Cicerone, De Finibus: Libro 03; 06-10, pag 2

Cicerone, De Finibus: Libro 03; 06-10

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 03; 06-10
Quo posito et omnium adsensu adprobato illud adsumitur, eum, qui magno sit animo atque forti, omnia, quae cadere in hominem possint, despicere ac pro nihilo putare

Quae cum ita sint, effectum est nihil esse malum, quod turpe non sit

Atque iste vir altus et excellens, magno animo, vere fortis, infra se omnia humana ducens, is, inquam, quem efficere volumus, quem quaerimus, certe et confidere sibi debet ac suae vitae et actae et consequenti et bene de sese iudicare statuens nihil posse mali incidere sapienti

Ex quo intellegitur idem illud, solum bonum esse, quod honestum sit, idque esse beate vivere: honeste, id est cum virtute, vivere

[9, 30] Nec vero ignoro varias philosophorum fuisse sententias, eorum dico, qui summum bonum, quod ultimum appello, in animo ponerent
Ciò posto e approvato dal consenso universale, si afferma questaltro principio: chi è danimo grande e forte disdegna e non stima nulla tutto ciò a cui luomo può andar soggetto

Da questi principi è risultato che nulla è male, se non ciò chesia vergognoso

E questuomo elevato e superiore, magnanimo, veramente forte, che considera inferiori a sé tutti gli eventi questuomo, dico, che vogliamo creare e che stiamo cercando, deve certamente aver fiducia in se stesso e nella sua vita passata e futura, e avere un buon giudizio di se stesso, stabilendo che al sapiente non può capitar nulla di male

Ciò si comprende ancora sempre la medesima bene solo ciò che è onesto, e felicità nella vita significa un, vita onesta vale a dire virtuosa

[9, 30) Ma non ignoro che varie furono le opinioni dei filosofi, di quelli, dico, che fanno consistere nellanima il sommo bene, che chiamo ultimo
Quae quamquam vitiose quidam secuti sunt, tamen non modo iis tribus, qui virtutem a summo bono segregaverunt, cum aut voluptatem aut vacuitatem doloris aut prima naturae in summis bonis ponerent, sed etiam alteris tribus, qui mancam fore putaverunt sine aliqua accessione virtutem ob eamque rem trium earum rerum, quas supra dixi, singuli singulas addiderunt,his tamen omnibus eos antepono, cuicuimodi sunt, qui summum bonum in animo atque in virtute posuerunt

[31] Sed sunt tamen perabsurdi et ii, qui cum scientia vivere ultimum bonorum, et qui nullam rerum differentiam esse dixerunt, atque ita sapientem beatum fore, nihil aliud alii momento ullo anteponentem, , ut quidam Academici constituisse dicuntur, extremum bonorum et summum munus esse sapientis obsistere visis adsensusque suos firme sustinere
Benché certuni abbiano sbagliato nel seguire questa teoria, meglio tuttavia questi non solo di quei tre che esclusero la virtù dal sommo bene annoverando fra i beni sommi il piacere o la mancanza di dolore o i principi naturali, ma anche di quegli altri tre che ritennero monca la virtù senza qualche supplemento, e perciò le aggiunsero ciascuno una delle tre cose ora dette: a tutti costoro io antepongo appunto quelli che comunque fecero consistere il sommo bene nell anima e nella virtù

[31] Però sostengono una tesi del tutto inverosimile sia coloro che considerarono come ultimo bene vivere insieme con la scienza sia coloro che negarono lesistenza di una dite erenza fra le cose e affermarono cosi che il sapiente sarà felice se non antepone mai nessuna cosa ad unaltra per nessuna considerazione , e così pure quelli che, come hanno fatto, a quanto si dice, certi Academici, fissarono il termine estremo del bene e il supremo dovere per il sapiente nellopposizione alle percezioni sensibili e nella sospensione risoluta del proprio assenso
His singulis copiose responderi solet, sed quae perspicua sunt longa esse non debent

Quid autem apertius quam, si selectio nulla sit ab iis rebus, quae contra naturam sint, earum rerum, quae sint secundum naturam, tollatur omnis ea, quae quaeratur laudeturque, prudentia

Circumscriptis igitur iis sententiis, quas posui, et iis, si quae similes earum sunt, relinquitur ut summum bonum sit vivere scientiam adhibentem earum rerum, quae natura eveniant, seligentem quae secundum naturam et quae contra naturam sint reicientem, id est convenienter congruenterque naturae vivere

[32] Sed in ceteris artibus cum dicitur artificiose, posterum quodam modo et consequens putandum est, quod illi epigennematikòn appellant; cum autem in quo sapienter dicimus, id a primo rectissime dicitur
Di solito si dà ampia risposta a ciascuno di costoro; ma ciò che è evidente non deve essere prolisso

E che cè di più palese di questo fatto, se non esiste facoltà di prescegliere da ciò che è contrario a natura quello che è conforme a natura, si viene ad abolire tutta quella saggezza tanto ricercata e lodata

Scartate dunque le teorie che ho esposto e quante altre sono ad esse analoghe, non resta che questa: il sommo bene consiste nel vivere impiegando la conoscenza degli eventi naturali, prescegliendo ciò che è conforme a natura e respingendo ciò che è contrario a natura, vale a dire vivere in concordia ed armonia con la natura

[32] Ma in tutte le altre arti, quando si dice artisticamente si deve intendere riferito ad un effetto in certo modo posteriore e successivo, da essi chiamato in greco epigennematikòn; quando invece diciamo sapientemente a proposito di qualche cosa, ci si riferisce con piena ragione al suo primo inizio

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Cicerone, De Finibus: Libro 01; 07-10

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 01; 07-10

Quicquid enim a sapientia proficiscitur, id continuo debet expletum esse omnibus suis partibus; in eo enim positum est id, quod dicimus esse expetendum

Nam ut peccatum est patriam prodere, parentes violare, fana depeculari, quae sunt in effectu, sic timere, sic maerere, sic in libidine esse peccatum est etiam sine effectu

Verum ut haec non in posteris et in consequentibus, sed in primis continuo peccata sunt, sic ea, quae proficiscuntur a virtute, susceptione prima, non perfectione recta sunt iudicanda

[10, 33] Bonum autem, quod in hoc sermone totiens usurpatum est, id etiam definitione explicatur

Sed eorum definitiones paulum oppido inter se differunt et tamen eodem spectant

Ego adsentior Diogeni, qui bonum definierit id, quod esset natura absolutum
Infatti tutto ciò che parte dalla sapienza deve essere senzaltro completo in tutte le sue parti, giacché in esso risiede ciò che diciamo da ricercare

Come è peccato tradire la patria, far violenza ai genitori, spogliare i santuari, cose che consistono nelleffettuazione, così aver timore, mestizia, brama è pure peccato anche senza effettuazione

Però, come questi stati danimo sono peccato non nelle loro manifestazioni posteriori e successive ma senzaltro ai loro inizi, così ciò che parte dalla virtù devessere giudicato retto fin dallinizio della sua attuazione, non a realizzazione avvenuta

[10, 33] Quanto al bene, che è stato tante volte nominato in questa conversazione, è spiegato anche da una definizione

Ma le loro definizioni sono un tantino diverse fra loro e pur tuttavia mirano alla medesima conclusione

Io son daccordo con Diogene i che ne diede la seguente definizione: il bene è ciò che è perfetto per natura
Id autem sequens illud etiam, quod prodessetophèlema enim sic appellemus, motum aut statum esse dixit e natura absoluto

Cumque rerum notiones in animis fiant, si aut usu aliquid cognitum sit aut coniunctione aut similitudine aut collatione rationis, hoc quarto, quod extremum posui, boni notitia facta est

Cum enim ab iis rebus, quae sunt secundum naturam, ascendit animus collatione rationis, tum ad notionem boni pervenit

[34] Hoc autem ipsum bonum non accessione neque crescendo aut cum ceteris comparando, sed propria vi sua et sentimus et appellamus bonum

Ut enim mel, etsi dulcissimum est, suo tamen proprio genere saporis, non comparatione cum aliis dulce esse sentitur, sic bonum hoc, de quo agimus, est illud quidem plurimi aestimandum, sed ea aestimatio genere valet, non magnitudine
Ne deriva poi questaltra sua definizione: ciò che giova (così potremmo tradurre il greco ophélema) è un moto o uno stato derivante da ciò che è perfetto per natura

Nellanima le nozioni delle cose si for io mano nel caso che la conoscenza avvenga o per esperienza o per sintesi o per rassomiglianza o per confronto razionale: in questultima quarta maniera si è formato il concetto del bene

Infatti, quando lanima si eleva, mediante il confronto razionale, da ciò che è secondo natura, giunge alla nozione di bene

[34] Però questo stesso bene non è tale per aggiunta o accrescimento né per confronto con il resto, ma lo sentiamo e lo chiamiamo bene per la sua essenza intrinseca

Difatti, come del miele, anche se è dolcissimo, si avverte tuttavia la dolcezza per il genere particolare del suo sapore, non per confronto con altro, così a questo bene di cui stiamo trattando si deve attribuire davvero il massimo valore, ma tale valutazione è qualitativa, non quantitativa

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Nam cum aestimatio, quae axìa dicitur, neque in bonis numerata sit nec rursus in malis, quantumcumque eo addideris, in suo genere manebit

Alia est igitur propria aestimatio virtutis, quae genere, non crescendo valet

[35] Nec vero perturbationes animorum, quae vitam insipientium miseram acerbamque reddunt, quas Graeci pàthe appellantpoteram ego verbum ipsum interpretans morbos appellare, sed non conveniret ad omnia; quis enim misericordiam aut ipsam iracundiam morbum solet dicere

At illi dicunt pàthos

Sit igitur perturbatio, quae nomine ipso vitiosa declarari videtur [nec eae perturbationes vi aliqua naturali moventur]
Giacché la valutazione, detta axìa, non essendo stata annoverata né fra i beni né fra i mali, rimarrà nel genere che le è proprio, di qualunque entità sia laggiunta che le si apporta

Diversa è dunque la valutazione della virtù, che è qualitativa e non si riferisce allaccrescimento

[35] Ma non è che i turbamenti dellanima ovvero passioni, che rendono infelice e dotorosa la vita degli ignoranti, e che in greco hanno nome pàthe -avrei potuto, traducendo letteralmente, chiamarli malattie , sua il termine non risulterebbe adatto a tutti i casi; chi infatti suoi definire come malattia la compassione o la stessa collera

Eppure essi dicono pàthos

Diciamo dunque turbamento, che dal termine stesso risulta indicato come un difetto [né tali turbamenti sono prodotti da qualche forza naturale]
Omnesque eae sunt genere quattuor, partibus plures, aegritudo, formido, libido, quamque Stoici communi nomine corporis et animi hedonèn appellant, ego malo laetitiam appellare, quasi gestientis animi elationem voluptariam

Perturbationes autem nulla naturae vi commoventur, omniaque ea sunt opiniones ac iudicia levitatis

Itaque his sapiens semper vacabit
E tutte quelle sono in tutto di quattro specie con più ripartizioni : afflizione, apprensione, brama e quella che gli Stoici, con denominazione comune al corpo e allanima, chiamano hedoné ed io preferisco chiamare letizia, come dire unesaltazione voluttuosa dellanima esultante

Le passioni daltra parte non sono provocate da nessuna forza naturale: si tratta in ogni caso di opinioni e di giudizi dettati da leggerezza

Pertanto il sapiente ne sarà sempre esente

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