Livio, Ab urbe condita: Libro 25; 31-41, pag 5

Livio, Ab urbe condita: Libro 25; 31-41

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 25; 31-41

itaque et Romanis creuit animus nuntio celeri per ordines misso destitutum ab equite hostem esse quem maxime timuerant, et territi hostes, praeterquam quod maxima parte uirium suarum non iuuabantur, timore etiam incusso ne ab suomet ipsi equite oppugnarentur

itaque haud magni certaminis fuit; primus clamor atque impetus rem decreuit

Numidae cum in concursu quieti stetissent in cornibus, ut terga dantes suos uiderunt, fugae tantum parumper comites facti, postquam omnes Agrigentum trepido agmine petentes uiderunt, ipsi metu obsidionis passim in ciuitates proximas dilapsi

multa milia hominum caesa; capta sex milia et octo elephanti

haec ultima in Sicilia Marcelli pugna fuit; uictor inde Syracusas rediit
Pertanto i Romani si sentirono vieppiù incoraggiati a quella notizia rapidamente corsa tra le file dei soldati, che annunciava che il nemico si sarebbe trovato privo di quella cavalleria che essi soprattutto avevano temuto; da parte loro i nemici si spaventarono non solo per il fatto che perdevano l'aiuto della massima parte delle loro forze, ma anche perché si insinuò in essi la paura di trovarsi di fronte all'assalto della loro propria cavalleria

Si ebbe, peraltro, un combattimento di scarsa importanza, il primo grido ed il primo impeto decisero le sorti dello scontro

I Numidi, essendo rimasti inerti alle ali durante l'attacco, come videro i loro compagni che volgevano le spalle, si unirono a loro soltanto nella fuga e per poco tempo, poiché quando si accorsero che quelli si dirigevano tutti in gran confusione verso Agrigento, presi da paura di trovarsi assediati, si sparsero chi qua chi là per le città più vicine

Molte migliaia di soldati furono uccisi, seimila fatti prigionieri con otto elefanti

Questa fu l'ultima battaglia combattuta da Marcello in Sicilia; di poi ritornò vincitore a Siracusa
Iam ferme in exitu annus erat; itaque senatus Romae decreuit ut P Cornelius praetor litteras Capuam ad consules mitteret, dum Hannibal procul abesset nec ulla magni discriminis res ad Capuam gereretur, alter eorum, si ita uideretur, ad magistratus subrogandos Romam ueniret

litteris acceptis inter se consules compararunt ut Claudius comitia perficeret, Fuluius ad Capuam maneret

consules Claudius creauit Cn Fuluium Centumalum et P Sulpicium Serui filium Galbam, qui nullum antea curulem magistratum gessisset

praetores deinde creati L Cornelius Lentulus M Cornelius Cethegus C Sulpicius C Calpurnius Piso

Pisoni iurisdictio urbana, Sulpicio Sicilia, Cethego Apulia Lentulo Sardinia euenit

consulibus prorogatum in annum imperium est
Era quasi ormai la fine dell'anno; pertanto, il senato romano deliberò che il pretore P Cornelio mandasse a Capua ai consoli una lettera, nella quale si diceva che finché Annibale era assente ed intorno a Capua non v'era alcunché di molto importante da fare, uno di loro venisse a Roma, se lo credeva opportuno, per procedere all'elezione di nuovi magistrati

Ricevuta la lettera, i consoli si accordarono tra loro che Claudio conducesse a termine i comizi, Fulvio, invece, rimanesse a Capua

Claudio elesse consoli Cn Fulvio Centimalo e P Sulpicio Galba figlio di Servio, per quanto questi fino allora non avesse ancora esercitato alcuna magistratura curule

Furono poi eletti pretori L Cornelio Lentulo, M Cornelio Cetego, C Sulpicio, C Calpurnio Pisone

A Pisone fu assegnata la giurisdizione civile di Roma; a Sulpicio toccò la Sicilia, a Cetego l'Apulia, a Lentulo la Sardegna

Ai consoli fu prorogato per un anno il comando dell'esercito

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