Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 05, pag 2

Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 05

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 05 Parte 05
aeternamque dabant vitam, quia semper eorum subpeditabatur facies et forma manebat, et tamen omnino quod tantis viribus auctos non temere ulla vi convinci posse putabant

fortunisque ideo longe praestare putabant, quod mortis timor haut quemquam vexaret eorum, et simul in somnis quia multa et mira videbant efficere et nullum capere ipsos inde laborem

praeterea caeli rationes ordine certo et varia annorum cernebant tempora verti nec poterant quibus id fieret cognoscere causis

ergo perfugium sibi habebant omnia divis tradere et illorum nutu facere omnia flecti
E attribuivano loro vita eterna, perché sempre la loro immagine si rinnovava e la forma rimaneva inalterata e, d'altronde, soprattutto perché pensavano che esseri dotati di forze così grandi non potessero facilmente esser vinti da alcuna forza

E pensavano che per sorte molto eccellessero, perché il timore della morte non ne tormentava alcuno, e insieme perché in sogno li vedevano compiere molte e mirabili azioni senza risentirne essi stessi alcuna fatica

Scorgevano inoltre i fenomeni celesti e le varie stagioni dell'anno rotare secondo un ordine costante, né potevano conoscere per quali cause questo avvenisse

Dunque avevano per sé via d'uscita l'assegnare ogni cosa agli dèi e supporre che al cenno di quelli ogni cosa obbedisse
in caeloque deum sedes et templa locarunt, per caelum volvi quia nox et luna videtur, luna dies et nox et noctis signa severa noctivagaeque faces caeli flammaeque volantes, nubila sol imbres nix venti fulmina grando et rapidi fremitus et murmura magna minarum

O genus infelix humanum, talia divis cum tribuit facta atque iras adiunxit acerbas

quantos tum gemitus ipsi sibi, quantaque nobis volnera, quas lacrimas peperere minoribus nostris

nec pietas ullast velatum saepe videri vertier ad lapidem atque omnis accedere ad aras nec procumbere humi prostratum et pandere palmas ante deum delubra nec aras sanguine multo spargere quadrupedum nec votis nectere vota, sed mage pacata posse omnia mente tueri
E nel cielo collocarono le sedi e le regioni degli dèi, perché nel cielo si vedono girare la notte e la luna, la luna, il giorno e la notte, e le severe stelle della notte, e le faci del cielo che vagano di notte, e le fiamme volanti, le nubi, il sole, le piogge, la neve, i venti, i fulmini, la grandine, e i rapidi fremiti e i grandi minacciosi fragori

O infelice genere umano, quando agli dèi attribuì tali azioni ed aggiunse ire acerbe

Che gemiti allora a sé stessi, che piaghe a noi, che lacrime cagionarono ai nostri discendenti

Né è punto vera pietà farsi spesso vedere nell'atto di volgersi velato a un sasso e accostarsi a tutti gli altari, né gettarsi a terra prosternato e protendere le palme innanzi ai templi degli dèi, né cospargere gli altari con molto sangue di quadrupedi, né intrecciar voti a voti, ma piuttosto il poter contemplare ogni cosa con mente tranquilla
nam cum suspicimus magni caelestia mundi templa super stellisque micantibus aethera fixum, et venit in mentem solis lunaeque viarum, tunc aliis oppressa malis in pectora cura illa quoque expergefactum caput erigere infit, ne quae forte deum nobis inmensa potestas sit, vario motu quae candida sidera verste

temptat enim dubiam mentem rationis egestas, ecquae nam fuerit mundi genitalis origo, et simul ecquae sit finis, quoad moenia mundi et taciti motus hunc possint ferre laborem, an divinitus aeterna donata salute perpetuo possint aevi labentia tractu inmensi validas aevi contemnere viris

praeterea cui non animus formidine divum contrahitur, cui non correpunt membra pavore, fulminis horribili cum plaga torrida tellus contremit et magnum percurrunt murmura caelum
Difatti, quando leviamo lo sguardo alle celesti plaghe del vasto mondo, lassù, e all'etere trapunto di stelle fulgenti, e il pensiero si volge ai corsi del sole e della luna, allora, contro i petti oppressi da altri mali comincia a ergere il capo ridesto anche quell'angoscioso pensiero, che non ci sia per caso su di noi un immenso potere di dèi, che con vario movimento volga gli astri splendenti

Ignorando le cause, infatti, la mente è assillata dal dubbio se mai ci sia stata un'origine primigenia del mondo e, insieme, se ci sia un termine fino al quale le mura del mondo possano sopportare questo travaglio di moto affannoso, oppure, dotate di eterna esistenza dal volere divino, possano, volando per un tratto ininterrotto di tempo, disprezzare le possenti forze di un'età immensa

Oltre a ciò, a chi non si stringe il cuore per timore degli dèi, a chi non si raggricciano le membra per paura, quando sotto l'orribile colpo del fulmine la terra arsa trema tutta e fragori percorrono il vasto cielo

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non populi gentesque tremunt, regesque superbi corripiunt divum percussi membra timore, ne quod ob admissum foede dictumve superbe poenarum grave sit solvendi tempus adauctum

summa etiam cum vis violenti per mare venti induperatorem classis super aequora verrit cum validis pariter legionibus atque elephantis, non divom pacem votis adit ac prece quaesit ventorum pavidus paces animasque secundas ne quiquam, quoniam violento turbine saepe correptus nihilo fertur minus ad vada leti

usque adeo res humanas vis abdita quaedam opterit et pulchros fascis saevasque secures proculcare ac ludibrio sibi habere videtur

denique sub pedibus tellus cum tota vacillat concussaeque cadunt urbes dubiaeque minantur, quid mirum si se temnunt mortalia saecla atque potestatis magnas mirasque relinquunt in rebus viris divum, quae cuncta gubernent
Non tremano popoli e genti, e i re superbi non contraggono le membra percossi dal timore degli dèi, immaginando che per qualche azione turpe o parola superba sia giunto il penoso tempo di pagare il fio

E, quando l'enorme forza del vento che imperversa per il mare spazza via su per l'onde il comandante d'una flotta insieme con le possenti legioni e gli elefanti, non cerca egli con voti la pace degli dèi, non invoca pregando pavido il placarsi dei venti e brezze favorevoli, ma invano, giacché spesso, afferrato da turbine violento, vien tuttavia trasportato nelle secche della morte

A tal punto una forza nascosta schiaccia le cose umane e sembra calpestare e avere a scherno gli splendidi fasci e le scuri spietate

Infine, quando sotto i piedi la terra tutta vacilla e scosse cadono le città o minacciano di cadere, che meraviglia se le stirpi mortali disprezzano sé stesse e ammettono nel mondo vasti poteri e mirabili forze di dèi che governino tutte le cose
Quod super est, ae[s at]que aurum ferrumque repertumst et simul argenti pondus plumbique potestas, ignis ubi ingentis silvas ardore cremarat montibus in magnis, seu caelo fulmine misso, sive quod inter se bellum silvestre gerentes hostibus intulerant ignem formidinis ergo, sive quod inducti terrae bonitate volebant pandere agros pinguis et pascua reddere rura, sive feras interficere et ditescere preda

nam fovea atque igni prius est venarier ortum quam saepire plagis saltum canibusque ciere

quicquid id est, qua cumque e causa flammeus ardor horribili sonitu silvas exederat altis a radicibus et terram percoxerat igni, manabat venis ferventibus in loca terrae concava conveniens argenti rivus et auri, aeris item et plumbi
Quanto al resto, il rame e l'oro e il ferro e, insieme ad essi, il peso dell'argento e il potere del piombo furono scoperti quando il fuoco avvampante aveva arso immense selve su grandi monti, o per un fulmine piombato dal cielo, o perché gli uomini, guerreggiando tra loro nelle selve, avevano scagliato il fuoco tra i nemici per atterrirli, o perché, allettati dalla bontà del terreno, volevano aprire pingui campi e a pascoli ridurre le campagne, o far massacro di belve e arricchirsi di preda

Difatti il cacciare con la fossa e col fuoco sorse prima che il cingere il bosco con reti e lo scovare la selvaggina coi cani

Comunque sia, quale che fosse la causa per cui l'ardore delle fiamme aveva divorato con orrendo fragore le selve dalle profonde radici e aveva cotto a fondo col fuoco la terra, colavano dalle vene bollenti confluendo nelle cavità della terra rivoli d'argento e d'oro e anche di rame e di piombo

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quae cum concreta videbant posterius claro in terra splendere colore, tollebant nitido capti levique lepore, et simili formata videbant esse figura atque lacunarum fuerant vestigia cuique

tum penetrabat eos posse haec liquefacta calore quamlibet in formam et faciem decurrere rerum, et prorsum quamvis in acuta ac tenvia posse mucronum duci fastigia procudendo, ut sibi tela parent silvasque ut caedere possint materiemque dolare et levia radere tigna et terebrare etiam ac pertundere perque forare

nec minus argento facere haec auroque parabant quam validi primum violentis viribus aeris, ne quiquam, quoniam cedebat victa potestas nec poterant pariter durum sufferre laborem

nam fuit in pretio magis aes aurumque iacebat propter inutilitatem hebeti mucrone retusum

nunc iacet aes, aurum in summum successit honorem
E quando gli uomini li vedevano poi rappresi risplendere sul suolo di lucido colore, li raccoglievano, avvinti dalla nitida e levigata bellezza, e vedevano che erano foggiati in forma simile a quella che aveva l'impronta dell'incavo di ognuno

Allora in essi entrava il pensiero che questi, liquefatti al calore, potessero colando plasmarsi in qualsiasi forma e aspetto di oggetti, e che martellandoli si potesse forgiarli in punte di pugnali quanto mai si volesse acute e sottili, sì da procurarsi armi e poter tagliare selve ed asciare il legname e piallare e levigare travi ed anche trapanare e trafiggere e perforare

E dapprima s'apprestavano a far queste cose con l'argento e l'oro non meno che con la forza violenta del possente rame, ma invano, poiché la tempra di quelli vinta cedeva, né potevano sopportare ugualmente il duro sforzo

Difatti il rame era più pregiato e l'oro era trascurato per l'inutilità, perché si smussava con la punta rintuzzata

Ora è trascurato il rame, l'oro è asceso al più alto onore
sic volvenda aetas commutat tempora rerum quod fuit in pretio, fit nullo denique honore; porro aliud succedit et [e] contemptibus exit inque dies magis adpetitur floretque repertum laudibus et miro est mortalis inter honore

Nunc tibi quo pacto ferri natura reperta sit facilest ipsi per te cognoscere, Memmi

arma antiqua manus ungues dentesque fuerunt et lapides et item silvarum fragmina rami et flamma atque ignes, post quam sunt cognita primum

posterius ferri vis est aerisque reperta

et prior aeris erat quam ferri cognitus usus, quo facilis magis est natura et copia maior

aere solum terrae tractabant, aereque belli miscebant fluctus et vulnera vasta serebant et pecus atque agros adimebant; nam facile ollis omnia cedebant armatis nuda et inerma
Così il volgere del tempo tramuta le stagioni delle cose: ciò che era in pregio, diventa alfine di nessun valore; quindi subentra un'altra cosa ed esce dal disprezzo e sempre più, di giorno in giorno, è desiderata, e una volta scoperta fiorisce di lodi e gode tra i mortali di mirabile onore

Ora in qual modo sia stata scoperta la natura del ferro, ti è facile conoscere da te stesso, o Memmio

Armi furono in antico le mani, le unghie e i denti e i sassi, e inoltre i rami spezzati nelle selve, poi fiamme e fuoco, da quando se n'ebbe la prima conoscenza

In séguito fu scoperta la forza del ferro e del bronzo

E l'uso del bronzo fu conosciuto prima di quello del ferro, in quanto la sua natura è più malleabile e di più esso abbonda

Col bronzo lavoravano il terreno, e col bronzo agitavano flutti di guerra e spargevano ferite devastatrici e depredavano greggi e campi

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inde minutatim processit ferreus ensis versaque in obprobrium species est falcis ahenae, et ferro coepere solum proscindere terrae exaequataque sunt creperi certamina belli

et prius est armatum in equi conscendere costas et moderarier hunc frenis dextraque vigere quam biiugo curru belli temptare pericla

et biiugo prius est quam bis coniungere binos et quam falciferos armatum escendere currus

Infatti tutto quel ch'era nudo e inerme cedeva facilmente a quelli ch'erano armati Poi a poco a poco si fece strada la spada di ferro e divenne obbrobriosa la foggia della falce di bronzo, e col ferro incominciarono a solcare il suolo della terra e furono uguagliati i cimenti della guerra dall'esito incerto

E montare armato sui fianchi del cavallo e guidarlo col morso e combattere con la destra, è uso più antico che tentare i rischi della guerra su un carro a due cavalli

E due cavalli si usò aggiogare prima che quattro e prima che salire armati sui carri muniti di falci

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