nec nimio tum plus quam nunc mortalia saecla dulcia linquebant lamentis lumina vitae

unus enim tum quisque magis deprensus eorum pabula viva feris praebebat, dentibus haustus, et nemora ac montis gemitu silvasque replebat viva videns vivo sepeliri viscera busto

at quos effugium servarat corpore adeso, posterius tremulas super ulcera tetra tenentes palmas horriferis accibant vocibus Orcum, donique eos vita privarant vermina saeva expertis opis, ignaros quid volnera vellent
E, scacciati dalla loro dimora, fuggivano i rocciosi ripari all'arrivo d'un cinghiale schiumante o d'un possente leone, e a notte fonda atterriti cedevano agli ospiti feroci i covili coperti di fronde

Né allora molto più che ora le stirpi mortali lasciavano con lamenti la dolce luce della vita

Certo, allora più spesso qualcuno di loro, sorpreso, offriva pasto vivente alle fiere, dilaniato dalle zanne, e riempiva di lamenti boschi e monti e selve, vedendo le proprie vive carni seppellite in un vivo sepolcro

E quelli che si erano salvati fuggendo col corpo lacerato, poi, tenendo le mani tremanti sopra le orribili piaghe, invocavano con grida spaventose Orco, finché spasimi crudeli li privavano della vita, senza aiuto, ignari delle cure che le ferite reclamavano
at non multa virum sub signis milia ducta una dies dabat exitio nec turbida ponti aequora lidebant navis ad saxa virosque nam temere in cassum frustra mare saepe coortum saevibat leviterque minas ponebat inanis, nec poterat quemquam placidi pellacia ponti subdola pellicere in fraudem ridentibus undis

improba navigii ratio tum caeca iacebat

tum penuria deinde cibi languentia leto membra dabat, contra nunc rerum copia mersat

illi inprudentes ipsi sibi saepe venenum vergebant, nunc dant [aliis] sollertius ipsi

Inde casas postquam ac pellis ignemque pararunt et mulier coniuncta viro concessit in unum

Tuttavia molte migliaia di uomini adunate sotto le insegne non dava a morte un solo giorno, né le procellose acque del mare gettavano navi e uomini a infrangersi contro gli scogli; ma alla cieca, a vuoto, invano il mare spesso si sollevava imperversando, e facilmente deponeva le inutili minacce, né la lusinga della bonaccia poteva subdola trarre in inganno qualcuno col sorridere delle onde

La rovinosa arte del navigare giaceva allora ignorata

Allora la penuria di cibo dava alla morte le membra languenti, ora al contrario le sommerge l'abbondanza

Per ignoranza gli uomini d'allora spesso versavano il veleno a sé stessi, quelli d'ora più scaltramente lo danno essi agli altri

Poi, quando si provvidero di capanne e di pelli e di fuoco, e la donna congiunta con l'uomo passò ad un solo

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