Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01, pag 2

Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 01

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 01
Quodsi is esset Panaetius, qui virtutem propterea colendam diceret, quod ea efficiens utilitatis esset, ut ii, qui res expetendas vel voluptate vel indolentia metiuntur, liceret ei dicere utilitatem aliquando cum honestate pugnare

Sed cum sit is, qui id solum bonum iudicet, quod honestum sit, quae autem huic repugnent specie quadam utilitatis, eorum neque accessione meliorem vitam fieri nec decessione peiorem, non videtur debuisse eiusmodi deliberationem introducere, in qua quod utile videretur cum eo, quod honestum est, compararetur

Etenim quod summum bonum a Stoicis dicitur, convenienter naturae vivere, id habet hanc, ut opinor, sententiam, cum virtute congruere semper, cetera autem, quae secundum naturam essent, ita legere, si ea virtuti non repugnarent
E se Panezio fosse un uomo tale da affermare che la virtù si deve praticare proprio perché essa è produttrice di utilità, come quelli che misurano le cose da desiderare o in base al piacere o in base alla assenza di dolore, sarebbe possibile per lui affermare che l'utilità contrasta qualche volta con l'onestà

Ma poiché egli è tale che giudica unico bene ciò che è onesto, e ritiene che le cose in contrasto con l'onesto, pur con una certa apparenza di utile, non rendano la vita migliore con il loro apporto, né la rendano peggiore con la loro mancanza, perciò non sembra che egli avrebbe dovuto introdurre un discorso di tal genere, nel quale ciò che sembra utile viene messo a paragone con ciò che è onesto

Infatti ciò che è chiamato dagli Stoici il sommo bene il vivere secondo natura ha questo significato, secondo il mio parere, di conformarsi sempre alla virtù e a tutte le altre cose che sono secondo natura, di sceglierle in quanto non siano in contrasto con la virtù
Quod cum ita sit, putant quidam hanc comparationem non recte introductam nec omnino de eo genere quicquam praecipiendum fuisse

Atque illud quidem honestum, quod proprie vereque dicitur id in sapientibus est solis neque a virtute divelli umquam potest

In iis autem, in quibus sapientia perfecta non est, ipsum illud quidem perfectum honestum nullo modo, similitudines honesti esse possunt

Haec enim officia, de quibus his libris disputamus, media Stoici appellant; ea communia sunt et late patent, quae et ingenii bonitate multi assequuntur et progressione discendi;illud autem officium, quod rectum idem appellant, perfectum atque absolutum est et, ut idem dicunt, omnes numeros habet nec praeter sapientem cadere in quemquam potest
Poiché la questione sta in tali termini, alcuni ritengono che questa comparazione sia stata introdotta senza una giusta ragione e che, quindi, non si dovrebbero dare affatto insegnamenti

Inoltre quella onestà ideale, si afferma con giusta proprietà, si trova nei soli sapienti e non può mai essere disgiunta dalla virtù

In coloro, invece, nei quali la sapienza non è perfetta, non è in alcun modo perfetta neppure quella stessa onestà, ma vi possono essere elementi ad essa somiglianti

Questi doveri, appunto, di cui sto trattando in questi libri, gli Stoici li chiamano mediani relativi; sono doveri comuni e si estendono in ogni campo, e molti giungono a conoscerli per mezzo della bontà della loro indole e per progressiva educazione; invece quel dovere che chiamiamo retto è perfetto ed assoluto e, come dicono essi stessi, ha tutti i pregi e non si può trovare in alcun altro tranne che nel sapiente
Cum autem aliquid actum est, in quo media officia compareant, id cumulate videtur esse perfectum propterea, quod vulgus, quid absit a perfecto, non fere intellegit; quatenus autem intellegit, nihil putat praetermissum, quod idem in poematis, in picturis usu venit in aliisque compluribus, ut delectentur imperiti laudentque ea, quae laudanda non sint, ob eam, credo, causam, quod insit in his aliquid probi, quod capiat ignaros, qui idem, quid in unaquaque re vitii sit, nequeant iudicare

Itaque cum sunt docti a peritis, desistunt facile sententia

Haec igitur officia, de quibus his libris disserimus, quasi secunda quaedam honesta esse dicunt, non sapientium modo propria, sed cum omni hominum genere communia

Itaque iis omnes, in quibus est virtutis indoles, commoventur
Quando però si compie qualche azione nella quale si presentino i doveri di mezzo relativi, essa sembra assolutamente perfetta, proprio perché la gente comune in genere non comprende quanto sia lontana dalla perfezione e, fino al punto in cui arriva la sua intelligenza, non pensa di aver trascurato niente;l'identica cosa è divenuta usuale in fatto di poesia, di dipinti e in molti altri campi, sicché i profani traggono diletto e apprezzano quelle cose che non devono essere apprezzate, per il motivo credo che è insito in esse un qualcosa di onesto, che affascina gli inesperti, i quali d'altra parte non possono giudicare i difetti propri di ciascuna opera

Perciò, quando sono illuminati da esperti, facilmente cambiano la loro opinione

Questi doveri, dunque, dei quali sto discutendo in questi libri, sono secondo gli Stoici cose oneste di secondo grado, non proprie solamente dei sapienti, ma comuni a tutto il genere umano

Perciò tutti coloro nei quali vi è una naturale propensione alla virtù, ne sono attratti

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Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 02

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 02

Nec vero, cum duo Decii aut duo Scipiones fortes viri commemorantur, aut cum Fabricius, aut Aristides iustus nominatur, aut ab illis fortitudinis aut ab his iustitiae tamquam a sapiente petitur exemplum; nemo enim horum sic sapiens, ut sapientem volumus intellegi, nec ii, qui sapientes habiti et nominati, M Cato et C Laelius, sapientes fuerunt, ne illi quidem septem, sed ex mediorum officiorum frequentia similitudinem quandam gerebant speciemque sapientium Infatti, quando si ricordano come uomini coraggiosi i due Deci o i due Scipioni, o quando si dà l'appellativo di giusto a Fabrizio o ad Aristide, non si richiede un esempio da quelli di fortezza o da questi di giustizia come da un sapiente; giacché nessuno di questi fu sapiente a tal punto da corrispondere al nostro modello di sapiente, né quelli che furono ritenuti e chiamati sapienti, Marco Catone e Gaio Lelio, furono veramente tali, e neppure i famosi sette, ma dall'applicazione assidua dei doveri relativi avevano una certa somiglianza e apparenza di sapienti
Quocirca nec id, quod vere honestum est, fas est cum utilis repugnantia comparari, nec id quod communiter appellamus honestum, quod colitur ab iis, qui bonos se viros haberi volunt, cum emolumentis umquam est comparandum tamque id honestum, quod in nostram intellegentiam cadit, tuendum conservandumque nobis est quam illud, quod proprie dicitur vereque est honestum, sapientibus; aliter enim teneri non potest, si quae ad virtutem est facta progressio

Sed haec quidem de his, qui conservatione officiorum existimantur boni

Qui autem omnia metiuntur emolumentis et commodis neque ea volunt praeponderari honestate, ii solent in deliberando honestum cum eo, quod utile putant, comparare, boni viri non solent
Per questo non è lecito paragonare con ciò che si oppone all'utile quanto è veramente onesto, e neppure quanto chiamiamo comunemente onesto, che è praticato da quelle persone che vogliano esser ritenute oneste, si deve mai paragonare coi vantaggi materiali; si deve difendere e conservare da parte nostra tanto quell'onesto che rientra nell'ambito della nostra intelligenza, quanto quello che è detto con proprietà e verità, onesto da parte dei sapienti; altrimenti non è possibile conservare gli eventuali progressi compiuti sulla via della virtù

Ma questi suggerimenti riguardano coloro che sono stimati buoni per l'adempimento continuo dei loro doveri

Coloro che, al contrario, misurano ogni cosa in base al guadagno o al vantaggio personale e non vogliono che l'onestà abbia il sopravvento su ciò, sono soliti, nel prendere una decisione, mettere a confronto l'onesto con ciò che ritengono utile, mentre gli uomini onesti non sono soliti farlo

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Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 02

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Itaque existimo Panaetium, cum dixerit homines solere in hac comparatione dubitare, hoc ipsum sensisse, quod dixerit solere modo, non etiam oportere

Etenim non modo pluris putare, quod utile videatur quam quod honestum sit, sed etiam haec inter se comparare et in his addubitare turpissimum est

Quid ergo est quod non numquam dubitationem adferre soleat considerandumque videatur

Credo, si quando dubitatio accidit, quale sit id, de quo consideretur

Saepe enim tempore fit, ut quod turpe plerumque haberi soleat, inveniatur non esse turpe

Exempli causa ponatur aliquid, quod pateat latius

Quod potest maius scelus quam non modo hominem, sed etiam familiarem hominem occidere

Num igitur se adstrinxit scelere, si qui tyrannum occidit quamvis familiarem
Perciò ritengo che Panezio, quando ha detto che gli uomini sono soliti esitare in questo confronto, abbia inteso proprio questo che ha detto, cioè che sono soliti solamente, e non anche debbono

Infatti è oltremodo immorale non solo stimare di più ciò che sembra utile di ciò che è onesto, ma anche paragonare questi concetti tra di loro ed avere dei dubbi in proposito

Ma che cos'è, dunque, ciò che talvolta ci suole far dubitare e ci sembra degno di considerazione

Credo, se qualche volta sorge il dubbio, che esso riguardi la natura delle cose su cui si riflette

Spesso, infatti, accade che, mutate le circostanze, ciò che siamo soliti stimare per lo più immorale, si trova che non è tale

Per esempio, si ponga un caso che è suscettibile della più ampia applicazione

Quale delitto può essere più grande dell'uccidere non solo un uomo, ma anche un intimo amico

Forse qualcuno si rende colpevole di un delitto, se uccide un tiranno, anche se suo intimo amico
Populo quidem Romano non videtur, qui ex omnibus praeclaris factis illud pulcherrimum existimat

Vicit ergo utilitas honestatem

Immo vero honestas utilitatem secuta est

Itaque, ut sine ullo errore diiudicare possimus, si quando cum illo, quod honestum intellegimus, pugnare id videbitur, quod appellamus utile, formula quaedam constituenda est; quam si sequemur in comparatione rerum, ab officio numquam recedemus
Ciò non sembra al popolo romano, che anzi considera quell'azione la più bella tra tutte le altre illustri

L'utile, dunque, ha prevalso sull'onesto

No; anzi, l'utile ha seguito l'onesto

Perciò, per poter distinguere senza ombra di errore, quando talora ci sembra che quanto chiamiamo utile contrasti con quanto riteniamo onesto, occorre stabilire una norma tale da non allontanarci mai dall'onesto se noi l'applicheremo nel mettere a confronto le azioni

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Erit autem haec formula Stoicorum rationi disciplinaeque maxime consentanea; quam quidem his libris propterea sequimur, quod, quamquam et a veteribus Academicis et a Peripateticis vestris, qui quondam idem erant, qui Academici, quae honesta sunt, anteponuntur iis, quae videntur utilia, tamen splendidius haec ab eis disserentur, quibus, quicquid honestum est idem utile videtur nec utile quicquam, quod non honestum, quam ab iis, quibus et honestum aliquid non utile aut utile non honestum

Nobis autem nostra Academia magnam licentiam dat, ut, quodcumque maxime probabile occurrat, id nostro iure liceat defendere

Sed redeo ad formulam
Questa norma sarà pienamente conforme alle teorie della dottrina Stoica: e la seguiamo in questi libri per il fatto che, sebbene anche gli antichi Accademici e i vostri Peripatetici, che una volta erano tutt'uno con gli Accademici, antepongano ciò che è onesto a ciò che sembra utile, tuttavia questi argomenti sono trattati in maniera molto più elevata da quelli che identificano l'utile con l'onesto e negano che sia utile ciò che non è onesto, anziché da quelli secondo i quali qualche cosa onesta non è utile e qualche cosa utile non è onesta

Quanto a noi, la nostra Accademia ci dà ampie possibilità di difendere, a pieno diritto, qualsiasi tesi ci si presenti in sommo grado probabile

Ma ritorno alla norma
Detrahere igitur alteri aliquid et hominem hominis incommodo suum commodum augere magis est contra naturam quam mors, quam paupertas, quam dolor, quam cetera, quae possunt aut corpori accidere aut rebus externis:nam principio tollit convictum humanum et societatem; si enim sic erimus adfecti, ut propter suum quisque emolumentum spoliet aut violet alterum, disrumpi necesse est eam, quae maxime est secundum naturam, humani generis societatem

Ut, si unum quodque membrum sensum hunc haberet, ut posse putaret se valere, si proximi membri valitudinem ad se traduxisset, debilitari et interire totum corpus necesse esset, sic, si unus quisque nostrum ad se rapiat commoda aliorum detrahatque quod cuique possit, emolumenti sui gratia, societas hominum et communitas evertatur necesse est
Dunque, che un uomo sottragga qualcosa ad un altro e aumenti il proprio vantaggio con lo svantaggio di un altro è contro natura più della morte, della povertà, del dolore e di tutti gli altri mali che possono accadere al corpo o ai beni esterni: ciò infatti mina alle basi la convivenza umana e la società: se infatti saremo così disposti da spogliare o violare un altro a causa del suo guadagno, di necessità si disgrega quella che è soprattutto secondo natura, cioè il legame tra gli uomini

Come se ciascun membro umano avesse una tale sensibilità, da pensare di poter star bene, coll'aver tratto a sé la salute del membro più vicino, sarebbe necessariamente indebolito e perirebbe l'intero corpo, così, se ciascuno di noi si appropriasse dei profitti degli altri e sottraesse quanto gli fosse possibile a ciascuno per il proprio guadagno, la società umana e la comunità necessariamente sarebbero sovvertite

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Nam sibi ut quisque malit, quod ad usum vitae pertineat, quam alteri adquirere, concessum est non repugnante natura, illud natura non patitur, ut aliorum spoliis nostras facultates, copias, opes augeamus

Neque vero hoc solum natura, id est iure gentium, sed etiam legibus populorum, quibus in singulis civitatibus res publica continetur, eodem modo constitutum est, ut non liceat sui commodi causa nocere alteri

Hoc enim spectant leges, hoc volunt, incolumem esse civium coniunctionem; quam qui dirimunt, eos morte, exsilio, vinclis, damno coercent

Atque hoc multo magis efficit ipsa naturae ratio, quae est lex divina et humana; cui parere qui velit omnes autem parebunt, qui secundum naturam volent vivere, numquam committet, ut alienum appetat, et id, quod alteri detraxerit, sibi adsumat
Infatti che ciascuno preferisca acquistare per sé ciò che riguarda l'uso della vita anziché per un altro, lo si è ammesso, poiché non si oppone la natura; ma la natura non sopporta che con le spoglie degli altri aumentiamo le nostre sostanze, ricchezze e potenza

E d'altra parte questo non è stato stabilito solamente dalla natura, cioè dal diritto delle genti, ma anche dalle leggi dei popoli, sulle quali si fonda lo Stato nelle singole città, perché non sia permesso nuocere ad altri per il proprio vantaggio

A questo, infatti, mirano le leggi, questo è il loro scopo, che sia salva ed integra l'unione dei cittadini, e puniscono coloro che la rompono con la morte, l'esilio, la prigione e le multe

E questo principio è molto più un prodotto della stessa razionalità naturale, che è legge divina ed umana; colui che volesse obbedirgli in verità dovranno obbedire tutti gli uomini che vivono secondo natura non si renderà mai colpevole di desiderare la proprietà altrui e di prendere per sé ciò che abbia sottratto ad altri

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