Livio, Ab urbe condita: Libro 04, 04- 08

Livio, Ab urbe condita: Libro 04, 04- 08

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 04, 04- 08
At enim nemo post reges exactos de plebe consul fuit

Quid postea

Nullane res nova institui debet

Et quod nondum est factum-multa enim nondum sunt facta in novo populo,- ea ne si utilia quidem sunt fieri oportet

Pontifices, augures Romulo regnante nulli erant; ab Numa Pompilio creati sunt

Census in civitate et discriptio centuriarum classiumque non erat; ab S Tullio est facta

Consules nunquam fuerant; regibus exactis creati sunt

Dictatoris nec imperium nec nomen fuerat; apud patres esse coepit

Tribuni plebi, aediles, quaestores nulli erant; institutum est ut fierent

Decemuiros legibus scribendis intra decem hos annos et creauimus et e re publica sustulimus

Quis dubitat quin in aeternum urbe condita, in immensum crescente nova imperia, sacerdotia, iura gentium hominumque instituantur
Ma, in realtà, dai tempi della cacciata dei re nessun plebeo è mai stato console

E allora

Non si deve introdurre nessuna novità

E ciò che non è ancora stato fatto - e in un paese recente le cose non ancora fatte sono certo moltissime - non bisogna farlo nemmeno se è utile

Ai tempi del regno di Romolo non esistevano né pontefici né àuguri: fu Pompilio a crearli

Non c'era censo né divisione in centurie basata sul censo: li introdusse Servio Tullio

Non c'erano mai stati dei consoli: furono creati dopo la cacciata dei re

Il nome e il potere del dittatore non c'erano: cominciarono a esserci al tempo dei nostri padri

Non esistevano né tribuni della plebe né edili, né questori: si stabilì di averne

Nell'arco degli ultimi dieci anni, abbiamo eletto decemviri incaricati di redigere le leggi e poi li abbiamo allontanati dalla repubblica

Chi potrebbe dubitare che, in una città fondata per durare in eterno e che cresce smisuratamente, si debbano istituire nuovi poteri, nuovi sacerdoti e nuovi diritti delle genti e dei singoli uomini
Hoc ipsum, ne conubium patribus cum plebe esset, non decemviri tulerunt paucis his annis pessimo publico, cum summa iniuria plebis

An esse ulla maior aut insignitior contumelia potest quam partem civitatis velut contaminatam indignam conubio haberi

Quid est aliud quam exsilium intra eadem moenia, quam relegationem pati

Ne adfinitatibus, ne propinquitatibus immisceamur cauent, ne societur sanguis

Quid

Hoc si polluit nobilitatem istam vestram, quam plerique oriundi ex Albanis et Sabinis non genere nec sanguine sed per cooptationem in patres habetis, aut ab regibus lecti aut post reges exactos iussu populi, sinceram seruare privatis consiliis non poteratis, nec ducendo ex plebe neque vestras filias sororesque ecnubere sinendo e patribus
Questo stesso divieto di contrarre matrimoni tra patrizi e plebei non lo introdussero i decemviri qualche anno or sono, causando pessimi effetti sulla comunità e danneggiando ingiustamente la plebe

Esiste forse affronto più grande e infamante di questo che considera una parte della popolazione indegna del matrimonio, come se fosse infetta

Che cos'è questa se non una segregazione all'interno delle mura della propria città

I patrizi fanno di tutto per evitare che intrecciamo rapporti con loro di affinità e di parentela, non vogliono che si mescoli il sangue

E che

Se un simile contatto è in grado di contaminare questa vostra nobiltà - che la maggior parte di voi, date le origini albane e sabine, non possiede per lignaggio o per sangue, ma per essere stata cooptata nel patriziato, o scelta dai re o per volontà del popolo dopo la cacciata dei re -, non potevate mantenerla intatta con accorgimenti privati, non prendendo in moglie donne plebee e impedendo che le vostre figlie e sorelle sposassero uomini estranei all'aristocrazia
Nemo plebeius patriciae virgini vim adferret; patriciorum ista libido est; nemo invitum pactionem nuptialem quemquam facere coegisset

Verum enimuero lege id prohiberi et conubium tolli patrum ac plebis, id demum contumeliosum plebi est

Cur enim non fertis, ne sit conubium divitibus ac pauperibus

Quod privatorum consiliorum ubique semper fuit, ut in quam cuique feminae convenisset domum nuberet, ex qua pactus esset vir domo, in matrimonium duceret, id vos sub legis superbissimae vincula conicitis, qua dirimatis societatem civilem duasque ex una civitate faciatis

Cur non sancitis ne vicinus patricio sit plebeius nec eodem itinere eat, ne idem conuiuium ineat, ne in foro eodem consistat

Quid enim in re est aliud, si plebeiam patricius duxerit, si patriciam plebeius

Quid iuris tandem immutatur
Nessun plebeo violenterebbe mai una ragazza patrizia: è una libidine tipica dei nobili; nessuno costringerebbe un altro a stipulare un contratto matrimoniale contro la sua volontà

Ma impedire con la legge matrimoni tra patrizi e plebei, annullare quelli già celebrati, questo sì che è un vero affronto alla plebe

Perché allora non proponete che non ci sia diritto di matrimonio tra poveri e ricchi

Ciò che sempre e dovunque si è lasciato alla decisione privata - ossia che una donna andasse in sposa nella casa dove si era convenuto e che l'uomo potesse prendere moglie dalla casa in cui aveva stretto l'accordo - voi volete assoggettarlo ai vincoli di una legge dispotica, per creare una frattura all'interno della società, spaccando in due lo Stato

Perché non decretate che il plebeo non possa stare accanto al patrizio, non possa camminare per la stessa strada, non possa sedersi alla stessa tavola né trovarsi nello stesso foro

Che differenza ci può mai essere se un patrizio sposa una plebea o un plebeo una patrizia

Contro quale diritto si andrebbe

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Livio, Ab urbe condita: Libro 24; 31-40

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 24; 31-40

Nempe patrem sequuntur liberi

Nec quod nos ex conubio vestro petamus quicquam est, praeterquam ut hominum, ut civium numero simus, nec vos, nisi in contumeliam ignominiamque nostram certare iuvat, quod contendatis quicquam est

Denique utrum tandem populi Romani an vestrum summum imperium est

Regibus exactis utrum vobis dominatio an omnibus aequa libertas parta est

Oportet licere populo Romano, si velit, iubere legem, an ut quaeque rogatio promulgata erit vos dilectum pro poena decernetis, et simul ego tribunus vocare tribus in suffragium coepero, tu statim consul sacramento iuniores adiges et in castra educes, et minaberis plebi, minaberis tribuno

Quid si non quantum istae minae adversus plebis consensum valerent bis iam experti essetis
I figli seguono naturalmente i padri

Volendoci unire in matrimonio con voi, non chiediamo altro che far parte del consesso umano e civile, e voi non avete nessuna buona ragione per impedircelo, a meno che vi piaccia gareggiare a chi ci oltraggia e ci umilia di più

Ma infine il supremo potere appartiene al popolo romano o a voi

La cacciata dei re ha fruttato la tirannide a voi o un'uguale libertà a tutti

Al popolo romano, se questo è il suo desiderio, deve essere consentito di votare una legge, oppure, ogni qualvolta verrà presentata una nuova proposta, voi per reazione indirete una leva militare; e non appena io, in qualità di tribuno, chiamerò le tribù al voto, tu súbito, in qualità di console, costringerai i più giovani a prestare il giuramento militare e li porterai al campo, distribuendo minacce alla plebe e ai suoi tribuni

Che cosa succederebbe se non aveste già sperimentato per ben due volte quanto poco valgano queste minacce di fronte al consenso unanime della plebe
Scilicet quia nobis consultum volebatis, certamine abstinuistis; an ideo non est dimicatum, quod quae pars firmior eadem modestior fuit

Nec nunc erit certamen, Quirites; animos vestros illi temptabunt semper, vires non experientur

Itaque ad bella ista, seu falsa seu vera sunt, consules, parata vobis plebes est, si conubiis redditis unam hanc civitatem tandem facitis, si coalescere, si iungi miscerique vobis privatis necessitudinibus possunt, si spes, si aditus ad honores viris strenuis et fortibus datur, si in consortio, si in societate rei publicae esse, si, quod aequae libertatis est, in vicem annuis magistratibus parere atque imperitare licet
- vero che avete evitato di scontrarvi per venire incontro alle nostre esigenze, oppure non si è combattuto perché la parte più forte era anche la più moderata

Non ci sarà scontro neppure adesso, o Quiriti: i patrizi continueranno sempre a saggiare il vostro coraggio, ma non arriveranno mai a mettere alla prova la vostra forza

Perciò, o consoli, la plebe è pronta ad affrontare queste guerre - vere o false che siano -, solo se voi, ripristinato il diritto al matrimonio, finalmente riunirete questa città; se i plebei potranno fondersi, unirsi e mescolarsi con voi in base a legami privati di parentela; se ad uomini valorosi e forti sarà data la speranza di accedere alle cariche pubbliche; se sarà consentito a tutti di partecipare alla gestione della cosa pubblica; se, uguali nella libertà, si avrà l'opportunità di governare e di obbedire a turno, secondo l'avvicendamento annuale delle magistrature

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Livio, Ab urbe condita: Libro 27; 05 - 06

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 27; 05 - 06

Si haec impediet aliquis, ferte sermonibus et multiplicate fama bella; nemo est nomen daturus, nemo arma capturus, nemo dimicaturus pro superbis dominis, cum quibus nec in re publica honorum nec in privata conubii societas est

Cum in contionem et consules processissent et res a perpetuis orationibus in altercationem vertisset, interroganti tribuno cur plebeium consulem fieri non oporteret, ut fortasse vere, sic parum utiliter in praesens Curtius respondit, quod nemo plebeius auspicia haberet, ideoque decemuiros conubium diremisse ne incerta prole auspicia turbarentur
Se qualcuno dovesse respingere queste condizioni, voi consoli potrete parlare di guerre e moltiplicarle coi vostri discorsi: nessuno di noi andrà a iscriversi, nessuno imbraccerà le armi, nessuno combatterà per dei padroni arroganti, coi quali non ha nulla in comune: né riconoscimenti nella vita pubblica, né matrimoni in quella privata

Anche i consoli si erano presentati a parlare in assemblea e qui, dopo interminabili interventi, il dibattito si trasformò in un alterco; al tribuno che chiedeva perché mai un plebeo non dovesse diventare console, Curiazio - forse giustamente, ma poco opportunamente date le circostanze -, rispose che nessun plebeo aveva il diritto di prendere gli auspici e che per questo i decemviri avevano vietato i matrimoni misti, perché gli auspici non fossero turbati in caso di discendenza incerta
Plebes ad id maxime indignatione exarsit, quod auspicari, tamquam inuisi dis immortalibus ; negarentur posse; nec ante finis contentionum fuit, cum et tribunum acerrimum auctorem plebes nacta esset et ipsa cum eo pertinacia certaret, quam victi tandem patres ut de conubio ferretur concessere, ita maxime rati contentionem de plebeiis consulibus tribunos aut totam deposituros aut post bellum dilaturos esse, contentamque interim conubio plebem paratam dilectui fore

Cum Canuleius victoria de patribus et plebis favore ingens esset, accensi alii tribuni ad certamen pro rogatione sua summa vi pugnant et crescente in dies fama belli dilectum impediunt

Consules, cum per senatum intercedentibus tribunis nihil agi posset, concilia principum domi habebant
Di fronte a queste parole, presa da grande indignazione, la plebe s'infiammò, perché le si negava la possibilità di trarre gli auspici, come se fosse in odio agli dèi immortali; siccome la plebe, che aveva trovato nel tribuno un difensore accanito della causa comune, gareggiava con lui in ostinazione, lo scontro si concluse solo quando i patrizi cedettero, accettando finalmente una proposta di legge sul diritto di matrimonio; essi erano pienamente convinti che in tal modo i tribuni avrebbero abbandonato definitivamente la questione dei consoli plebei o almeno l'avrebbero rimandata alla fine della guerra, e che la plebe, soddisfatta per il diritto di matrimonio, sarebbe stata disposta ad arruolarsi

Essendo cresciuto molto il prestigio di Canuleio per la vittoria sui patrizi e per il favore della plebe, gli altri tribuni, incoraggiati alla lotta, si impegnano con tutte le forze per far passare la loro proposta e impediscono la leva, benché ogni giorno di più prendano consistenza le voci di guerra

I consoli, non potendo per il veto dei tribuni far prendere deliberazioni al senato, tenevano riunioni private con i membri più autorevoli

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 28; 17 - 19

Apparebat aut hostibus aut civibus de victoria concedendum esse

Soli ex consularibus valerius atque Horatius non intererant consiliis

C Claudi sententia consules armabat in tribunos, Quinctiorum Cincinnatique et Capitolini sententiae abhorrebant a caede violandisque quos foedere icto cum plebe sacrosanctos accepissent

Per haec consilia eo deducta est res, ut tribunos militum consulari potestate promisce ex patribus ac plebe creari sinerent, de consulibus creandis nihil mutaretur; eoque contenti tribuni, contenta plebs fuit

Comitia tribunis consulari potestate tribus creandis indicuntur
Era chiaro che sarebbe stato inevitabile lasciare la vittoria o ai nemici o ai concittadini

Tra gli ex-consoli soltanto Valerio e Orazio non prendevano parte a quelle riunioni

Gaio Claudio parlava di armare i consoli contro i tribuni, mentre i due Quinzi, Cincinnato e Capitolino, erano assolutamente contrari a uccidere e usare violenza contro coloro che, in virtù del patto stipulato con la plebe, avevano dichiarato sacri e inviolabili

A séguito di queste riunioni si arrivò ad accordare l'elezione di tribuni militari con potere consolare, da scegliersi indifferentemente tra patrizi e plebei, mentre nulla doveva essere mutato per quanto riguardava l'elezione dei consoli; di questo furono contenti i tribuni e la plebe

Vengono quindi indetti i comizi per l'elezione di tre tribuni con potere consolare
Quibus indictis, extemplo quicumque aliquid seditiose dixerat aut fecerat unquam, maxime tribunicii, et prensare homines et concursare toto foro candidati coepere, ut patricios desperatio primo inritata plebe apiscendi honoris, deinde indignatio, si cum his gerendus esset honos, deterreret

Postremo coacti tamen a primoribus petiere, ne cessisse possessione rei publicae viderentur

Euentus eorum comitiorum docuit alios animos in contentione libertatis dignitatisque, alios secundum deposita certamina incorrupto iudicio esse; tribunos enim omnes patricios creavit populus, contentus eo quod ratio habita plebeiorum esset

Hanc modestiam aequitatemque et altitudinem animi ubi nunc in uno inueneris, quae tum populi universi fuit
Non appena ne fu annunciata la data, tutti quelli che avevano detto o fatto qualcosa di sedizioso (e soprattutto gli ex-tribuni), cominciarono a sollecitare la gente e, vestiti col bianco dei candidati, andarono in giro per tutto il foro a caccia di voti; e lo fecero per scoraggiare i patrizi che, in primo luogo non avevano alcuna speranza di raggiungere quella carica per via dell'irritazione della plebe, e poi erano indignati all'idea di dover dividere la magistratura con loro

Ma alla fine furono costretti dai loro membri più autorevoli a scendere in gara per non dar l'impressione di aver rinunciato al controllo della cosa pubblica

L'esito delle elezioni dimostrò come sia diverso il comportamento degli uomini quando lottano per la libertà e l'onore rispetto a quando giudicano a mente fredda gli eventi, una volta deposte le contese; il popolo infatti elesse tre tribuni, tutti patrizi, bastandogli che l'opinione dei plebei fosse stata presa in considerazione

Ma oggi dove si potrebbe trovare in un solo individuo quel senso di equità, quella moderazione e quella nobiltà d'animo che allora erano nell'intera popolazione

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Anno trecentesimo decimo quam urbs Roma condita erat primum tribuni militum pro consulibus magistratum ineunt, A Sempronius Atratinus, L Atilius, T Cloelius, quorum in magistratu concordia domi pacem etiam foris praebuit

Sunt qui propter adiectum Aequorum Volscorumque bello et Ardeatium defectioni Veiens bellum, quia duo consules obire tot simul bella nequirent, tribunos militum tres creatos dicant, sine mentione promulgatae legis de consulibus creandis ex plebe, et imperio et insignibus consularibus usos

Non tamen pro firmato iam stetit magistratus eius ius, quia tertio mense quam inierunt, augurum decreto perinde ac vitio creati, honore abiere, quod C Curtius qui comitiis eorum praefuerat parum recte tabernaculum cepisset
Nell'anno 310 dalla fondazione di Roma, per la prima volta, entrano in carica, al posto dei consoli, i tribuni militari: si chiamavano Aulo Sempronio Atratino, Lucio Atilio e Tito Clelio; durante il loro mandato, la concordia interna garantì la pace anche all'esterno

Alcuni autori, sulla base di una guerra con Veio venutasi ad aggiungere a quelle con Volsci ed Equi nonché alla ribellione degli Ardeati, sostengono che i tre tribuni militari furono eletti proprio perché i due consoli non sarebbero stati in grado di far fronte contemporaneamente a tanti conflitti, e non fanno alcun accenno alla proposta di legge sull'elezione di consoli plebei, pur menzionando però che i tribuni ebbero l'autorità e le insegne dei consoli

In ogni caso, la nuova magistratura non poggiava ancora su basi sicure perché, a soli tre mesi di distanza dal giorno dell'investitura, i tre dovettero rinunciare alla carica per decreto degli àuguri, come se la loro nomina non fosse regolare, in quanto Gaio Curiazio, che aveva presieduto alle elezioni, non aveva scelto il luogo giusto per la tenda augurale

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