Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 07-08 Parte 01

Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 07-08 Parte 01

Latino: dall'autore Seneca, opera Lettere a Lucilio parte Libri 07-08 Parte 01
Moleste fero decessisse Flaccum, amicum tuum, plus tamen aequo dolere te nolo

Illud, ut non doleas, vix audebo exigere; et esse melius scio

Sed cui ista firmitas animi continget nisi iam multum supra fortunam elato

illum quoque ista res vellicabit, sed tantum vellicabit

Nobis autem ignosci potest prolapsis ad lacrimas, si non nimiae decucurrerunt, si ipsi illas repressimus

Nec sicci sint oculi amisso amico nec fluant; lacrimandum est, non plorandum

Duram tibi legem videor ponere, cum poetarum Graecorum maximus ius flendi dederit in unum dumtaxat diem, cum dixerit etiam Niobam de cibo cogitasse

Quaeris unde sint lamentationes, unde immodici fletus

per lacrimas argumenta desiderii quaerimus et dolorem non sequimur sed ostendimus; nemo tristis sibi est

O infelicem stultitiam

est aliqua et doloris ambitio

'Quid ergo
Mi dispiace molto per la morte del tuo amico Flacco, ma non vorrei che tu ne soffrissi più del giusto

Non oso pretendere che tu non ti addolori, anche se so che sarebbe meglio

Ma una fermezza del genere può averla solo chi è ormai molto al di sopra della fortuna

La morte pungerà la sua anima, ma la pungerà solamente

Se scoppiamo in lacrime, è perdonabile, purché le lacrime non scorrano a fiotti, e siamo noi stessi a reprimerle

Morto un amico, gli occhi non devono gonfiarsi di pianto, ma neanche esserne privi; bisogna versare qualche lacrima, non singhiozzare disperatamente

Credi che ti imponga una dura legge Eppure il più grande poeta greco concede il diritto di piangere, ma per un solo giorno, e racconta che anche Niobe si preoccupò del cibo

Domandi da dove nascano i lamenti e i pianti sfrenati

Attraverso le lacrime vogliamo dimostrare il nostro rimpianto e non ci conformiamo al dolore, lo ostentiamo; nessuno è triste per se stesso

che misera stupidità

c'è un'ostentazione anche del dolore

Come
' inquis 'obliviscar amici

' Brevem illi apud te memoriam promittis, si cum dolore mansura est: iam istam frontem ad risum quaelibet fortuita res transferet

Non differo in longius tempus quo desiderium omne mulcetur, quo etiam acerrimi luctus residunt: cum primum te observare desieris, imago ista tristitiae discedet

Nunc ipse custodis dolorem tuum; sed custodienti quoque elabitur, eoque citius quo est acrior desinit

Id agamus ut iucunda nobis amissorum fiat recordatio

Nemo libenter ad id redit quod non sine tormento cogitaturus est, sicut illud fieri necesse est, ut cum aliquo nobis morsu amissorum quos amavimus nomen occurrat; sed hic quoque morsus habet suam voluptatem
chiedi Dovrò dimenticarmi di un amico

breve il ricordo che gli prometti se dura in te quanto il dolore; alla prima occasione ti si spianerà la fronte al riso

E non rimando a un tempo più lontano, quando si mitiga ogni pena e si attenuano anche i lutti più lancinanti; Appena avrai smesso di spiarti, quest'ombra di tristezza svanirà

Ora sei proprio tu a custodire il tuo dolore; ma esso sfugge anche a chi lo custodisce: più è forte, più rapidamente finisce

Rendiamoci gradevole il ricordo dei nostri morti

Nessuno ripensa volentieri a una cosa che gli procura sofferenza ed è inevitabile che il nome delle persone amate e perdute ci provochi una fitta di angoscia: ma questa fitta comporta un suo piacere
Nam, ut dicere solebat Attalus noster, 'sic amicorum defunctorum memoria iucunda est quomodo poma quaedam sunt suaviter aspera, quomodo in vino nimis veteri ipsa nos amaritudo delectat; cum vero intervenit spatium, omne quod angebat exstinguitur et pura ad nos voluptas venit'

Si illi credimus, 'amicos incolumes cogitare melle ac placenta frui est: eorum qui fuerunt retractatio non sine acerbitate quadam iuvat

Quis autem negaverit haec acria quoque et habentia austeritatis aliquid stomachum excitare

' Ego non idem sentio: mihi amicorum defunctorum cogitatio dulcis ac blanda est; habui enim illos tamquam amissurus, amisi tamquam habeam

Fac ergo, mi Lucili, quod aequitatem tuam decet, desine beneficium fortunae male interpretari: abstulit, sed dedit

Ideo amicis avide fruamur quia quamdiu contingere hoc possit incertum est
Diceva spesso il nostro Attalo: Il ricordo degli amici defunti ci è gradito come certi frutti sono gradevolmente acerbi, come nel vino troppo invecchiato non disdegnamo proprio quel suo sapore amarognolo; quando è passato un po' di tempo si spegne ogni sofferenza e subentra un piacere puro

Se vogliamo credergli: Pensare agli amici che sono in vita è come gustare focaccia e miele: il ricordo di quelli scomparsi, invece, è dolce e amaro al tempo stesso

Chi può negare che anche i cibi acri al palato e asprigni stuzzicano l'appetito

Non sono d'accordo: per me il pensiero degli amici morti è dolce e gradevole; li avevo e pensavo che li avrei perduti, li ho perduti e penso di averli ancòra

Comportati, dunque, mio caro, in modo adatto al tuo equilibrio, non interpretare in maniera distorta un beneficio della fortuna: ti ha tolto, ma ti ha dato

Godiamo, perciò avidamente della presenza degli amici, perché non sappiamo per quanto tempo ci possa toccare
Cogitemus quam saepe illos reliquerimus in aliquam peregrinationem longinquam exituri, quam saepe eodem morantes loco non viderimus: intellegemus plus nos temporis in vivis perdidisse

Feras autem hos qui neglegentissime amicos habent, miserrime lugent, nec amant quemquam nisi perdiderunt

ideoque tunc effusius maerent quia verentur ne dubium sit an amaverint; sera indicia affectus sui quaerunt

Si habemus alios amicos, male de iis et meremur et existimamus, qui parum valent in unius elati solacium; si non habemus, maiorem iniuriam ipsi nobis fecimus quam a fortuna accepimus: illa unum abstulit, nos quemcumque non fecimus

Deinde ne unum quidem nimis amavit qui plus quam unum amare non potuit
Basta riflettere a quante volte li abbiamo lasciati per qualche lungo viaggio o come siamo stati tanto senza vederli pur abitando nello stesso luogo; è facile rendersi conto che abbiamo perduto più tempo quando erano vivi

Come si fa a tollerare che uomini tanto trascurati con gli amici piangano poi disperatamente e non amino nessuno, se non dopo averlo perduto

Temono che si dubiti del loro amore e allora si abbandonano alla disperazione, cercano tardive testimonianze del loro affetto

Se abbiamo altri amici e non possono esserci di conforto per la perdita di uno solo, ci comportiamo male con loro e li stimiamo poco; se non ne abbiamo altri, il male che ci siamo inflitti da noi stessi è superiore a quello che ci viene dalla sorte: essa ci ha tolto un solo amico, noi tutti quelli che non ci siamo fatti

E poi chi non sa amare più di uno, non ama eccessivamente neppure quel solo
Si quis despoliatus amissa unica tunica complorare se malit quam circumspicere quomodo frigus effugiat et aliquid inveniat quo tegat scapulas, nonne tibi videatur stultissimus

Quem amabas extulisti: quaere quem ames

Satius est amicum reparare quam flere

Scio pertritum iam hoc esse quod adiecturus sum, non ideo tamen praetermittam quia ab omnibus dictum est: finem dolendi etiam qui consilio non fecerat tempore invenit

Turpissimum autem est in homine prudente remedium maeroris lassitudo maerendi: malo relinquas dolorem quam ab illo relinquaris; et quam primum id facere desiste quod, etiam si voles, diu facere non poteris

Annum feminis ad lugendum constituere maiores, non ut tam diu lugerent, sed ne diutius: viris nullum legitimum tempus est, quia nullum honestum
Se un tale, rimasto a sèguito di un furto sprovvisto dell'unica veste che possedeva, preferisce piangere nudo invece che cercare un modo per scampare al freddo e trovare qualcosa con cui coprirsi le spalle, non ti sembrerebbe completamente pazzo

Hai seppellito una persona che amavi, Cercane un'altra da amare

Invece di piangere, è meglio farsi un nuovo amico

Quello che sto per aggiungere è trito e ritrito, lo so; ma non voglio tralasciarlo solo perché lo hanno già detto tutti: Col passare del tempo sente esaurirsi il proprio dolore anche chi non vi ha posto fine volontariamente

Ma è proprio una vergogna per un individuo assennato che il rimedio al dolore sia la stanchezza di soffrire: è meglio che sia tu a lasciare il dolore, non il dolore te; rinuncia subito a un atteggiamento che, anche volendo, non sarai in grado di sostenere a lungo

I nostri padri stabilirono un anno di lutto per le donne, ma come limite massimo, non minimo, al pianto; per gli uomini, invece, la legge non fissa nessun periodo, perché non sarebbe dignitoso
Quam tamen mihi ex illis mulierculis dabis vix retractis a rogo, vix a cadavere revulsis, cui lacrimae in totum mensem duraverint

Nulla res citius in odium venit quam dolor, qui recens consolatorem invenit et aliquos ad se adducit, inveteratus vero deridetur, nec immerito; aut enim simulatus aut stultus est

Haec tibi scribo, is qui Annaeum Serenum carissimum mihi tam immodice flevi ut, quod minime velim, inter exempla sim eorum quos dolor vicit

Hodie tamen factum meum damno et intellego maximam mihi causam sic lugendi fuisse quod numquam cogitaveram mori eum ante me posse

Hoc unum mihi occurrebat, minorem esse et multo minorem - tamquam ordinem fata servarent

Itaque assidue cogitemus de nostra quam omnium quos diligimus mortalitate

Tunc ego debui dicere, 'minor est Serenus meus: quid ad rem pertinet
Puoi menzionarmi una sola di quelle donnette che, tirate via a forza dal rogo, allontanate a stento dal cadavere del marito, abbia pianto per tutto un mese

Niente viene più rapidamente a noia del dolore e, se è recente, trova un consolatore e attira qualcuno a sé, ma se è di vecchia data, è deriso, e a ragione: o è simulato o è stupido

A scriverti queste cose sono proprio io che ho pianto il mio carissimo amico Anneo Sereno senza nessun ritegno e così, mio malgrado, sono da mettere tra gli esempi di uomini sopraffatti dal dolore

Oggi, però condanno il mio comportamento e capisco: non aver mai considerato la possibilità che lui morisse prima di me è stato il motivo fondamentale di quel mio pianto eccessivo

Avevo davanti agli occhi solo questo, che lui era più giovane, molto più giovane di me; come se il destino rispettasse l'ordine di anzianità

Riflettiamo, perciò sempre che tanto noi, quanto tutti i nostri cari, siamo mortali

Allora avrei dovuto dire: Il mio Sereno è più giovane di me: che importa
post me mori debet, sed ante me potest'

Quia non feci, imparatum subito fortuna percussit

Nunc cogito omnia et mortalia esse et incerta lege mortalia; hodie fieri potest quidquid umquam potest

Cogitemus ergo, Lucili carissime, cito nos eo perventuros quo illum pervenisse maeremus; et fortasse, si modo vera sapientium fama est recipitque nos locus aliquis, quem putamus perisse praemissus est

Vale

Fuisti here nobiscum

Potes queri, si here tantum; ideo adieci 'nobiscum'; mecum enim semper es

Intervenerant quidam amici propter quos maior fumus fieret, non hic qui erumpere ex lautorum culinis et terrere vigiles solet, sed hic modicus qui hospites venisse significet

Varius nobis fuit sermo, ut in convivio, nullam rem usque ad exitum adducens sed aliunde alio transiliens
Dovrebbe morire dopo di me, ma può anche morire prima

Non l'ho fatto e la sventura si è abbattuta all'improvviso su di me senza che me lo aspettassi

Ora penso che tutto è mortale e che, come tale, non obbedisce a una legge precisa: potrebbe accadere oggi quello che può capitare un giorno qualsiasi

Riflettiamo su questo, carissimo Lucilio: toccherà presto a noi di arrivare là dove lui è già arrivato e noi ce ne affliggiamo; e forse, se i sapienti dicono la verità e c'è un luogo che ci accoglie tutti, l'amico, per noi scomparso, ci ha solo preceduti

Stammi bene

Ieri sei stato insieme a noi

Potresti lamentarti, se si fosse trattato solo di ieri; perciò ho aggiunto con noi: con me ci sei sempre

Sono venuti certi amici e per loro il fumo è aumentato; non quel fumo che erompe dalle cucine dei ricchi e mette in allarme i vigili, ma quello moderato che indica l'arrivo di ospiti

Abbiamo parlato di tanti argomenti, come si fa durante un banchetto, senza esaurirne nessuno, ma saltando dall'uno all'altro
Lectus est deinde liber Quinti Sextii patris, magni, si quid mihi credis, viri, et licet neget Stoici

Quantus in illo, di boni, vigor est, quantum animi

Hoc non in omnibus philosophis invenies: quorundam scripta clarum habentium nomen exanguia sunt

Instituunt, disputant, cavillantur, non faciunt animum quia non habent: cum legeris Sextium, dices, 'vivit, viget, liber es, supra hominem est, dimittit me plenum ingentis fiduciae'

In qua positione mentis sim cum hunc lego fatebor tibi: libet omnis casus provocare, libet exclamare, 'quid cessas, fortuna

congredere: paratum vides'

Illius animum induo qui quaerit ubi se experiatur, ubi virtutem suam ostendat, spumantemque dari pecora inter inertia votisoptat aprum aut fulvum descendere monte leonem

Libet aliquid habere quod vincam, cuius patientia exercear
Poi abbiamo letto il libro di Quinto Sestio padre, un grande uomo, parola mia, e uno stoico, anche se lui non si riconosce tale

Che vigore, buon dio, che temperamento

Non in tutti i filosofi lo troverai: certi, che pure sono famosi, hanno scritto pagine senza nerbo

Ammaestrano, discutono, cavillano, non infondono energia: non ne hanno; se leggi Sestio, dirai: vivo, è vigoroso, è libero, è superiore agli altri, mi lascia una notevole carica di fiducia

Ti confesserò qual è il mio stato d'animo quando lo leggo: ho voglia di sfidare tutti gli eventi, ho voglia di gridare: Perché questo indugio, o sorte

Attacca, sono pronto

Mi rivesto dello spirito di uno che, cercando di dar prova del proprio valore e di sperimentare se stesso, desidera ardentemente di imbattersi tra imbelli armenti in un cinghiale con la bava alla bocca, o che scenda dai monti un fulvo leone

Avere qualche ostacolo da vincere ed esercitarvi la mia fermezza: ecco quello che mi piace
Nam hoc quoque egregium Sextius habet, quod et ostendet tibi beatae vitae magnitudinem et desperationem eius non faciet: scies esse illam in excelso, sed volenti penetrabilem

Hoc idem virtus tibi ipsa praestabit, ut illam admireris et tamen speres

Mihi certe multum auferre temporis solet contemplatio ipsa sapientiae; non aliter illam intueor obstupefactus quam ipsum interim mundum, quem saepe tamquam spectator novus video

Veneror itaque inventa sapientiae inventoresque; adire tamquam multorum hereditatem iuvat

Mihi ista acquisita, mihi laborata sunt

Sed agamus bonum patrem familiae, faciamus ampliora quae accepimus; maior ista hereditas a me ad posteros transeat

Multum adhuc restat operis multumque restabit, nec ulli nato post mille saecula praecludetur occasio aliquid adhuc adiciendi
Sestio ha quest'altra straordinaria dote: ti mostra la grandezza della felicità, ma non ti fa disperare di ottenerla: comprenderai che la felicità si trova molto in alto, ma è accessibile, se uno vuole

Ed è proprio quello che la virtù ti darà: un senso di ammirazione nei suoi confronti e la speranza di raggiungerla

A me la semplice contemplazione della saggezza porta via molto tempo; la guardo stupefatto, come guardo talvolta l'universo che spesso vedo con occhi nuovi

Nutro, perciò venerazione per le scoperte della saggezza e per chi le opera, Mi piace venirne in possesso come se fossero eredità di molti

Queste conquiste, questi sforzi sono stati fatti per me

Ma comportiamoci come un buon padre di famiglia, ampliamo il patrimonio ricevuto; quest'eredità passi accresciuta da me ai posteri

Da fare resta ancora molto e molto ne resterà, e a nessuno, sia pure fra mille secoli, sarà negata la possibilità di aggiungere qualche cosa ancora
Sed etiam si omnia a veteribus inventa sunt, hoc semper novum erit, usus et inventorum ab aliis scientia ac dispositio

Puta relicta nobis medicamenta quibus sanarentur oculi: non opus est mihi alia quaerere, sed haec tamen morbis et temporibus aptanda sunt

Hoc asperitas oculorum collevatur; hoc palpebrarum crassitudo tenuatur; hoc vis subita et umor avertitur; hoc acuetur visus: teras ista oportet et eligas tempus, adhibeas singulis modum

Animi remedia inventa sunt ab antiquis; quomodo autem admoveantur aut quando nostri operis est quaerere

Multum egerunt qui ante nos fuerunt, sed non peregerunt

Suspiciendi tamen sunt et ritu deorum colendi

Quidni ego magnorum virorum et imagines habeam incitamenta animi et natales celebrem

quidni ego illos honoris causa semper appellem
Ma anche se gli antichi hanno scoperto tutto, l'applicazione, la conoscenza e l'organizzazione delle scoperte altrui sarà sempre nuova

Supponi che ci siano stati lasciati dei farmaci per sanare gli occhi: non ho bisogno di cercarne altri; ma quelli che ho devo adattarli alle malattie e alle circostanze

Uno allevia il bruciore agli occhi; un altro attenua il gonfiore delle palpebre; con questo si può stroncare uno spasmo improvviso e l'eccessiva lacrimazione, quest'altro acuisce la vista; bisogna poi triturare le erbe mediche, scegliere il momento giusto per la cura e dosarle secondo le necessità del paziente

Gli antichi hanno trovato farmaci per i mali dell'anima; come o quando vanno adoperati spetta a noi ricercarlo

I nostri predecessori hanno fatto molto, ma non hanno fatto tutto

Pure vanno rispettati e venerati come dèi

Perché non dovrei tenere i ritratti dei grandi uomini come sprone morale e non dovrei celebrarne l'anniversario della nascita

Perché non dovrei menzionarli sempre a titolo di onore
Seneca, Naturales Quaestiones: Libro 07; 01-05

Seneca, De Constantia Sapientis: 05; 01-07

Seneca, De Otio: 01; 05 - 08

Seneca, De providentia: Parte 04

Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 17-18 (parte 01)

Seneca, Naturales Quaestiones: Libro 03; 01-05