Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili: Libro 04 - Parte 01, pag 5

Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili: Libro 04 - Parte 01

Latino: dall'autore Valerio Massimo, opera Detti e fatti memorabili parte Libro 04 - Parte 01
In illa quoque procella, quam C Marius et L Cinna rei publicae inflixerant, abstinentia populi Romani mirifica conspecta est: nam cum a se proscriptorum penates uulgi manibus diripiendos obiecissent, inueniri nemo potuit, qui ciuili luctu praedam peteret: unus enim quisque se ab his perinde ac si a sacris aedibus abstinuit

quae quidem tam misericors continentia plebis tacitum crudelium uictorum conuicium fuit

Ac ne eiusdem laudis commemorationem externis inuideamus, Pericles Atheniensium princeps, cum tragoediarum scriptorem Sophoclea in praetura collegam haberet, atque is publico officio una districtus pueri ingenui praetereuntis formam inpensioribus uerbis laudasset, intemperantiam eius increpans dixit praetoris non solum manus a pecuniae lucro, sed etiam oculos a libidinoso aspectu continentes esse debere
Anche nel tempestoso periodo provocato alla repubblica da Caio Mario e da Lucio Cinna, si poté rilevare la meravigliosa astinenza del popolo romano: ché, pur avendo costoro gettato alla devastazione popolare le case dei cittadini da loro proscritti, non si poté trovare alcuno che desiderasse far preda in mezzo al cordoglio civile: tutti se ne astennero, come da templi venerandi

E indubbiamente così pietosa continenza del popolo costituì una muta accusa contro i crudeli vincitori

Ma per non privare gli stranieri del meritato ricordo nell'ambito della medesima virtù, Pericle, principe degli Ateniesi, quando ebbe come collega nell'arcontato il poeta tragico Sofocle e costui, pur impegnato da una pubblica carica, lodò con parole troppo accese la bellezza di un nobile giovinetto che passava loro accanto, ne rimproverò l'intemperanza dicendo che un magistrato doveva non solo tenere le mani lontane dal danaro pubblico, ma anche astenersi dal guardare gli altri con troppo desiderio
Sophocles autem aetate iam senior, cum ab eo quidam quaereret an etiam nunc rebus ueneriis uteretur, di meliora inquit: libenter enim istinc tamquam ex aliqua furiosa profugi dominatione

Aeque abstinentis senectae Xenocratem fuisse accepimus

cuius opinionis non parua fides erit narratio, quae sequitur

in peruigilio Phryne nobile Athenis scortum iuxta eum uino grauem accubuit pignore cum quibusdam iuuenibus posito, an temperantiam eius corrumpere posset

quam nec tactu nec sermone aspernatus, quoad uoluerat in sinu suo moratam, propositi inritam dimisit
() Sofocle, già vecchio, ad uno che gli chiedeva se ancora praticasse i piaceri del sesso, rispose: a Me ne guardino gli dèi, Difatti volentieri me ne sottrassi, come dal dominio di una furiosa pazzia

() Anche di Senocrate sappiamo che in vecchiaia si astenne dai piaceri

Testimonierà validamente la veridicità della cosa il fatto che segue

Durante una veglia Frine, famosa meretrice ateniese, sedette accanto a lui già ebbro di vino, dopo avere scommesso con alcuni giovani che sarebbe riuscita a corromperne la temperanza

Senocrate, fattala restare seduta sulle sue gambe per tutto il tempo ch'essa lo aveva voluto, non l'offese né col tatto né a parole e la lasciò alfine andare senz'averle fatto raggiungere lo scopo
factum sapientia inbuti animi abstinens, sed meretriculae quoque dictum perquam facetum: deridentibus enim se adulescentibus, quod tam formosa tamque elegans poti senis animum inlecebris pellicere non potuisset, pactumque uictoriae pretium flagitantibus de homine se cum iis, non de statua pignus posuisse respondit

potestne haec Xenocratis continentia a quoquam magis uere magisque proprie demonstrari quam ab ipsa meretricula expressa est

Phryne pulchritudine sua nulla parte constantissimam eius abstinentiam labefecit: quid

rex Alexander diuitiis quatere potuit

ab illo quoque statuam et quidem aeque frustra temptatam putes

legatos ad eum cum aliquot talentis miserat

quos in academiam perductos solito sibi, id est modico apparatu et admodum paruulis copiis excepit
Il gesto era quello di uno che era giunto all'astinenza con la sua saggezza; ma assai spiritoso fu anche il commento della prostituta: giacché ai giovani che la deridevano per non essere riuscita a sedurre con le sue lusinghe, lei così bella ed elegante, un vecchio per di più ubriaco e le chiedevano il compenso per aver vinto la scommessa, rispose che lei aveva scommesso su un uomo, non su una statua

Potrebbe questa continenza di Senocrate essere resa con più verità e proprietà di quanto non lo fu dalle parole della donna

Frine, pur con la sua bellezza, non valse a fame vacillare l'incrollabile continenza: e che

vi riuscì forse Alessandro col suo danaro

Potresti credere che anche con lui Senocrate si comportò come una statua e che invano allo stesso modo ne fu tentato

Il re gli aveva mandato una sua legazione a donargli alcuni talenti

Egli la ricevette nell'Accademia in un ambiente assai modesto, come soleva, e li intrattenne con frugali vivande

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Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili: Libro 05 - Parte 01
Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili: Libro 05 - Parte 01

Latino: dall'autore Valerio Massimo, opera Detti e fatti memorabili parte Libro 05 - Parte 01

postero die interrogantibus cuinam adnumerari pecuniam uellet, quid

uos inquit hesterna cena non intellexistis ea me non indigere

ita rex philosophi amicitiam emere uoluit, philosophus regi suam uendere noluit

Alexander uero cognomen inuicti adsecutus continentiam Diogenis cynici uincere non potuit

ad quem cum in sole sedentem accessisset hortareturque ut, si qua praestari sibi uellet, indicaret, quemadmodum erat in crepidine conlocatus, sordidae appellationis, sed robustae uir praestantiae, mox inquit de ceteris, interim uelim a sole mihi non obstes

quibus uerbis illa nimirum inhaesit sententia: Alexander Diogenen gradu suo diuitiis pellere temptat, celerius Dareum armis
Quando il giorno dopo gli fu chiesto a chi volesse che fosse fatto il pagamento dei talenti, e che

disse, a non avete capito nel corso del pranzo di ieri sera che non ho bisogno di danaro

Così il re avrebbe voluto comperare l'amicizia del filosofo, il filosofo non volle vendere la sua al re

() Alessandro, del resto, che pur aveva raggiunto la fama di invincibile, non poté vincere la continenza di Diogene Cinico

Questi sedeva al sole, quando il re si avvicinò e lo esortò ad esprimere qualunque desiderio: egli lo avrebbe appagato, allora Diogene, che aveva fama di uomo trascurato, ma che era vigoroso e prestante, seduto com'era su un gradino, disse: Parleremo poi del resto; intanto vorrei che non ti frapponessi tra me e il sole

A queste parole si attaglia naturalmente il noto detto: Alessandro tentò con le sue ricchezze di smuovere Diogene dal suo posto, ma ci riuscì prima con Dario, usando le armi
Idem Syracusis, cum holera ei lauanti Aristippus dixisset, si Dionysium adulari uelles, ista non esses, immo, inquit si tu ista esse uelles, non adularere Dionysium

pl Maxima ornamenta esse matronis liberos, apud Pomponium Rufum collectorum libro sic inuenimus: Cornelia Gracchorum mater, cum Campana matrona apud illam hospita ornamenta sua pulcherrima illius saeculi ostenderet, traxit eam sermone, donec e schola redirent liberi, et haec inquit ornamenta sunt mea

omnia nimirum habet qui nihil concupiscit, eo quidem certius quam cuncta possidet, quia dominium rerum conlabi solet, bonae mentis usurpatio nullum tristioris fortunae recipit incursum
Quando allo stesso Diogene, che trovandosi in Siracusa stava lavando la verdura, Aristippo disse: Se volessi adulare, Dionigi, non mangeresti codesta roba, egli rispose: Viceversa, se tu volessi mangiare codesta roba, non aduleresti Dionigi

() Nell'apposito libro di aneddoti raccolti da Pomponio Rufo, riguardo al fatto che i figli sono per le madri il più grande ornamento, leggiamo che Cornelia, madre dei Gracchi, poiché una matrona campana sua ospite le mostrava le sue gioie, ch'erano le più belle allora conosciute, la intrattenne chiacchierando finché tornassero da scuola i suoi figli e allora le disse: Questi sono i miei gioielli

Indubbiamente ha tutto chi nulla desidera, e tanto più sicuramente quanto tutto possiede, perché il potere sulle cose suoi aver fine, mentre il possesso della saggezza non subisce alcun assalto dal peggioramento della fortuna

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Latino: dall'autore Valerio Massimo, opera Detti e fatti memorabili parte Libro 01 - Parte 01

itaque quorsum attinet aut diuitias in prima felicitatis parte aut paupertatem in ultimo miseriarum statu ponere, cum et illarum frons hilaris multis intus amaritudinibus sit referta et huius horridior aspectus solidis et certis bonis abundet

quod melius personis quam uerbis repraesentabitur

Regio imperio propter nimiam Tarquinii superbiam finito consulatus initium Valerius Publicola cum Iunio Bruto auspicatus est idemque postea tres consulatus acceptissimos populo Romano gessit et plurimorum ac maximorum operum praetexto titulum imaginum suarum amplificauit, cum interim fastorum illud columen patrimonio ne ad exequiarum quidem inpensam sufficiente decessit, ideoque publica pecunia ductae sunt
Che significa, dunque, porre le ricchezze al primo posto nella considerazione della felicità o la povertà all'ultimo grado dell'infelicità, quando le prime, esteriormente gioiose, hanno dentro di sé tanta amarezza e la seconda, spiacevole all'aspetto, è così ricca di beni solidi ed infallibili

Ma tale considerazione sarà spiegata meglio con gli esempi che con le parole

() Finito il potere monarchico per la troppa superbia di Tarquinio, diede felicemente inizio al consolato, in una con Giunio Bruto, Valerio Publicola, il quale poi tenne questa carica per ,tre volte con piena soddisfazione del popolo romano; egli accrebbe i titoli di gloria del suo casato con l'ornamento di numerose e grandi opere: eppure questo pilastro della nostra storia morì possedendo un patrimonio che non bastò nemmeno alle spese dei funerali: tant'è vero che fu seppellito a carico dello Stato
non adtinet ulteriore disputatione tanti uiri paupertatem scrutari: abunde enim patet quid uiuus possederit, cui mortuo lectus funebris et rogus defuit

Quantae amplitudinis Menenium Agrippam fuisse arbitremur, quem senatus et plebs pacis inter se faciendae auctorem legit

quantae scilicet esse debuit arbiter publicae salutis

hic, nisi a populo conlatis in capita sextantibus funeratus esset, ita pecuniae inops decessit sepulturae honore caruisset

uerum idcirco perniciosa seditione diuidua ciuitas manibus Agrippae in unum contrahi uoluit, quia eas pauperes quidem, sed sanctas animaduerterat

cuius ut superstitis nullum fuit, quod in censum deferretur, ita extincti hodieque amplissimum est patrimonium Romana concordia
Sulla povertà di un uomo così grande non mette conto scrutare più a lungo: è già abbastanza chiaro che cosa abbia posseduto da vivo chi, come lui, mancò da morto del letto funebre e del rogo

() Quanto grande dovremo credere che sia stato il prestigio di Menenio Agrippa, che senato e plebe scelsero quale artefice della loro reciproca pacificazione

Tanto grande, naturalmente, quanto dovette esserlo un arbitro della salvezza pubblica

Eppure egli, se il popolo non avesse fatto una colletta di due once a testa, così povero morì, sarebbe rimasto privo dell'onore della sepoltura

Ma la popolazione, divisa in due parti da una pericolosa sedizione, volle riunirsi in un sol corpo per le mani di Agrippa, perché sapeva che erano povere sì, ma oneste

E se egli da vivo non possedette un patrimonio degno di essere censito, oggi da morto possiede quello splendidissimo della romana concordia

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In C uero Fabricii et Q Aemilii Papi prin cipum saeculi sui domibus argentum fuisse confitear oportet: uterque enim patellam deorum et salinum habuit, sed eo lautius Fabricius, quod patellam suam corneo pediculo sustineri uoluit

Papus quoque satis animose, qui cum hereditatis nomine ea accepisset, religionis causa abalienanda non putauit

Illi etiam praediuites, qui ab aratro arcessebantur, ut consules fierent, uoluptatis causa sterile atque aestuosissimum Pupiniae solum uersabant deliciarumque gratia uastissimas glebas plurimo cum sudore dissipabant

immo uero, quos pericula rei publicae imperatores adserebant, angustiae rei familiaris quid cesso proprium nomen ueritati reddere, bubulcos fieri cogebant
() Conviene confessare che nelle case di Caio Fabrizio e di Quinto Emilio Papo, gli uomini più illustri del loro tempo, dell'argento ci sia stato: infatti l'uno e l'altro possedevano il vassoio per i sacrifici degli dèi e la saliera, ma Fabrizio fu ancor più amante del lusso, perché volle che il suo vassoio fosse sostenuto da un piede di corno

Assai arditamente si comportò anche Papo, che, ricevuti quegli oggetti a titolo di eredità, per pietà religiosa non credette opportuno venderli

() Forse anche quei facoltosi cittadini che venivano chiamati mentre aravano i loro campi per essere eletti consoli lavoravano lo sterile ed affocato suolo della Pupinia soltanto per piacere, e per diletto spianavano a costo di fiumi di suore desolatissime zolle

Anzi gli scarsi patrimoni costringhevano,coloro che le guerre facevano diventare supremi generali ad essere perché non dirlo con parola propria dei bifolchi
Atilium autem, qui ad eum arcessendum a senatu missi erant ad imperium populi Romani suscipiendum, semen spargentem uiderunt

sed illae rustico opere adtritae manus salutem publicam stabilierunt, ingentes hostium copias pessum dederunt, quaeque modo arantium boum iugum rexerant, triumphalis currus habenas retinuerunt, nec fuit his rubori eburneo scipione deposito agrestem stiuam aratri repetere

potest pauperes consolari Atilius, sed multo magis docere locupletes quam non sit necessaria solidae laudis cupidini anxia diuitiarum conparatio
() Coloro ch'erano stati inviati ad Attilio per comunicargli l'ordine del senato di assumere il supremo comando del popolo romano, lo videro mentre seminava

Ma quelle mani, pur consumate dai lavori agricoli, consolidarono la salute pubblica, sbaragliarono ingenti forze nemiche e in breve tempo passarono dalla bure alle redini del carro trionfale; né si vergognarono di tornare a prendere, una volta deposto lo scettro d'avorio, il manico dell'aratro

L'esempio di Attilio sarà di conforto agli indigenti, ma può molto di più insegnare ai ricchi quanto non sia necessaria la briga delle ricchezze per chi desidera una gloria duratura

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Eiusdem nominis et sanguinis Atilius Regulus, primi Punici belli qua gloria, qua clades maxima, cum in Africa insolentissimae Karthaginis opes crebris uictoriis contunderet ac prorogatum sibi ob bene gestas res in proximum annum imperium cognosset, consulibus scripsit uilicum in agello, quem vii iugerum in Pupinia habebat, mortuum esse, occasionemque nanctum mercennarium amoto inde rustico instrumento discessisse, ideoque petere ut sibi successor mitteretur, ne deserto agro non esset unde uxor ac liberi sui alerentur

quae postquam senatus a consulibus accepit, et agrum Atili ilico colendum locari et alimenta coniugi eius acliberis praeberi resque, quas amiserat, redimi publice iussit
() Il suo omonimo e consanguineo Attilio Regolo, che s'identifica ora con la maggiore gloria della prima guerra punita; ora, con la più grave sconfitta nel corso di essa patita, mentre, con numerose vittorie riportate in Africa fiaccava la potenza della superba Cartagine, venuto a sapere che, in considerazione del felice andamento della guerra, gli veniva prorogato per un anno il supremo comando, scrisse ai consoli che gli era morto il fattore del suo campicello di sette iugeri della Pupinia e che un operaio a giornata, capitatagli l'occasione, gli aveva rubato un arnese agricolo e se n'era andato via: pertanto chiedeva che gli s'inviasse un successore, per tema che, rimasto incolto il suo podere, sua moglie e i suoi figli non avessero di che sfamarsi

Venuto a conoscenza del messaggio tramite i consoli, il senato dispose immediatamente che il fondo di Attilio fosse dato in gabella, che moglie e figli fossero alimentati a spese pubbliche e che ugualmente egli fosse indennizzato di quel che aveva perduto

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