Livio, Ab urbe condita: Libro 26; 31-40

Livio, Ab urbe condita: Libro 26; 31-40

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 26; 31-40
(31) Reductis in curiam legatis tum consul non adeo maiestatis inquit populi Romani imperiique huius oblitus sum, patres conscripti, ut, si de meo crimine ambigeretur, consul dicturus causam accusantibus Graecis fuerim; sed non quid ego fecerim in disquisitionem uenit, quem quidquid in hostibus feci ius belli defendit, sed quid isti pati debuerint

qui si non fuerunt hostes, nihil interest nunc an uiuo Hierone Syracusas uiolauerim; sin autem desciuerunt a populo Romano, si legatos nostros ferro atque armis petierunt, urbem ac moenia clauserunt exercituque Carthaginiensium aduersus nos tutati sunt, quis passos esse hostilia cum fecerint indignatur
31 Ricondotta la legazione siracusana nella Curia, allora il console così parlò: Non mi sono dimenticato, o senatori, della maestà del popolo romano e di questa mia dignità, al punto da abbassarmi a parlare in mia difesa per rispondere, io console; alle accuse di questi Greci, se si trattasse di discutere intorno a colpe che fossero attribuite a me personalmente; non è, peraltro, in discussione ciò che io ho fatto, poiché quello che io ho fatto, trattandosi di nemici, è giustificato dal diritto di guerra, ma si tratta di stabilire se costoro dovevano essere considerati nemici o no

Se non furono nemici, non c'è alcuna differenza se io abbia saccheggiato Siracusa ora o quando Gerone era in vita; se poi essi abbandonarono l'alleanza del popolo romano, se assalirono col ferro e con le armi i nostri ambasciatori, se chiusero a noi le mura della città, se si servirono dell'esercito cartaginese come difesa contro di noi, chi potrebbe sdegnarsi che essi abbiano dovuto sopportare le nostre ostilità, dal momento che essi per i primi si erano comportati da nemici
tradentes urbem principes Syracusanorum auersatus sum; Sosim et Moericum Hispanum quibus tantam crederem rem potiores habui

non estis extremi Syracusanorum, quippe qui aliis humilitatem obiciatis: quis est uestrum qui se mihi portas aperturum, qui armatos milites meos in urbem accepturum promiserit

odistis et exsecramini eos qui fecerunt, et ne hic quidem contumeliis in eos dicendis parcitis; tantum abest ut et ipsi tale quicquam facturi fueritis

ipsa humilitas eorum, patres conscripti, quam isti obiciunt maximo argumento est me neminem qui nauatam operam rei publicae nostrae uellet auersatum esse
Io ho respinto i capi dei Siracusani che volevano consegnarmi la città; stimai Soside e lo spagnolo Merico degni che fosse loro affidata un'impresa tanto importante

Non siete certo gli ultimi dei Siracusani, voi che rinfacciate agli altri l'umiltà dell'origine; chi di voi mi ha promesso di aprirmi le porte di Siracusa e di accogliere nella città i miei soldati armati

Voi odiate ed esecrate Soside e Merico perché hanno fatto questo e contro di loro non risparmiate certo ingiurie; tanto è improbabile che voi avreste fatto altrettanto

La stessa umiltà d'origine di quei due, o senatori, quella che costoro rinfacciano, è la prova più eloquente che io non ho respinto nessuno che volesse adoperarsi con zelo in favore della nostra repubblica
et antequam obsiderem Syracusas, nunc legatis mittendis, nunc ad conloquium eundo temptaui pacem, et posteaquam neque legatos uiolandi uerecundia erat nec mihi ipsi congresso ad portas cum principibus responsum dabatur, multis terra marique exhaustis laboribus tandem ui atque armis Syracusas cepi

quae captis acciderint apud Hannibalem et Carthaginienses uictos iustius quam apud uictoris populi senatum quererentur

ego, patres conscripti, Syracusas spoliatas si negaturus essem, nunquam spoliis earum urbem Romam exornarem

quae autem singulis uictor aut ademi aut dedi, cum belli iure tum ex cuiusque merito satis scio me fecisse

ea uos rata habeatis, patres conscripti, necne, magis rei publicae interest quam mea
Prima di assediare Siracusa io ho tentato ogni mezzo per fare la pace, sia inviando dei messi, sia prendendo io stesso l'iniziativa di colloqui; dopo che, senza alcun ritegno, furono oltraggiati gliambasciatori e non fu data alcuna risposta a me che ero venuto a colloquio coi capi di Siracusa, dopo aver sopportato fatiche e pericoli, alla fine mi sono impadronito di Siracusa con la forza delle armi

Di quel che accadde a loro dopo che furono conquistati, dovrebbero più giustamente lamentarsi con Annibale e i Cartaginesi vinti con loro, piuttosto che col senato del popolo vincitore

Io, o padri coscritti, se avessi avuto l'intenzione di negare che Siracusa è stata saccheggiata, non avrei mai ornato Roma delle spoglie di quella città

Quanto a quelle cose che io vincitore ho portato via, oppure ho donato a singoli cittadini, sono pienamente consapevole di aver fatto ciò, sia per diritto di guerra, sia per compensare il merito di ciascuno

Che voi, o senatori, ratifichiate o meno tutto ciò, interessa più allo stato che a me

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Livio, Ab urbe condita: Libro 03; 01 - 12
Livio, Ab urbe condita: Libro 03; 01 - 12

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 03; 01 - 12

quippe mea fides exsoluta est: ad rem publicam pertinet ne acta mea rescindendo alios in posterum segniores duces faciatis

et quoniam coram et Siculorum et mea uerba audistis, patres conscripti, simul templo excedemus, ut me absente liberius consuli senatus possit

ita dimissi Siculi et ipse in Capitolium ad dilectum discessit

(32) Consul alter de postulatis Siculorum ad patres rettulit
La mia promessa, infatti, è stata mantenuta; è cosa che riguarda la repubblica il fatto che voi, sconfessando le mie azioni, facciate per l'avvenire meno risoluti ed energici altri generali

Poiché, o senatori, voi avete udito quanto vi ho detto alla presenza dei Siciliani, io e loro insieme usciamo dal tempio, perché, in mia assenza, il senato possa essere consultato più liberamente

Così, congedati i Siciliani, lo stesso Marcello se ne andò in Campidoglio a far la leva

32 L'altro console, Levino, mise ai voti davanti ai senatori le richieste dei Siciliani
ibi cum diu sententiis certatum esset et magna pars senatus, principe eius sententiae T Manlio Torquato, cum tyrannis bellum gerendum fuisse censerent hostibus et Syracusanorum et populi Romani, et urbem recipi, non capi, et receptam legibus antiquis et libertate stabiliri, non fessam miseranda seruitute bello adfligi; inter tyrannorum et ducis Romani certamina praemium uictoris in medio positam urbem pulcherrimam ac nobilissimam perisse, horreum atque aerarium quondam populi Romani, cuius munificentia ac donis multis tempestatibus, hoc denique ipso Punico bello adiuta ornataque res publica esset; si ab inferis exsistat rex Hiero fidissimus imperii Romani cultor, quo ore aut Syracusas aut Romam ei ostendi posse, cum, ubi semirutam ac spoliatam patriam respexerit, ingrediens Romam in uestibulo urbis, prope in porta, spolia patriae suae uisurus sit La discussione fu lunga e contrastata; gran parte del senato, seguendo l'opinione di T Torquato, ritenne che la guerra si sarebbe dovuta fare contro i tiranni, che erano nemici e dei Siracusani e dei Romani e che si sarebbe dovuto, non prendere la città, ma accoglierne la resa e, dopo di questa, rinsaldarla nelle sue antiche leggi e nella libertà, non già, abbattuta da una miseranda servitù, rovinarla con la guerra; invece, posta in mezzo alle lotte dei suoi tiranni col generale romano e considerata come premio al vincitore, era perita quella città bellissima e nobilissima che un tempo era stata granaio ed erario del popolo romano, il cui governo in molte difficili circostanze ed in ultimo anche durante la guerra punica, era stato aiutato ed arricchito dalla generosità e dai doni dei Siracusani; se dagli inferi tornasse il re Gerone, fedelissimo amico della repubblica romana, con che coraggio gli si potrebbe mostrare la sua patria Siracusa semidistrutta e saccheggiata, oppure Roma, dove egli, entrando, avrebbe potuto vedere all'ingresso della città, quasi sulla porta, le spoglie della sua stessa patria

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Livio, Ab urbe condita: Libro 22; 01-10

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 22; 01-10

haec taliaque cum ad inuidiam consulis miserationemque Siculorum dicerentur, mitius tamen decreuerunt patres: acta M Marcelli quae is gerens bellum uictorque egisset rata habenda esse, in reliquum curae senatui fore rem Syracusanam, mandaturosque consuli Laeuino ut quod sine iactura rei publicae fieri posset fortunis eius ciuitatis consuleret

missis duobus senatoribus in Capitolium ad consulem uti rediret in curiam et introductis Siculis, senatus consultum recitatum est; legatique benigne appellati ac dimissi ad genua se Marcelli consulis proiecerunt obsecrantes ut quae deplorandae ac leuandae calamitatis causa dixissent ueniam eis daret, et in fidem clientelamque se urbemque Syracusas acciperet

potens senatus consulto consul clementer appellatos eos dimisit
I senatori, benché avessero fatto tali critiche per malanimo verso il console e per pietà dei Siracusani, tuttavia, presero una deliberazione più blanda, in virtù della quale si dovevano ratificare le operazioni compiute da Marcello come vincitore, sia durante che dopo la guerra; in seguito il senato si sarebbe preso cura della sorte di Siracusa ed avrebbe incaricato il console Levino di provvedere alle condizioni di quella città senza che ne venisse danno alla repubblica

Furono mandati in Campidoglio due senatori per invitare Marcello a ritornare nella curia; ammessi anche i Siciliani, fu comunicata la decisione del senato; gli ambasciatori, accolti benevolmente e congedati, si gettarono ai piedi di Marcelloscongiurandolo che li perdonasse per aver parlato solo per piangere ed alleviare la propria sventura; prendesse loro e la città di Siracusa sotto la sua protezione come clienti

il console, dopo essersi benevolmente rivolto a loro, promise di accogliere le loro richieste e li congedò
(33) Campanis deinde senatus datus est, quorum oratio miserabilior, causa durior erat

neque enim meritas poenas negare poterant, nec tyranni erant in quos culpam conferrent, sed satis pensum poenarum tot ueneno absumptis, tot securi percussis senatoribus credebant: paucos nobilium superstites esse, quos nec sua conscientia ut quicquam de se grauius consulerent impulerit nec uictoris ira capitis damnauerit; eos libertatem sibi suisque et bonorum aliquam partem orare ciues Romanos, adfinitatibus plerosque et propinquis iam cognationibus ex conubio uetusto iunctos
33 Fu poi data udienza in senato ai Campani, che parlarono con accenti più commoventi, per quanto la loro causa fosse più difficile

Infatti, essi non poterono negare di aver meritato di essere puniti, né vi erano dei tiranni sui quali potessero far ricadere ogni colpa; tuttavia, pensavano che avessero pagato abbastanza quei senatori che si erano uccisi col veleno e quelli che erano stati decapitati; ormai non sopravvivevano che pochi della nobiltà che, né la loro coscienza aveva spinto a prendere contro se stessi qualche grave decisione, né l'ira del vincitore aveva condannato alla pena capitale; costoro pregavano che venisse concessa a loro ed ai loro familiari la libertà e che fosse restituita almeno una parte dei loro beni, poiché essi erano cittadini romani e la più parte congiunti coi Romani da parentela ed anche da stretta consanguineità per antichi matrimoni

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 28; 17 - 19

summotis deinde e templo paulisper dubitatum an arcessendus a Capua Q Fuluius esset mortuus enim post captam Claudius consul erat ut coram imperatore qui res gessisset, sicut inter Marcellum Siculosque disceptatum fuerat, disceptaretur

dein cum M Atilium C Fuluium fratrem Flacci legatos eius et Q Minucium et L Ueturium Philonem item Claudi legatos qui omnibus gerendis rebus adfuerant in senatu uiderent nec Fuluium auocari a Capua nec differri Campanos uellent, interrogatus sententiam M Atilius Regulus, cuius ex iis qui ad Capuam fuerant maxima auctoritas erat, in consilio inquit arbitror me fuisse consulibus Capua capta cum quaereretur ecqui Campanorum bene meritus de re publica nostra esset
Fattili poi uscire dal tempio, il senato stette un po' in dubbio se fosse il caso di richiamare da Capua Q Fulvio, dal momento che il console Claudio' era morto dopo la presa della città, affinché la discussione si potesse svolgere, come era avvenuto tra Marcello e i Siciliani, dinanzi al generale che aveva condotto l'impresa

Poiché si videro in senato M Atilio e C Fulvio fratello di Flacco, suoi luogotenenti nonché Q Minucio e L Veturio Filone, luogotenenti di Claudio, che avevano partecipato a tutte le operazioni militari, si ritenne opportuno non richiamare Fulvio da Capua e non differire la discussione sulla questione campana; a M Atilio Regolo, che fra coloro che erano stati a Capua aveva maggiore autorità, fu chiesto quale fosse il suo parere: Dichiaro, rispose, di essere stato presente ad un consiglio presso i proconsoli, quando, dopo la presa di Capua, si ricercò chi dei Campani avesse ben meritato della nostra repubblica
duas mulieres compertum est Uestiam Oppiam Atellanam Capuae habitantem et Paculam Cluuiam quae quondam quaestum corpore fecisset, illam cottidie sacrificasse pro salute et uictoria populi Romani, hanc captiuis egentibus alimenta clam suppeditasse: ceterorum omnium Campanorum eundem erga nos animum quem Carthaginiensium fuisse, securique percussos a Q Fuluio fuisse magis quorum dignitas inter alios quam quorum culpa eminebat

per senatum agi de Campanis, qui ciues Romani sunt, iniussu populi non uideo posse, idque et apud maiores nostros in Satricanis factum esse cum defecissent ut M Antistius tribunus plebis prius rogationem ferret scisceretque plebs uti senatui de Satricanis sententiae dicendae ius esset
Si trovarono due donne, Vestia Oppia di Atella, ma dimorante a Capua, e Pacula Cluvia, che una volta aveva esercitato la prostituzione; la prima ogni giorno aveva fatto sacrifici per la salvezza e la vittoria del popolo romano; l'altra aveva di nascosto rifornito di viveri i prigionieri romani che si trovavano in bisogno; l'animo di tutti gli altri Campani verso di noi era stato il medesimo di quello dei Cartaginesi; perciò Fulvio aveva decapitato coloro che primeggiavano per autorità, più che coloro che avevano colpe maggiori

Non vedo, comunque, come il senato possa prendere una deliberazione intorno ai Campani, che sono cittadini romani, senza che il popolo dia la necessaria autorizzazione; lo stesso caso si presentò ai nostri antenati a proposito dei Satricani che avevano defezionato da Roma, quando avvenne che il tribuno della plebe, M Antistio, presentasse una proposta al popolo perché deliberasse di dare al senato l'autorità di prendere una decisione intorno alla questione dei Satricani

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itaque censeo cum tribunis plebis agendum esse ut eorum unus pluresue rogationem ferant ad plebem qua nobis statuendi de Campanis ius fiat

L Atilius tribunus plebis ex auctoritate senatus plebem in haec uerba rogauit: omnes Campani Atellani Calatini Sabatini qui se dediderunt in arbitrium dicionemque populi Romani Q Fuluio proconsuli, quosque una secum dedidere quaeque una secum dedidere agrum urbemque diuina humanaque utensiliaque siue quid aliud dediderunt, de iis rebus quid fieri uelitis uos rogo, Quirites

Plebes sic iussit: quod senatus iuratus, maxima pars, censeat, qui adsient, id uolumus iubemusque

(34) Ex hoc plebei scito senatus consultus Oppiae Cluuiaeque primum bona ac libertatem restituit: si qua alia praemia petere ab senatu uellent, uenire eas Romam
Pertanto, io ritengo che si debba trattare coi tribuni della plebe, perché uno di loro o più facciano una proposta al popolo, perché ci sia dato il diritto di prendere una decisione sui Campani

L Atilio tribuno della plebe, per invito del senato, interrogò il popolo con queste parole: Tutti i Campani, gli Atellani, i Calatini, i Sabatini, si sottomisero al dominio ed alla discrezione del popolo romano consegnandosi al proconsole Q Fulvio; consegnarono con le persone, i beni, i campi, le città, le proprietà divine ed umane, gli oggetti di uso comune e qualunque altra cosa; di tutto ciò,che cosa volete che si faccia, io lo domando a voi, o Quinti

il popolo così ordinò: Ciò che il senato, dopo aver prestato giuramento deciderà a maggioranza dei presenti, questo noi vogliamo e comandiamo che sifaccia

34 In conseguenza di questo plebiscito, il senato per prima cosa decise di restituire ad Oppia e a Cluvia i beni e la libertà; se poi desiderassero chiedere al senato altre ricompense, venissero a Roma

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