Livio, Ab urbe condita: Libro 26; 21-30, pag 3

Livio, Ab urbe condita: Libro 26; 21-30

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 26; 21-30
M Marcellus cum idibus Martiis consulatum inisset, senatum eo die moris modo causa habuit professus nihil se absente collega neque de re publica neque de prouinciis acturum: scire se frequentes Siculos prope urbem in uillis obtrectatorum suorum esse; quibus tantum abesse ut per se non liceat palam Romae crimina edita (ficta) ab inimicis uolgare, ut ni simularent aliquem sibi timorem absente collega dicendi de consule esse, ipse eis extemplo daturus senatum fuerit

ubi quidem collega uenisset non passurum quicquam prius agi quam ut Siculi in senatum introducantur

dilectum prope a M Cornelio per totam Siciliam habitum ut quam plurimi questum de se Romam uenirent; eundem litteris falsis urbem implesse bellum in Sicilia esse ut suam laudem minuat
M Marcello, avendo assunto la carica di console alle idi di marzo, in quel giorno fece il suo ingresso in senato solo in omaggio alla consuetudine, dichiarando che in assenza del collega non avrebbe trattato alcun argomento che riguardasse né lo stato né le province; egli sapeva che molti Siciliani si trovavano nei dintorni di Roma ospiti nelle ville dei suoi avversari; egli era così lontano dal proibire ai suoi detrattori di divulgare apertamente le loro false accuse, che, se essi non avessero ostentato un finto ritegno a parlare del console mentre il suo collega era assente, egli stesso avrebbe concesso a loro un'udienza in senato

Quando poi il collega fosse venuto, egli non avrebbe tollerato di trattare qualunque altra questione, prima che i Siciliani fossero introdotti in senato

M Cornelio Cetego, il pretore successo a Marcello in Sicilia, aveva qui arruolato, per così dire, un gran numero di persone che venissero a Roma per protestare contro il suo avversario Marcello; aveva riempito Roma di false denunce, affermando, per diminuire la gloria di Marcello, che la guerra in Sicilia durava ancora
moderati animi gloriam eo die adeptus consul senatum dimisit, ac prope iustitium omnium rerum futurum uidebatur donec alter consul ad urbem uenisset

otium, ut solet, excitauit plebis rumores; belli diuturnitatem et uastatos agros circa urbem, qua infesto agmine isset Hannibal, exhaustam dilectibus Italiam et prope quotannis caesos exercitus querebantur, et consules bellicosos ambo uiros acresque nimis et feroces creatos qui uel in pace tranquilla bellum excitare possent, nedum in bello respirare ciuitatem forent passuri

(27) Interrupit hos sermones nocte quae pridie Quinquatrus fuit pluribus simul locis circa forum incendium ortum
Il console, che in quel giorno seppe dimostrare un grande dominio di sé, congedò i senatori, in modo che pareva che vi dovesse essere una sospensione negli affari pubblici, fino all'arrivo in Roma dell'altro console

L'interruzione, come avviene di solito, alimentò le mormorazioni della gente che protestava contro la lunghezza della guerra, lamentando il saccheggio delle campagne intorno a Roma, là dove erano passate devastatrici le schiere di Annibale, nonché l'Italia esausta per i reclutamenti militari, mentre quasi ogni anno avvenivano stragi di eserciti; la gente criticava ambedue i consoli eletti come uomini troppo irrequieti e bellicosi che, anche in periodi di pace, avrebbero potuto suscitare una guerra e che tanto meno avrebbero tollerato che i cittadini tirassero il fiato in tempo di ostilità

27 Tutte queste mormorazioni nella notte precedente la festa dei Quinquatri furono interrotte da un incendio che era scoppiato intorno al Foro contemporaneamente in più punti
eodem tempore septem tabernae quae postea quinque, et argentariae quae nunc nouae appellantur, arsere; comprehensa postea priuata aedificia neque enim tum basilicae erant comprehensae lautumiae forumque piscatorium et atrium regium; aedis Uestae uix defensa est tredecim maxime seruorum opera, qui in publicum redempti ac manu missi sunt

nocte ac die continuatum incendium fuit, nec ulli dubium erat humana id fraude factum esse quod pluribus simul locis et iis diuersis ignes coorti essent

itaque consul ex auctoritate senatus pro contione edixit qui, quorum opera id conflatum incendium, profiteretur, praemium fore libero pecuniam, seruo libertatem
Nello stesso tempo furono distrutte dal fuoco sette botteghe, che furono poi sostituite da altre cinque e le botteghe dei cambiatori, che furono poi chiamate botteghe nuove; furono poi attaccati dal fuoco alcuni edifici privati, poiché allora non v'erano le basiliche, e furono incendiate anche le carceri, il mercato del pesce e l'atrio della Reggia; il tempio di Vesta fu a stento salvato, soprattutto per opera di tredici schiavi, che furono poi riscattati a spese pubbliche e liberati

L'incendio continuò notte e giorno; né vi era alcun dubbio che fosse stato doloso, poiché le fiamme si erano contemporaneamente levate in più luoghi diversi

Pertanto il console, per invito del senato, dichiarò pubblicamente che colui che denunciasse chi aveva appiccato il fuoco avrebbe avuto, se libero, un premio in denaro, se schiavo, la libertà

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Livio, Ab urbe condita: Libro 37; 26 - 30
Livio, Ab urbe condita: Libro 37; 26 - 30

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 37; 26 - 30

eo praemio inductus Campanorum Calauiorum seruus Manus ei nomen erat indicauit dominos et quinque praeterea iuuenes nobiles Campanos quorum parentes a Q Fuluio securi percussi erant id incendium fecisse, uolgoque facturos alia ni comprendantur

comprehensi ipsi familiaeque eorum

et primo eleuabatur index indiciumque: pridie eum uerberibus castigatum ab dominis discessisse; per iram ac leuitatem ex re fortuita crimen commentum

Ceterum ut coram coarguebantur et quaestio ex ministris facinoris foro medio haberi coepta est, fassi omnes, atque in dominos seruosque conscios animaduersum est; indici libertas data et uiginti milia aeris
Attratto dall'idea del premio, un servo della famiglia campana dei Calavii che aveva nome Mano, denunciò i suoi padroni e inoltre cinque giovani nobili di Capua, i cui genitori erano stati decapitati da Q Fulvio, affermando che essi avevano provocato l'incendio e che altri ne avrebbero acceso qua e là, se non fossero stati arrestati

Furono tutti gettati in carcere con i loro schiavi

Dapprima essi cercavano di screditare l'accusa fatta dal delatore, dicendo che questi il giorno precedente, essendo stato punito con le verghe, era fuggito dai suoi padroni e per collera e per leggerezza di carattere aveva inventato un'accusa, approfittando dell'occasione

Peraltro, quando furono condotti in presenza dell'accusatore e in mezzo al Foro si cominciò l'interrogatorio degli autori dell'incendio, tutti confessarono; i padroni e i servi loro complici furono giustiziati; a colui che li aveva denunciati fu data la libertà con l'aggiunta di ventimila assi
consuli Laeuino Capuam praetereunti circumfusa multitudo Campanorum est obsecrantium cum lacrimis ut sibi Romam ad senatum ire liceret oratum, si qua misericordia tandem flecti possent, ne se ad ultimum perditum irent nomenque Campanorum a Q Flacco deleri sinerent

Flaccus sibi priuatam simultatem cum Campanis negare ullam esse: publicas inimicitias hostilis et esse et futuras, quoad eo animo esse erga populum Romanum sciret; nullam enim in terris gentem esse, nullum infestiorem populum nomini Romano

ideo se moenibus inclusos tenere eos, quia si qui euasissent aliqua, uelut feras bestias per agros uagari et laniare et trucidare quodcunque obuium detur; alios ad Hannibalem transfugisse, alios ad Romam incendendam profectos
Mentre il console Levino passava da Capua fu circondato da una gran folla di Campani che, in mezzo alle lacrime, lo scongiuravano che permettesse a loro di andare a Roma a pregare i senatori, se mai potevano essere indotti alla pietà, affinché non li volessero condurre all'estrema rovina e non permettessero che Q Flacco sopprimesse il nome campano

Flacco dichiarò che egli non aveva alcun odio personale contro i Campani; ma che egli provava verso di loro quell'ostilità che veniva da ragioni pubbliche e l'avrebbe sempre provata fin che sapesse i Campani pieni dello stesso odio verso il popolo romano; nessuna razza vi era, infatti, sulla terra, nessun popolo più ostile al nome romano

perciò, egli li teneva chiusi nelle loro mura, poiché, se fossero riusciti a fuggire per qualche via, si sarebbero messi a vagare per la campagna come bestie feroci, a fare a pezzi, a trucidare chiunque incontrassero; dichiarò, inoltre, che alcuni si erano rifugiati presso Annibale, altri erano venuti ad incendiare Roma

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Livio, Ab urbe condita: Libro 04, 58-61
Livio, Ab urbe condita: Libro 04, 58-61

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 04, 58-61

inuenturum in semusto foro consulem uestigia sceleris Campanorum; Uestae aedem petitam et aeternos ignes et conditum in penetrali fatale pignus imperii Romani

se minime censere tutum esse Campanis potestatem intrandi Romana moenia fieri

Laeuinus Campanos, iure iurando a Flacco adactos quinto die quam ab senatu responsum accepissent Capuam redituros, sequi se Romam iussit

hac circumfusus multitudine, simul Siculis obuiam egressis secutisque Romam, praebuit dolentis speciem duarum clarissimarum urbium excidio, ac celeberrimis uiris uictos bello accusatores in urbem adducentis

de re publica tamen primum ac de prouinciis ambo consules ad senatum rettulere
il console Levino, infatti, avrebbe trovato nel Foro mezzo bruciato le tracce del delitto dei Campani; erano stati presi di mira il tempio di Vesta, il fuoco perenne e, nascosto nel suo sacrario, il fatale pegno della potenza di Roma

Flacco affermò altresì che non riteneva affatto sicuro permettere ai Campani di entrare nelle mura di Roma

Levino, dopo che i Campani furono costretti da Flacco a giurare che sarebbero ritornati a Capua cinque giorni dopo aver ricevuto la risposta del senato, ordinò che lo seguissero fino a Roma

Circondato da questa folla e nello stesso tempo anche da quella dei Siciliani che, usciti dalla città incontro a Levino, lo avevano seguito a Roma, il console offerse lo spettacolo di uno che si dolesse dello sterminio di due famosissime città e che guidasse in Roma come accusatori coloro che erano stati vinti da due illustri generali

Tuttavia, per prima cosa ambedue i consoli riferirono al senato intorno alla situazione dello stato ed intorno ai comandi militari
(28) Ibi Laeuinus, quo statu Macedonia et Graecia, Aetoli, Acarnanes Locrique essent, quasque ibi res ipse egisset terra marique, exposuit: Philippum inferentem bellum Aetolis in Macedoniam retro ab se compulsum ad intima penitus regni abisse, legionemque inde deduci posse; classem satis esse ad arcendum Italia regem

haec de se deque prouincia, cui praefuerat, consul: tum de prouinciis communis relatio fuit

decreuere patres ut alteri consulum Italia bellumque cum Hannibale prouincia esset, alter classem cui T Otacilius praefuisset Siciliamque prouinciam cum L Cincio praetore obtineret
28 Levino espose ai senatori quale fosse la situazione in Macedonia, in Grecia, in Etolia, in Acarnania e nella Locride e quali erano state le sue imprese per terra e per mare; disse che Filippo, mentre portava guerra agli Etoli era stato da lui ricacciato indietro in Macedonia e che si era rifugiato fin nelle regioni più interne del regno; si poteva perciò richiamare di là una legione, poiché bastava la flotta a tenere il re lontano dall'Italia

Queste furono le dichiarazioni del console intorno alla sua attività ed ai fatti avvenuti nella provincia, della quale egli aveva il comando

I consoli allora di comune accordo presentarono l'ordine del giorno che riguardava le province; i senatori approvarono che uno dei due consoli avesse il comando militare dell'Italia e della guerra contro Annibale; l'altro avesse la flotta, a capo della quale era stato T Otacilio, e, come provincia, la Sicilia col pretore L Cincio

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Livio, Ab urbe condita: Libro 04, 48-52
Livio, Ab urbe condita: Libro 04, 48-52

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 04, 48-52

exercitus eis duo decreti qui in Etruria Galliaque essent; eae quattuor erant legiones; urbanae duae superioris anni in Etruriam, duae quibus Sulpicius consul praefuisset in Galliam mitterentur

Galliae et legionibus praeesset quem consul cuius Italia prouincia esset praefecisset: in Etruriam C Calpurnius post praeturam prorogato in annum imperio missus

et Q Fuluio Capua prouincia decreta prorogatumque in annum imperium; exercitus ciuium sociorumque minui iussus ut ex duabus legionibus una legio, quinque milia peditum et trecenti equites essent, dimissis qui plurima stipendia haberent, et sociorum septem milia peditum et trecenti equites relinquerentur, eadem ratione stipendiorum habita in ueteribus militibus dimittendis
A loro furono assegnati i due eserciti che erano in Etruria ed in Gallia, costituiti da quattro legioni; le due legioni reclutate nell'anno precedente dovevano essere mandate in Etruria; due che erano state al comando del console Sulpicio, passassero in Gallia

della Gallia e delle legioni avesse il comando il luogotenente di quel console a cui era stato assegnato il comando in Italia; in Etruria fu mandato C Calpurnio al quale dopo la pretura fu prorogato di un anno il comando

Fu disposto di diminuire la consistenza dell'esercito sia dei cittadini che degli alleati, in modo che da due legioni se ne ricavasse una, composta da cinquemila soldati di fanteria e da trecento di cavalleria; furono congedati coloro che avevano al loro attivo un lungo servizio militare; dei contingenti alleati non rimasero che settemila fanti e trecento cavalieri; nel congedare i veterani si tenne egualmente conto dell'anzianità del loro servizio
Cn Fuluio consuli superioris anni nec de prouincia Apulia nec de exercitu quem habuerat quicquam mutatum; tantum in annum prorogatum imperium est

P Sulpicius collega eius omnem exercitum praeter socios nauales iussus dimittere est

item ex Sicilia exercitus cui M Cornelius praeesset ubi consul in prouinciam uenisset dimitti iussus

L Cincio praetori ad obtinendam Siciliam Cannenses milites dati, duarum instar legionum

totidem legiones in Sardiniam P Manlio Uolsoni praetori decretae, quibus L Cornelius in eadem prouincia priore anno praefuerat

urbanas legiones ita scribere consules iussi ne quem militem facerent qui in exercitu M Claudi M Ualeri Q Fului fuisset, neue eo anno plures quam una et uiginti Romanae legiones essent
Quanto al console Cn Fulvio, nulla per lui fu mutato rispetto al precedente anno, sia riguardo al comando in Apulia, che all'esercito che aveva già avuto; la sua carica gli fu prorogata di un anno

Al suo collega P Sulpicio fu ordinato di congedare tutto l'esercito al di fuori degli equipaggi delle navi forniti dalle città alleate

Così pure fu ordinato al console che, quando fosse giunto in Sicilia, congedasse l'esercito che era stato comandato da M Cornelio

Al pretore L Cincio per tenere occupata la Sicilia furono assegnate circa due legioni composte dai soldati reduci dalla battaglia di Canne

Altrettante legioni furono decretate per la Sardegna al pretore P Manlio Vulsone, quelle che nel precedente anno nella stessa provincia erano state comandate da L Cornelio

Fu, inoltre, dato incarico ai consoli di reclutare le legioni urbane, con l'ordine di non arruolare alcuno di quei soldati che avevano fatto parte dell'esercito di M Claudio, di M Valerio, di Q Fulvio, affinché in quell'anno non vi fossero più di ventun legioni romane

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 23; 41-49

(29) His senatus consultis perfectis sortiti prouincias consules

Sicilia et classis Marcello, Italia cum bello aduersus Hannibalem Laeuino euenit

quae sors, uelut iterum captis Syracusis, ita exanimauit Siculos, exspectatione sortis in consulum conspectu stantes, ut comploratio eorum flebilesque uoces et extemplo oculos hominum conuerterint et postmodo sermones praebuerint

circumibant enim senatorum domos cum ueste sordida, adfirmantes se non modo suam quosque patriam, sed totam Siciliam relicturos si eo Marcellus iterum cum imperio redisset

nullo suo merito eum ante implacabilem in se fuisse: quid iratum quod Romam de se questum uenisse Siculos sciat facturum
29 Compiute queste deliberazioni del senato, i consoli trassero a sorte i comandi militari

La Sicilia e la flotta toccarono a Marcello, mentre l'Italia con la direzione della guerra contro Annibale toccò a Levino

Questo sorteggio, come se Siracusa fosse stata conquistata di nuovo, mise in tale stato di abbattimento i Siciliani, i quali dinanzi ai consoli stavano in attesa dei risultati del sorteggio, che il loro pianto e i loro gemiti attrassero all'istante l'attenzione dei cittadini, suscitando subito dopo vivi commenti

I Siciliani, infatti, andavano in giro vestiti a lutto per le case dei senatori dichiarando che non solo avrebbero abbandonato ciascuno la propria città, ma l'intera Sicilia, se Marcello fosse là ritornato per la seconda volta investito del supremo comando

Senza che essi l'avessero meritato, egli era stato prima inesorabile verso di loro; che cosa avrebbe fatto poi, sdegnato per aver saputo che i Siciliani erano venuti a Roma a lamentarsi di lui

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