Livio, Ab urbe condita: Libro 39; 11 - 15

Livio, Ab urbe condita: Libro 39; 11 - 15

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 39; 11 - 15

[11] Postquam domum venit, et mater mentionem intulit, quid eo die, quid deinceps ceteris, quae ad sacra pertinerent, faciendum esset, negat eorum se quicquam facturum, nec initiari sibi in animo esse

Aderat sermoni vitricus

Confestim mulier exclamat Hispalae concubitu carere eum decem noctes non posse; illius excetrae delenimentis et venenis imbutum nec parentis nec vitrici nec deorum verecundiam habere

Iurgantes hinc mater, hinc vitricus cum quattuor eum servis domo exegerunt

Adulescens inde ad Aebutiam se amitam contulit, causamque ei, cur esset a matre eiectus, narravit, deinde ex auctoritate eius postero die ad consulem Postumium arbitris remotis rem detulit
[11] Quando egli fu tornato a casa e la madre fece cadere il discorso sugli atti rituali che si dovevano compiere in quel giorno e poi di seguito nei successivi, dichiarò che non avrebbe fatto nulla di tutto ciò e che di farsi iniziare non aveva nessuna intenzione

Al dialogo era presente il patrigno

Subito la donna si dà a gridare che egli non sapeva stare dieci notti separato da Ispala, e che, stregato dalle malie e dai filtri di quel serpente , non aveva rispetto né per la madre né per il patrigno né per gli dèi

Messisi a rimproverarlo la madre da una parte e il patrigno dall’altra, lo cacciarono di casa con quattro servi

Il giovane di li si recò presso una zia, Ebuzia, e le raccontò la ragione per cui era stato messo alla porta, poi per consiglio di lei il giorno seguente denunciò la cosa in udienza privata al console Postumio
Consul post diem tertium redire ad se iussum dimisit; ipse Sulpiciam gravem feminam, socrum suam, percunctatus est, ecquam anum Aebutiam ex Aventino nosset

Cum ea nosse probam et antiqui moris feminam respondisset, opus esse sibi ea conventa dixit: mitteret nuntium ad eam, ut veniret

Aebutia accita ad Sulpiciam venit, et consul paulo post, velut forte intervenisset, sermonem de Aebutio fratris eius filio infert

Lacrimae mulieri obortae, et miserari casum adulescentis coepit, qui spoliatus fortunis, a quibus minime oporteret, apud se tunc esset, eiectus a matre, quod probus adulescens -dii propitii essent-obscenis, ut fama esset, sacris initiari nollet
Il console lo congedò con l’ordine di ripresentarsi a lui dopo quattro giorni, quindi dal canto suo interpellò la propria suocera Sulpicia , donna molto rispettabile, se mai conoscesse una vecchia Ebuzia dell’Aventino

Avendo lei risposto che la conosceva come una brava donna e all’antica, soggiunse che aveva bisogno di incontrarsi con lei; le mandasse un’ambasciata per farla venire

Ebuzia, chiamata, si recò da Sulpicia, e il console poco dopo, facendo conto di capitare lì per caso, fa cadere il discorso sul nipote di lei Ebuzio

Alla donna venne da piangere, e cominciò a commiserare la sorte del giovane, che, spogliato dei suoi beni da chi meno avrebbe dovuto, era ora in casa di lei, scacciato dalla madre solo perché (che gli dèi lo aiutassero) a dei misteri osceni, a quel che si diceva, lui, giovane onesto, non voleva saperne di essere iniziato
[12] Satis exploratum de Aebutio ratus consul non vanum auctorem esse, Aebutia dimissa socrum rogat, ut Hispalam indidem ex Auentino libertinam, non ignotam viciniae, arcesseret ad sese: eam quoque esse quae percunctari vellet

Ad cuius nuntium perturbata Hispala, quod ad tam nobilem et gravem feminam ignara causae arcesseretur, postquam lictores in vestibulo turbamque consularem et consulem ipsum conspexit, prope exanimata est

In interiorem partem aedium abductam socru adhibita consul, si vera dicere inducere in animum posset, negat perturbari debere; fidem vel a Sulpicia, tali femina, vel ab se acciperet; expromeret sibi, quae in luco Stimulae Bacchanalibus in sacro nocturno solerent fieri

Hoc ubi audivit, tantus pavor tremorque omnium membrorum mulierem cepit, ut diu hiscere non posset
[12] Il console, certo di avere abbastanza sondata sul conto di Ebuzio una fonte attendibile, congedata Ebuzia, prega la suocera di far venire la liberta Ispala, pure dell’Aventino, donna non sconosciuta al vicinato, perché aveva qualcosa da chiedere anche a lei

A questa notizia Ispala, turbata dall’idea di esser chiamata davanti a una donna così illustre e autorevole senza saperne il perché, quando vide nel vestibolo i littori e il seguito del console, e anche il console in persona, poco mancò che non svenisse

Il console, fattala venire in una parte interna della casa, e presa con sé Sulpicia per vedere se la induceva a dire la verità, le dice che non deve spaventarsi, ma starsene alla parola di una donna come Sulpicia o di lui stesso; gli rivelasse quello che si soleva fare, durante i riti notturni dei Baccanali, nel bosco di Stimula

Udito questo, la donna fu presa da un tale spavento e tremito di tutte le membra, che non riusciva ad aprire bocca

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Livio, Ab urbe condita: Libro 34; 11 - 14
Livio, Ab urbe condita: Libro 34; 11 - 14

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 34; 11 - 14

Tandem confirmata puellam admodum se ancillam initiatam cum domina ait: aliquot annis, ex quo manumissa sit, nihil quid ibi fiat scire

Iam id ipsum consul laudare, quod initiatam se non infitiaretur: sed et cetera eadem fide expromeret

Neganti ultra quicquam scire, non eandem dicere, si coarguatur ab alio, ac per se fatenti veniam aut gratiam fore; eum sibi omnia exposuisse, qui ab illa audisset

[13] Mulier haud dubie, id quod erat, Aebutium indicem arcani rata esse, ad pedes Sulpiciae procidit, et eam primo orare coepit, ne mulieris libertinae cum amatore sermonem in rem non seriam modo sed capitalem etiam verti vellet: se terrendi eius causa, non quod sciret quicquam, ea locutam esse
Alla fine, rinfrancata, dichiara che quand’era schiava si era iniziata ancora bambina con la sua padrona; da qualche anno, cioè da quando era stata emancipata, non sapeva più che cosa vi si facesse

Il console disse che intanto la lodava già perché non negava di essere stata iniziata; ma ora rivelasse anche il resto con la stessa sincerità

E siccome quella diceva di non sapere nulla di più , aggiunse che, se fosse smentita da altri, non avrebbe più trovato lo stesso perdono e la stessa indulgenza che a confessare da sé; tutto gli aveva raccontato per filo e per segno chi lo aveva saputo da lei

[13] La donna non avendo dubbi, come realmente era, che Ebuzio fosse stato delatore dei misteri, si gettò ai piedi di Sulpicia e prima si dette a pregarla di non permettere che le chiacchiere di una liberta col suo amante si trasformassero in cosa non solo seria ma addirittura fatale; aveva detto così per fargli paura, non perché sapesse qualcosa
Hic Postumius accensus ira tum quoque ait eam cum Aebutio se amatore cavillari credere, non in domo gravissimae feminae et cum consule loqui

Et Sulpicia attollere paventem, simul illam adhortari, simul iram generi lenire

Tandem confirmata, multum incusata perfidia Aebutii, qui optime de ipso meritae talem gratiam rettulisset, magnum sibi metum deorum, quorum occulta initia enuntiaret, maiorem multo dixit hominum esse, qui se indicem manibus suis discerpturi essent

Itaque hoc se Sulpiciam, hoc consulem orare, ut se extra Italiam aliquo ablegarent, ubi reliquum vitae degere tuto posset

Bono animo esse iubere eam consul, et sibi curae fore dicere, ut Romae tuto habitaret

Tum Hispala originem sacrorum expromit
A questo punto Postumio, preso d’ira, le disse che lei forse credeva ancora di scherzare col suo amante Ebuzio e non già di parlare in casa di una donna autorevole e con un console

Ecco allora Sulpicia a farle coraggio, e un po’ a far raccomandazioni a lei, un po’ a calmare le ire del genero

Alla fine, fattasi coraggio dopo essersela presa più volte con la perfidia di Ebuzio, che la rcompensava così dopo tutto il bene che gli aveva fatto, disse che aveva grande timore degli dèi se rivelava i loro misteri, ma più ancora degli uomini, che avrebbero fatto scempio di lei con le loro mani se avesse fatto delle rivelazioni

Perciò questo chiedeva a Sulpicia, questo chiedeva al console, che la confinassero in qualche parte fuori d’italia dove potesse vivere al sicuro il resto della sua vita

Il console le raccomandò di star calma, e aggiunse che avrebbe pensato lui a darle un’abitazione al sicuro a Roma

Allora Ispala rivela le origini di quei riti

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Livio, Ab urbe condita: Libro 27; 47 - 49
Livio, Ab urbe condita: Libro 27; 47 - 49

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 27; 47 - 49

Primo sacrarium id feminarum fuisse, nec quemquam eo virum admitti solitum

Tres in anno statos dies habuisse, quibus interdiu Bacchis initiarentur; sacerdotes in vicem matronas creari solitas

Pacullam Anniam Campanam sacerdotem omnia, tamquam deum monitu, immutasse: nam et viros eam primam filios suos initiasse, Minium et Herennium Cerrinios; et nocturnum sacrum ex diurno, et pro tribus in anno diebus quinos singulis mensibus dies initiorum fecisse

Ex quo in promiscuo sacra sint et permixti viri feminis, et noctis licentia accesserit, nihil ibi facinoris, nihil flagitii praetermissum

Plura virorum inter sese quam feminarum esse stupra

Si qui minus patientes dedecoris sint et pigriores ad facinus, pro victimis immolari

Nihil nefas ducere, hanc summam inter eos religionem esse
In un primo tempo era stato un sacrario riservato alle donne, e c’era stato l’uso di non ammettervi uomini

Avevano tre giorni fissi nell’anno nei quali si iniziavano di giorno ai Baccanali: come sacerdotesse si eleggevano delle matrone a turno

La sacerdotessa Paculla Annia Campana aveva introdotto delle riforme radicali, adducendo una ispirazione divina; fu essa la prima a iniziare dei maschi (i suoi figli Minio e Erennio Cerrinio ); e mutò il rito da diurno a notturno , e invece dei tre giorni nell’anno per le iniziazioni ne istituì cinque al mese

Da quando i riti erano promiscui e uomini e donne si trovavano mescolati e vi si era aggiunta la licenza favorita dalla notte, non c’era azione, non c’era infamia da cui si astenessero

Erano più le violenze tra uomini che quelle su donne

Se qualcuno era meno facile a adattarsi al disonore o meno deciso a simili azioni, veniva immolato come vittima

Non avere scrupoli, questo era fra di loro il più sacro degli impegni
Viros, velut mente capta, cum iactatione fanatica corporis vaticinari; matronas Baccharum habitu crinibus sparsis cum ardentibus facibus decurrere ad Tiberim, demissasque in aquam faces, quia vivum sulpur cum calce insit, integra flamma efferre

Raptos a diis homines dici, quos machinae illigatos ex conspectu in abditos specus abripiant: eos esse, qui aut coniurare aut sociari facinoribus aut stuprum pati noluerint

Multitudinem ingentem, alterum iam prope populum esse; in his nobiles quosdam viros feminasque

Biennio proximo institutum esse, ne quis maior viginti annis initiaretur: captari aetates et erroris et stupri patientes

[14] Peracto indicio advoluta rursus genibus preces easdem, ut se ablegaret, repetivit

Consul rogat socrum, ut aliquam partem aedium vacuam faceret, quo Hispala immigraret
Gli uomini come impazziti vaneggiavano gesticolando da invasati con tutta la persona, le matrone in atteggiamento di baccanti , coi capelli sparsi, correvano giù fino al Tevere con torce accese e, dopo averle immerse nell’acqua, poiché queste contenevano zolfo vivo e calce, le estraevano con la fiamma intatta

Si dicevano rapite dagli dei, persone che invece, legate a un ordigno, erano sottratte alla vista in spelonche nascoste; ed erano quelle che non avevano voluto congiurare nè associarsi a misfatti o subire oltraggio

Erano una folla numerosa e ormai quasi un secondo popolo, e, tra questi, taluni cittadini e donne della nobiltà

Da due anni si era stabilito che nessuno fosse iniziato dopo i vent’anni di età; si cercava di attirare l’età più facile all’errore e più docile all’oltraggio

[14] Finita la denuncia si gettò di nuovo in ginocchio, ripeté le stesse preghiere per essere allontanata

Il console chiese alla suocera di rendere libera una parte della casa, in cui Ispala potesse andare

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Livio, Ab urbe condita: Libro 30; 08 - 10

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 30; 08 - 10

Cenaculum super aedes datum est, scalis ferentibus in publicum obseratis, aditu in aedes verso

Res omnes Faeceniae extemplo translatae et familia arcessita, et Aebutius migrare ad consulis clientem iussus

Ita cum indices ambo in potestate essent, rem ad senatum Postumius defert, omnibus ordine expositis, quae delata primo, quae deinde ab se inquisita forent

Patres pavor ingens cepit, cum publico nomine, ne quid eae coniurationes coetusque nocturni fraudis occultae aut periculi importarent, tum privatim suorum cuiusque vicem, ne quis adfinis ei noxae esset

Censuit autem senatus gratias consuli agendas, quod eam rem et cum singulari cura et sine ullo tumultu investigasset
Le venne assegnata una soffitta sopra il palazzo, chiudendo l’accesso alle scale che portavano sulla via, aprendo una via all’interno

Subito vi furono trasportate tutte le cose di Facennia e fatti venire i servi, e Ebuzio fu portato presso un cliente del console

Così essendo entrambi i delatori nelle sue mani, Postumio espose la questione al senato, esponendo ogni cosa con ordine, prima le cose denunciate, in seguito ciò che era venuto fuori indagando direttamente

Grande panico colpì i senatori, sia per l’interesse pubblico, perché quelle congiure e riunioni notturne non portassero ad inganni segreti o pericoli, sia personalmente per i propri familiari, che nessuno fosse implicato in quella colpa

Il senato stabilì di ringraziare il console per l’operato, perché aveva indagato quella situazione con particolare cura e senza alcun tumulto
Quaestionem deinde de Bacchanalibus sacrisque nocturnis extra ordinem consulibus mandant; indicibus Aebutio ac Faeceniae ne fraudi ea res sit curare et alios indices praemiis invitare iubent; sacerdotes eorum sacrorum, seu viri seu feminae essent, non Romae modo sed per omnia fora et conciliabula conquiri, ut in consulum potestate essent; edici praeterea in urbe Roma et per totam Italiam edicta mitti, ne quis, qui Bacchis initiatus esset, coisse aut convenisse sacrorum causa velit, neu quid talis rei divinae fecisse

Ante omnia ut quaestio de iis habeatur, qui coierint coniuraverintve, quo stuprum flagitiumve inferretur

Haec senatus decrevit

Consules aedilibus curulibus imperarunt, ut sacerdotes eius sacri omnes conquirerent, comprehensosque libero conclavi ad quaestionem servarent; aediles plebis viderent, ne qua sacra in operto fierent
Quindi si affida ai consoli la procedura straordinaria contro i Baccanali e i riti notturni; si ordina che ai delatori Ebuzio e Facennia la cosa non porti pregiudizio e che si invitino gli altri delatori con premi; si fanno cercare i sacerdoti di quei culti, sia uomini sia donne che fossero, non soltanto a Roma ma in tutti i fori e i conciliaboli, per essere consegnati all’autorità dei consoli; ancora si fa decretare nella città di Roma e si mandano editti in tutta l’Italia, che nessuno, che è stato iniziato al culto di Bacco, voglia partecipare o riunirsi per riti, ne compia sacrifici di questo genere

Soprattutto si proceda contro quelli che hanno congiurato o che si sono riuniti per commettere stupro o altra infamia

Questo decretò il senato

I consoli ordinarono agli edili curili di cercare tutti i sacerdoti di quei riti, e trattenendoli in libera custodia tenerli a disposizione per l’inchiesta; gli edili della plebe vigilassero affinché non ci fossero riti in luogo chiuso

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 27; 27 - 28

Triumviris capitalibus mandatum est, ut vigilias disponerent per urbem servarentque, ne qui nocturni coetus fierent, utque ab incendiis caveretur; adiutores triumuiris quinqueviri uls cis Tiberim suae quisque regionis aedificiis praeessent

[15] Ad haec officia dimissis magistratibus consules in rostra escenderunt, et contione advocata cum sollemne carmen precationis, quod praefari, priusquam populum adloquantur, magistratus solent, peregisset consul, ita coepit

“Nulli umquam contioni, Quirites, tam non solum apta sed etiam necessaria haec sollemnis deorum comprecatio fuit, quae vos admoneret hos esse deos, quos colere venerari precarique maiores vestri instituissent, non illos, qui pravis et externis religionibus captas mentes velut furialibus stimulis ad omne scelus et ad omnem libidinem agerent

Equidem nec quid taceam nec quatenus proloquar invenio
Ai triumviri capitali fu dato l’incarico di disporre sentinelle per la città, e di sorvegliare che non ci fossero riunioni notturne, per evitare incendi, i quinqueviri, costituiti al di qua e al di là del Tevere come aiutanti dei triumviri, dovevano sovrintendere ciascuno agli edifici del proprio quartiere

[15] Spediti i magistrati a queste mansioni, i consoli salirono sui rostri e, indetta un'adunata, con una formula sacramentale di preghiera, che sono soliti premettere i magistrati quando devono parlare al popolo, così incominciò

“Mai in nessuna adunata, Quiriti, questa rituale invocazione agli dèi fu non solo così indicata, ma anche indispensabile, per ricordarvi che gli dei sono questi, quelli che i vostri avi ci hanno insegnato a riconoscere, a pregare e venerare, non quelli che spingono le coscienze, accecate da riti bugiardi e stranieri come da un invasamento diabolico, verso qualunque delitto e qualunque voglia

Io stesso non so che cosa tacere né quanto dire

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