Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 05

Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 05

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 05 Parte 05

cognita sunt, prolemque ex se videre creatam, tum genus humanum primum mollescere coepit

ignis enim curavit, ut alsia corpora frigus non ita iam possent caeli sub tegmine ferre, et Venus inminuit viris puerique parentum blanditiis facile ingenium fregere superbum

tunc et amicitiem coeperunt iungere aventes finitimi inter se nec laedere nec violari, et pueros commendarunt muliebreque saeclum, vocibus et gestu cum balbe significarent imbecillorum esse aequum misererier omnis

nec tamen omnimodis poterat concordia gigni, sed bona magnaque pars servabat foedera caste; aut genus humanum iam tum foret omne peremptum nec potuisset adhuc perducere saecla propago
furono conosciuti, ed essi videro la prole nata da loro, allora primamente il genere umano cominciò a dirozzarsi

Il fuoco infatti fece sì che i corpi freddolosi non potessero più sopportare bene il freddo sotto la volta del cielo, e Venere diminuì le forze, e i bambini con le carezze facilmente vinsero l'indole fiera dei genitori

Allora cominciarono anche a stringere amicizia fra loro i vicini, desiderando non nuocere e non subire violenza, e si affidarono l'un l'altro i fanciulli e le donne, con balbettanti voci e col gesto significando che era giusto che tutti avessero pietà per i deboli

Né tuttavia poteva la concordia nascere sempre, ma una buona, una gran parte degli uomini osservava i patti fedelmente; altrimenti il genere umano già allora sarebbe perito tutto, né il suo propagarsi avrebbe potuto far durare fino ad ora le stirpi
At varios linguae sonitus natura subegit mittere et utilitas expressit nomina rerum, non alia longe ratione atque ipsa videtur protrahere ad gestum pueros infantia linguae, cum facit ut digito quae sint praesentia monstrent

sentit enim vim quisque suam quod possit abuti

cornua nata prius vitulo quam frontibus extent, illis iratus petit atque infestus inurget

at catuli pantherarum scymnique leonum unguibus ac pedibus iam tum morsuque repugnant, vix etiam cum sunt dentes unguesque creati

alituum porro genus alis omne videmus fidere et a pennis tremulum petere auxiliatum

proinde putare aliquem tum nomina distribuisse rebus et inde homines didicisse vocabula prima, desiperest
I vari suoni della lingua, poi, fu la natura che costrinse ad emetterli, e l'utilità foggiò i nomi delle cose, in modo non molto diverso da quello in cui si vede che la stessa incapacità della lingua a esprimere parole induce i bimbi a gestire, quando fa che mostrino a dito le cose che sono presenti

Difatti ognuno sente per qual uso possa valersi delle proprie facoltà

Il vitello, prima che le corna gli siano spuntate e sporgano dalla fronte, con esse irato assale e ostile incalza

Dal canto loro, i cuccioli delle pantere e i leoncini si difendono con unghie e zampe e morsi già quando denti e unghie non sono ancora ben formati

Vediamo poi ogni specie di uccelli affidarsi alle ali e chiedere alle penne un aiuto che ancora è tremolante

Perciò pensare che qualcuno allora abbia assegnato i nomi alle cose e che da lui gli uomini abbiano imparato i primi vocaboli, è follia
nam cur hic posset cuncta notare vocibus et varios sonitus emittere linguae, tempore eodem alii facere id non quisse putentur

praeterea si non alii quoque vocibus usi inter se fuerant, unde insita notities est utilitatis et unde data est huic prima potestas, quid vellet facere ut sciret animoque videret

cogere item pluris unus victosque domare non poterat, rerum ut perdiscere nomina vellent

nec ratione docere ulla suadereque surdis, quid sit opus facto, facilest; neque enim paterentur nec ratione ulla sibi ferrent amplius auris vocis inauditos sonitus obtundere frustra

postremo quid in hac mirabile tantoperest re, si genus humanum, cui vox et lingua vigeret, pro vario sensu varia res voce notaret
Infatti, perché colui avrebbe potuto designare con parole ogni cosa ed emettere i vari suoni della lingua, ma si dovrebbe credere che nello stesso tempo altri non abbiano potuto farlo

Inoltre, se delle parole non avevano fatto uso fra loro anche altri, donde fu impressa in quello la nozione della loro utilità e donde fu data a lui per primo la facoltà di sapere e di vedere nella mente che cosa volesse fare

Parimenti, non poteva uno solo costringer molti e vincerli e domarli, sì che acconsentissero a imparare i nomi delle cose

Né in alcun modo è facile insegnare a sordi e persuaderli di ciò che bisogna fare; difatti non lo sopporterebbero, né in alcun modo tollererebbero che inauditi suoni di voce più volte assordassero le loro orecchie invano

Infine, che c'è di tanto sorprendente in questo, se il genere umano, che aveva voce e lingua vigorose, secondo le diverse impressioni designava le cose con suoni diversi

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Lucrezio, De rerum natura: Libro 03 Parte 04
Lucrezio, De rerum natura: Libro 03 Parte 04

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 03 Parte 04

cum pecudes mutae, cum denique saecla ferarum dissimilis soleant voces variasque ciere, cum metus aut dolor est et cum iam gaudia gliscunt

quippe [et]enim licet id rebus cognoscere apertis

inritata canum cum primum magna Molossum mollia ricta fremunt duros nudantia dentes, longe alio sonitu rabies [re]stricta minatur, et cum iam latrant et vocibus omnia complent

at catulos blande cum lingua lambere temptant aut ubi eos lactant, pedibus morsuque potentes suspensis teneros imitantur dentibus haustus, longe alio pacto gannitu vocis adulant, et cum deserti baubantur in aedibus, aut cum plorantis fugiunt summisso corpore plagas
Quando le greggi prive di parola, quando perfino le stirpi delle fiere son solite formare voci dissimili e varie, secondo che sentano timore o dolore o cresca in esse la gioia

E infatti è possibile conoscer questo in base a fatti palesi

Quando le larghe morbide labbra dei cani molossi incominciano a fremere irritate, scoprendo i duri denti, tirate indietro per la rabbia, minacciano con suono molto diverso da quando poi latrano ed empiono tutti i luoghi delle loro voci

Ma, quando prendono a lambire con la lingua carezzevolmente i cuccioli o li sballottano con le zampe e, minacciando di morderli, senza stringere i denti fingono di volerli divorare teneramente, li vezzeggiano col mugolìo in modo molto diverso da quando lasciati soli in casa abbaiano, o quando uggiolando scansano col corpo schiacciato a terra le percosse
denique non hinnitus item differre videtur, inter equas ubi equus florenti aetate iuvencus pinnigeri saevit calcaribus ictus Amoris et fremitum patulis sub naribus edit ad arma, et cum sic alias concussis artibus hinnit

postremo genus alituum variaeque volucres, accipitres atque ossifragae mergique marinis fluctibus in salso victum vitamque petentes, longe alias alio iaciunt in tempore voces, et quom de victu certant praedaque repugnant

et partim mutant cum tempestatibus una raucisonos cantus, cornicum ut saecla vetusta corvorumque gregis ubi aquam dicuntur et imbris poscere et inter dum ventos aurasque vocare

ergo si varii sensus animalia cogunt, muta tamen cum sint, varias emittere voces, quanto mortalis magis aequumst tum potuisse dissimilis alia atque alia res voce notare
E ancora, non si vede che parimenti differisce il nitrito, quando un polledro nel fiore dell'età infuria fra le cavalle, colpito dagli sproni di amore alato, e con le froge dilatate freme movendo all'assalto, e quando, in altri casi, nitrisce con membra tremanti

Infine, le specie degli alati e i vari uccelli, gli sparvieri e le aquile marine e gli smerghi che cercano il nutrimento e la vita nei salati flutti del mare, in un tempo diverso gettano gridi di gran lunga diversi da quando contendono per il cibo e le prede fanno resistenza

E alcuni mutano col mutare del tempo i rauchi canti, come le longeve stirpi delle cornacchie e le frotte dei corvi, di cui si dice che a volte invochino l'acqua e la pioggia, altre volte chiamino i venti e le brezze

Dunque, se sensi diversi costringono gli animali, benché siano privi di parola, a emettere voci diverse, quanto è più naturale che gli uomini allora abbian potuto designare cose dissimili con suoni differenti fra loro

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Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 06 Parte 01

Illud in his rebus tacitus ne forte requiras, fulmen detulit in terram mortalibus ignem primitus, inde omnis flammarum diditur ardor

multa videmus enim caelestibus insita flammis fulgere, cum caeli donavit plaga vaporis

et ramosa tamen cum ventis pulsa vacillans aestuat in ramos incumbens arboris arbor, exprimitur validis extritus viribus ignis, emicat inter dum flammai fervidus ardor, mutua dum inter se rami stirpesque teruntur

quorum utrumque dedisse potest mortalibus ignem

inde cibum quoquere ac flammae mollire vapore sol docuit, quoniam mitescere multa videbant verberibus radiorum atque aestu victa per agros

Inque dies magis hi victum vitamque priorem commutare novis monstrabant rebus et igni, ingenio qui praestabant et corde vigebant
Perché a tale proposito non ti ponga per caso, tacito, questa domanda, fu il fulmine che portò giù in terra ai mortali il fuoco dapprincipio; di là si diffonde ogni ardore di fiamme

Molte cose infatti vediamo accendersi penetrate dai semi delle fiamme celesti, quando un colpo dal cielo ha dato ad esse il suo calore

E d'altronde, quando un albero ramoso, battuto dai venti, vacillando fluttua e si getta sui rami di un altro albero, si sprigiona il fuoco, cavato fuori dal possente attrito, prorompe talora il fervido ardore della fiamma, mentre tra loro i rami e i tronchi si sfregano a vicenda

E l'una e l'altra di queste cause può aver dato ai mortali il fuoco

Poi il sole insegnò loro a cuocere il cibo e ad ammollirlo col calore della fiamma, poiché vedevano molte cose maturare vinte dalle sferzate dei raggi e dalla calura per i campi

E di giorno in giorno sempre più a mutare il cibo e la vita anteriore con nuove scoperte e col fuoco insegnavano loro quelli che eccellevano per ingegno e vigore d'animo
condere coeperunt urbis arcemque locare praesidium reges ipsi sibi perfugiumque, et pecudes et agros divisere atque dedere pro facie cuiusque et viribus ingenioque; nam facies multum valuit viresque vigebant

posterius res inventast aurumque repertum, quod facile et validis et pulchris dempsit honorem; divitioris enim sectam plerumque secuntur quam lubet et fortes et pulchro corpore creti

quod siquis vera vitam ratione gubernet, divitiae grandes homini sunt vivere parce aequo animo; neque enim est umquam penuria parvi

at claros homines voluerunt se atque potentes, ut fundamento stabili fortuna maneret et placidam possent opulenti degere vitam
I re incominciarono a fondare città e a costruire rocche, per trovarvi essi stessi difesa e rifugio, e divisero il bestiame e i campi, e li donarono secondo la bellezza e la forza e l'ingegno di ciascuno; perché la bellezza ebbe molto valore e la forza gran pregio

Più tardi fu scoperta la ricchezza e fu trovato l'oro, che facilmente tolse onore sia ai belli che ai forti; al séguito del più ricco difatti gli uomini per lo più s'accodano, quantunque siano e forti e dotati di bei corpi

Ma, se si vuol governare la vita secondo la verità, ricchezza grande è per l'uomo il vivere parcamente con animo sereno; giacché del poco non c'è mai penuria

Ma gli uomini vollero essere illustri e potenti, perché su fondamento stabile perdurasse la loro fortuna e opulenti potessero condurre una placida vita

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ne quiquam, quoniam ad summum succedere honorem certantes iter infestum fecere viai, et tamen e summo, quasi fulmen, deicit ictos invidia inter dum contemptim in Tartara taetra; invidia quoniam ceu fulmine summa vaporant plerumque et quae sunt aliis magis edita cumque

ut satius multo iam sit parere quietum quam regere imperio res velle et regna tenere

proinde sine in cassum defessi sanguine sudent, angustum per iter luctantes ambitionis; quandoquidem sapiunt alieno ex ore petuntque res ex auditis potius quam sensibus ipsis, nec magis id nunc est neque erit mox quam fuit ante

Ergo regibus occisis subversa iacebat pristina maiestas soliorum et sceptra superba, et capitis summi praeclarum insigne cruentum sub pedibus vulgi magnum lugebat honorem; nam cupide conculcatur nimis ante metutum
invano, perché, lottando per ascendere al vertice degli onori, si fecero pieno di insidie il cammino, e, quand'anche vi giungano, dal vertice l'invidia, come un fulmine, colpendoli talvolta li precipita con disprezzo nel Tartaro tetro; perché per l'invidia, come per il fulmine, per lo più ardono i vertici e tutte le cose che si elevano al disopra di altre

sì che è molto meglio obbedire quieto che aspirare al potere supremo e al possesso di regni

Lascia dunque che invano spossati sudino sangue, lottando per l'angusto cammino dell'ambizione; giacché il loro sapere dipende dalla bocca altrui, e mirano alle cose seguendo ciò che hanno udito dire piuttosto che i propri sensi, né ciò è ora, né sarà in avvenire più di quanto fu per l'innanzi

Dunque, uccisi i re, giacevano abbattuti l'antica maestà dei troni e gli scettri superbi; e lo splendido ornamento della testa regale, insanguinato, sotto i piedi del volgo piangeva il grande onore con ardore infatti si calpesta ciò che troppo fu prima temuto
res itaque ad summam faecem turbasque redibat, imperium sibi cum ac summatum quisque petebat

inde magistratum partim docuere creare iuraque constituere, ut vellent legibus uti

nam genus humanum, defessum vi colere aevom, ex inimicitiis languebat; quo magis ipsum sponte sua cecidit sub leges artaque iura

acrius ex ira quod enim se quisque parabat ulcisci quam nunc concessumst legibus aequis, hanc ob rem est homines pertaesum vi colere aevom

inde metus maculat poenarum praemia vitae

circumretit enim vis atque iniuria quemque atque unde exortast, ad eum plerumque revertit, nec facilest placidam ac pacatam degere vitam qui violat factis communia foedera pacis
Così le cose eran ridotte a estrema confusione e turbamento, mentre ognuno cercava per sé il potere e la sovranità

Poi una parte di essi insegnò a creare magistrati e fondò il diritto, perché volessero osservare le leggi

Infatti il genere umano, spossato dal vivere una vita di violenza, languiva per le inimicizie; perciò tanto più spontaneamente si sottomise da sé stesso alle leggi e alla stretta giustizia

Poiché ognuno, difatti, nell'ira s'apprestava a vendetta più crudele di quella che ora concedono le giuste leggi, per questo agli uomini venne a tedio il vivere una vita di violenza

Da allora il timore delle pene guasta i doni della vita

Giacché violenza e ingiustizia irretiscono ognuno e per lo più ricadono su colui da cui nacquero, né trascorrere una vita placida e pacata è facile per chi vìola coi propri atti i comuni patti di pace

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etsi fallit enim divom genus humanumque, perpetuo tamen id fore clam diffidere debet; quippe ubi se multi per somnia saepe loquentes aut morbo delirantes protraxe ferantur et celata [mala] in medium et peccata dedisse

Nunc quae causa deum per magnas numina gentis pervulgarit et ararum compleverit urbis suscipiendaque curarit sollemnia sacra, quae nunc in magnis florent sacra rebus locisque, unde etiam nunc est mortalibus insitus horror, qui delubra deum nova toto suscitat orbi terrarum et festis cogit celebrare diebus, non ita difficilest rationem reddere verbis

quippe etenim iam tum divom mortalia saecla egregias animo facies vigilante videbant et magis in somnis mirando corporis auctu

his igitur sensum tribuebant propterea quod membra movere videbantur vocesque superbas mittere pro facie praeclara et viribus amplis
Infatti, benché sfugga alla stirpe divina e all'umana, tuttavia non può esser sicuro che il misfatto resterà sempre occulto; e invero si dice che molti, spesso parlando nel sonno o delirando per malattia, si tradirono e manifestarono colpe a lungo celate

Ora, quale causa abbia diffuso per le grandi nazioni la potenza degli dèi e abbia riempito le città di altari e abbia fatto istituire solenni riti, quei riti che oggi fioriscono in grandi occasioni e in grandi sedi, donde ancor oggi è piantato dentro i mortali l'orrore che innalza nuovi templi di dèi su tutta la terra e costringe a frequentarli nei giorni festivi, non è tanto difficile spiegare con parole

E difatti già allora le stirpi dei mortali vedevano nelle menti durante la veglia eccellenti immagini di dèi, e queste in sogno apparivano di ancor più mirabile corporatura

A queste, dunque, attribuivano il senso perché pareva che movessero le membra e proferissero parole superbe, confacenti allo splendido aspetto e alle forze imponenti

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