[41] In hanc sententiam ut discederetur iuniores patrum evincebant Ferocioresque iterum coorti Valerius Horatiusque vociferari ut de re publica liceret dicere; dicturos ad populum, si in senatu per factionem non liceat; neque enim sibi priuatos aut in curia aut in contione posse obstare, neque se imaginariis fascibus eorum cessuros esse Tum Appius iam prope esse ratus ut ni violentiae eorum pari resisteretur audacia, victum imperium esset, 'non erit melius' inQuit, 'nisi de quo consulimus, vocem misisse,' et ad Valerium, negantem se priuato reticere, lictorem accedere iussit |
41 I giovani senatori erano ormai riusciti a far prevalere questa proposta Allora Valerio e Orazio, con maggior furore, chiesero gridando che fosse loro concesso di parlare sulla situazione dello Stato; avrebbero parlato al popolo, se con raggiri non fosse stato loro concesso di farlo in senato; infatti dei privati cittadini non potevano certo opporsi né nella curia né nell'assemblea: essi non si sarebbero fermati di fronte ai loro fasci che rappresentavano un potere del tutto inesistente Appio allora, pensando che la sua autorità avesse ormai i minuti contati, se non reagiva con audacia pari alla loro violenza, disse: Fareste bene ad aprire bocca soltanto sugli argomenti svi quali vi consultiamo E siccome Valerio sosteneva di non poter essere zittito da un privato cittadino, Appio ordinò a un littore di mettersi al suo fianco |
Iam Quiritium fidem implorante Valerio a curiae limine, L Cornelius complexus Appium, non cui simulabat consulendo, diremit certamen; factaque per Cornelium Valerio dicendi gratia quae vellet, cum libertas non ultra vocem excessisset, decemviri propositum tenvere Consulares quoque ac seniores ab residuo tribuniciae potestatis odio, cuius desiderium plebi multo acrius quam consularis imperii rebantur esse, prope malebant postmodo ipsos decemviros uoluntate abire magistratu quam invidia eorum exsurgere rursus plebem: si leniter ducta res sine populari strepitu ad consules redisset, aut bellis interpositis aut moderatione consulum in imperiis exercendis posse in oblivionem tribunorum plebem adduci Silentio patrum edicitur dilectus |
E mentre Valerio dal fondo della curia implorava l'aiuto dei Quiriti, Lucio Cornelio andò a trattenere Appio e, fingendo di intervenire a favore dell'altro, pose fine alla contesa; così, grazie a Cornelio, a Valerio fu concesso di trattare i temi che più gli stavano a cuore; ma poiché non ebbe altra libertà che qvella di parlare, i decemviri ottennero ciò che si erano prefissati Perfino gli ex-consoli e i senatori più anziani, a causa dell'odio che continuavano a nutrire nei confronti del potere dei tribuni - a loro detta rimpianto dalla plebe più del potere consolare -, preferivano che col tempo i decemviri rinunciassero volontariamente alla carica piuttosto che il risentimento nei loro confronti portasse a una nuova insurrezione della plebe; se il potere fosse tornato ai consoli gradatamente e senza tumulti di piazza, essi, grazie allo scoppio di qualche guerra o in virtù della moderazione dimostrata dai consoli nell'esercizio delle proprie funzioni di comando, sarebbero riusciti a far dimenticare alla plebe i tribuni Viene bandita la leva senza opposizioni da parte dei senatori |
Iuniores cum sine prouocatione imperium esset ad nomina respondent Legionibus scriptis, inter se decemviri comparabant qvos ire ad bellum, qvos praeesse exercitibus opporteret Principes inter decemviros erant Q Fabius et Ap Claudius Bellum domi maius quam foris apparebat Appi violentiam aptiorem rati ad comprimendos urbanos motus: in Fabio minus in bono constans quam nauum in malitia ingenium esse Hunc enim virum, egregium olim domi militiaeque, decemviratus collegaeque ita mutauerant ut Appi quam svi similis mallet esse Hvic bellum in Sabinis, M' Rabuleio et Q Poetelio additis collegis, mandatum M Cornelius in Algidum missus cum L Minucio et T Antonio et K Dvillio et M Sergio |
Siccome il decemvirato non ammetteva il diritto d'appello, i giovani rispondono alla chiamata Una volta arruolate le legioni, i decemviri si consultano tra di loro per decidere chi debba andare in guerra e a chi tocchi il comando delle truppe Tra i decemviri più autorevoli erano Quinto Fabio e Appio Claudio Ma la guerra intestina dava l'impressione di essere più preoccupante di qvella col nemico Il carattere impetvoso di Appio sembrò loro più adatto a reprimere le sommosse cittadine; l'indole di Fabio era invece più incostante nel bene che solerte nel male E Fabio - distintosi in passato tanto per meriti civili quanto militari - era stato trasformato in maniera così profonda dalla carica di decemviro e dai colleghi che adesso preferiva essere simile ad Appio piuttosto che a se stesso Gli venne affidata la campagna contro i Sabini e come colleghi ebbe Manio Rabuleio e Quinto Petelio Marco Cornelio fu invece inviato sull'Algido insieme a Lucio Minucio, Tito Antonio, Cesone Dvilio e Marco Sergio |
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Livio, Ab urbe condita: Libro 27; 19 - 20
Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 27; 19 - 20
Sp Oppium Ap Claudio adiutorem ad urbem tuendam, aequo omnium decemvirorum imperio, decernunt [42] Nihilo militiae quam domi melius res publica administrata est Illa modo in ducibus culpa quod ut odio essent civibus fecerant: alia omnis penes milites noxia erat, Qui ne quid ductu atque auspicio decemvirorum prospere usquam gereretur vinci se per suum atque illorum dedecus patiebantur Fusi et ab Sabinis ad Eretum et in Algido ab AEquis exercitus erant Ab Ereto per silentium noctis profugi propius urbem, inter Fidenas Crustumeriamque, loco edito castra communierant; persecutis hostibus nusquam se aequo certamine committentes, natura loci ac uallo, non virtute aut armis tutabantur |
Ad Appio Claudio affidarono come aiutante nella difesa di Roma Spurio Oppio, conferendo lo stesso potere a tutti i decemviri 42 Il paese, adesso che era in guerra, non conobbe una gestione migliore di qvella avuta in tempo di pace La sola colpa dei comandanti fu qvella di essersi resi invisi agli occhi dei cittadini; il resto della responsabilità gravava quasi per intero sulle spalle dei soldati i quali, volendo evitare che sotto la gvida e gli auspici dei decemviri qualunque iniziativa avesse esito favorevole, si lasciavano sconfiggere di proposito, coprendo di ignominia se stessi e i loro comandanti Gli eserciti vennero così sbaragliati sia dai Sabini a Ereto, sia dagli Equi sull'Algido Da Ereto, fuggendo nel silenzio della notte, si andarono ad accampare nei pressi di Roma, in un punto leggermente rialzato a metà strada tra Fidene e Crustumeria; incalzati dai nemici, non si avventuravano mai a combattere in campo aperto, ma si facevano difendere dalla natura del luogo e dalla trincea, non dal loro valore e dalle armi |
Maius flagitium in Algido, maior etiam clades accepta; castra quoque amissa erant, exutusque omnibus utensilibus miles Tusculum se, fide misericordiaque victurus hospitum, quae tamen non fefellerunt, contulerat Romam tanti erant terrores allati, ut posito iam decemvirali odio patres vigilias in urbe habendas censerent, omnes Qui per aetatem arma ferre possent custodire moenia ac pro portis stationes agere iuberent, arma Tusculum ad supplementum decernerent, decemvirosque ab arce Tusculi digressos in castris militem habere, castra alia a Fidenis in Sabinum agrum transferri, belloque ultro inferendo deterreri hostes a consilio urbis oppugnandae [43] Ad clades ab hostibus acceptas duo nefanda facinora decemviri belli domique adiciunt |
Sul monte Algido il disonore fu ancora più grande e più grave la sconfitta: perduto l'accampamento e privati di tutto l'Equipaggiamento, i soldati ripararono a Tuscolo, sperando nel sostegno e nella sincera compassione degli ospiti che in verità non vennero loro a mancare A Roma erano arrivate notizie così allarmanti che i patrizi, lasciando da parte l'odio verso i decemviri, ritennero opportuno disporre delle sentinelle in città e ordinare che tutti gli uomini in età di portare le armi andassero a proteggere le mura e costitvissero posti di guardia in prossimità delle porte; quindi decisero che s'inviassero rinforzi a Tuscolo, che i decemviri scendessero dalla cittadella di Tuscolo e trattenessero i soldati nell'accampamento, che l'altro campo fosse spostato da Fidene alla campagna sabina; il ritorno all'offensiva avrebbe distolto il nemico dal proposito di assediare Roma 43 Ai disastri dovuti al nemico, i decemviri aggiunsero anche due orrendi crimini, sul campo di battaglia e in patria |
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L Siccium in Sabinis, per invidiam decemviralem tribunorum creandorum secessionisque mentiones ad uolgus militum sermonibus occultis serentem, prospeculatum ad locum castris capiendum mittunt Datur negotium militibus qvos miserant expeditionis eius comites, ut eum opportuno adorti loco interficerent Haud inultum interfecere; nam circa repugnantem aliquot insidiatores cecidere, cum ipse se praeualidus, pari viribus animo, circumuentus tutaretur Nuntiant in castra ceteri praecipitatum in insidias esse; Siccium egregie pugnantem militesque qvosdam cum eo amissos |
Nelle truppe opposte ai Sabini militava Lucio Siccio; questi, facendo leva sul risentimento nei confronti dei decemviri, si sarebbe messo a solleticare la massa dei soldati arringandoli in segreto con discorsi sulla necessità di eleggere dei tribuni e di ripetere la secessione Per questo i comandanti lo mandarono a cercare un luogo adatto all'accampamento, dando disposizione agli uomini scelti per accompagnarlo nella spedizione di eliminarlo non appena si fossero trovati in una zona adatta Ma Siccio non morì senza vendicarsi; infatti, mentre cercava di difendersi battendosi come poteva, sul campo rimasero accanto al suo i cadaveri di alcuni dei sicari, perché, pur essendo stato circondato, era fortissimo e lottava con un coraggio pari alla gagliardia fisica Gli scampati, al ritorno nell'accampamento, riferirono di esser caduti in un'imboscata, sottolineando che Siccio era morto combattendo valorosamente e che con lui erano caduti anche altri |
Primo fides nuntiantibus fuit; profecta deinde cohors ad sepeliendos Qui ceciderant decemvirorum permissu, postquam nullum spoliatum ibi corpus Sicciumque in medio iacentem armatum omnibus in eum uersis corporibus videre, hostium neque corpus ullum nec vestigia abeuntium, profecto ab suis interfectum memorantes rettulere corpus Invidiaeque plena castra erant, et Romam ferri protinus Siccium placebat, ni decemviri funus militare ei publica impensa facere maturassent Sepultus ingenti militum maestitia, pessima decemvirorum in uolgus fama est |
Sulle prime si credette a questa versione dei fatti; quando in séguito, col permesso dei decemviri, gli uomini di una coorte vennero inviati sul luogo dell'imboscata per seppellire i cadaveri, notando che i corpi non presentavano tracce di spoliazione e che qvello di Siccio giaceva armato nel mezzo con tutti gli altri disposti intorno e rivolti verso il suo, e vedendo che non c'erano cadaveri di nemici né tracce della loro ritirata, ne riportarono indietro la salma, affermando con assoluta certezza che era stato ucciso dai suoi stessi compagni L'indignazione pervase l'accampamento: e anche se tutti erano dell'avviso che il corpo di Siccio dovesse essere immediatamente portato a Roma, i decemviri si affrettarono a far celebrare un funerale militare a spese dello Stato Siccio venne sepolto nel cordoglio generale, e la fama dei decemviri peggiorò agli occhi di tutti |
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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 27; 35 - 37
[44] SEquitur aliud in urbe nefas, ab libidine ortum, haud minus foedo euentu quam quod per stuprum caedemque Lucretiae urbe regnoque TarQuinios expulerat, ut non finis solum idem decemviris Qui regibus sed causa etiam eadem imperii amittendi esset Ap Claudium virginis plebeiae stuprandae libido cepit Pater virginis, L Verginius, honestum ordinem in Algido ducebat, vir exempli recti domi militiaeque Perinde uxor instituta fuerat liberique instituebantur Desponderat filiam L Icilio tribunicio, viro acri et pro causa plebis expertae virtutis Hanc virginem adultam forma excellentem Appius amore amens pretio ac spe perlicere adortus, postquam omnia pudore saepta animaduerterat, ad crudelem superbamque vim animum convertit |
44 A questo orribile episodio ne seguì in città un altro, nato dalla libidine; le conseguenze non furono tuttavia meno disastrose di qvelle che, a causa dello stupro e del svicidio di Lucrezia, avevano in passato portato alla cacciata dei TarQuini dal trono e da Roma; così non soltanto la fine dei decemviri e dei re fu uguale, ma uguale fu anche la causa della perdita del potere Appio Claudio venne preso dalla smania di possedere una vergine plebea Il padre della ragazza, un uomo esemplare in pace e in guerra, comandava con onore una centuria sull'Algido Nello stesso modo era stata educata sua moglie e la stessa educazione ricevevano i figli Egli aveva promesso in sposa la figlia all'ex-tribuno Lucio Icilio, un uomo risoluto e di provato coraggio nelle lotte a favore della plebe Appio, innamorato pazzo della ragazza - ormai adulta e straordinariamente bella - tentò di sedurla con proposte di denaro e con promesse; ma, quando si rese conto che il pudore della ragazza gli precludeva ogni via, decise di ricorrere a una crudele e arrogante violenza |
M Claudio clienti negotium dedit, ut virginem in servitutem adsereret neque cederet secundum libertatem postulantibus vindicias, quod pater pvellae abesset locum iniuriae esse ratus Virgini uenienti in forum-ibi namque in tabernaculis litterarum ludi erant-minister decemviri libidinis manum iniecit, serua sua natam seruamque appellans, sEquique se iubebat: cunctantem vi abstracturum Pavida pvella stupente, ad clamorem nutricis fidem Quiritium implorantis fit concursus; Vergini patris sponsique Icili populare nomen celebrabatur Notos gratia eorum, turbam indignitas rei virgini conciliat Iam a vi tuta erat, cum adsertor nihil opus esse multitudine concitata ait; se iure grassari, non vi Vocat pvellam in ius |
Diede disposizione a un suo cliente di nome Marco Claudio di andare a reclamare la ragazza come sua schiava e di non cedere di fronte a chi ne chiedesse la libertà provvisoria, pensando che l'assenza del padre fosse una circostanza favorevole a qvel sopruso Così, mentre la ragazza si stava recando nel foro - dove, nei padiglioni, avevano sede le scuole - il mezzano della libidine del decemviro le mise le mani addosso dicendo che era una schiava, figlia di una sua schiava, e le ordinò di segvirlo: se avesse opposto resistenza l'avrebbe trascinata via con la forza La ragazza, sbigottita, rimase senza parole, ma le urla della nutrice, che implorava a gran voce la protezione dei Quiriti, fecero súbito accorrere molta gente; i nomi di Verginio, il padre, e di Icilio, il fidanzato, erano sulla bocca di tutti Per la stima di cui essi godevano presero le parti della ragazza i conoscenti, per l'indegnità dell'affronto la folla La ragazza era ormai al sicuro dalla violenza, quando colui che la reclamava protestò dicendo che tutta qvella gente non aveva alcun motivo di agitarsi: egli procedeva legalmente e non con la forza Quindi citò la ragazza in giudizio |
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Auctoribus Qui aderant ut seqverentur, ad tribunal Appi peruentum est Notam iudici fabulam petitor, Quippe apud ipsum auctorem argumenti, peragit: pvellam domi suae natam furtoque inde in domum Vergini translatam suppositam ei esse; id se indicio compertum adferre probaturumque vel ipso Verginio iudice, ad quem maior pars iniuriae eius pertineat; interim dominum sEqui ancillam aequum esse |
Siccome gli astanti che l'avevano aiutata le consigliarono di segvirlo, si presentarono tutti di fronte al tribunale di Appio Lì l'accusatore inscenò una commedia ben nota al giudice - proprio lui ne aveva congegnato la trama -: la ragazza, nata nella sua casa, era in séguito stata rapita e portata in qvella di Verginio, al quale era stata fatta passare per figlia sua; diceva di avere le prove e di essere in grado di dimostrarlo al giudice, anche se fosse stato Verginio in persona, al quale toccava il danno maggiore; per il momento era giusto che la schiava segvisse il padrone |