Livio, Ab urbe condita: Libro 32; 01 - 20, pag 5

Livio, Ab urbe condita: Libro 32; 01 - 20

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 32; 01 - 20

Oppidanis extemplo vita ac libertas concessa est: Macedonibus nummi treceni in capita statutum pretium est et ut armis traditis abirent

Hac summa redempti inermes in Boeotiam traiecti

Navales copiae duabus claris vrbibus Euboeae intra dies paucos captis circumvectae Sunium, Atticae terrae promunturium, Cenchreas Corinthiorum emporium petierunt

Consul interim omnium spe longiorem atrocioremque oppugnationem habuit, et ea qua minimum credidisset resistebant hostes

Nam omnem laborem in muro crediderat diruendo fore: si aditum armatis in urbem patefecisset, fugam inde caedemque hostium fore, qualis captis urbibus fieri solet; ceterum postquam parte muri arietibus decussa per ipsas ruinas transcenderunt in urbem armati, illud principium velut novi atque integri laboris fuit
Ai cittadini venne concessa immediatamente la vita e la libertà: per i Macedoni si stabilì un riscatto di trecento nummi ciascuno, dopo di che, consegnate le armi, avrebbero potuto partire

Riscattati a tale prezzo li si fece passare senza armi in Beozia

Le forze navali, dopo aver conquistato in pochi giorni due famose città dell'Eubea, doppiato il capo Sunio, un promontorio dell'Attica, si diressero a Cencree, centro commerciale corinzio

Intanto il console conduceva ad Atrage un assedio più lungo e violento di ogni aspettativa

Ed i nemici resistevano nel modo per lui più impreveduto: pensava infatti che tutta la fatica sarebbe consistita nell'abbattimento del muro; se fosse stata aperta agli armati una via d'accesso alla città, ne sarebbe seguita la fuga e il massacro dei nemici, come avviene di solito nelle città conquistate; quando invece, abbattuta a colpi di ariete una parte del muro, i soldati attraverso la breccia balzarono nella città, quello fu il principio di una fatica completamente nuova
Nam Macedones qui in praesidio erant et multi et delecti, gloriam etiam egregiam rati si armis potius et virtute quam moenibus urbem tuerentur, conferti pluribus introrsus ordinibus acie firmata, cum transcendere ruinas sensissent Romanos, per impeditum ac difficilem ad receptum locum expulerunt

Id consul aegre passus nec eam ignominiam ad unius modo oppugnandae moram urbis sed ad summam universi belli pertinere ratus, quod ex momentis parvarum plerumque rerum penderet, purgato loco qui strage semiruti muri cumulatus erat, turrem ingentis altitudinis magnam vim armatorum multiplici tabulato portantem promovit et cohortes in vicem sub signis quae cuneum Macedonumphalangem ipsi vocant, si possent, vi perrumperent emittebat
Difatti i Macedoni che erano di guarnigione, numerosi e tutti soldati scelti, pensavano che avrebbero ottenuto una gloria eccezionale se avessero difeso la città non grazie alla cinta di mura ma con il proprio valore e le proprie armi, serrati i ranghi, rinforzato lo schieramento con la disposizione di parecchie file in profondità, quando si accorsero che i romani varcavano la breccia li respinsero su un terreno irto di ostacoli che rendeva difficile la ritirata

Il console non si rassegnò allinsuccesso e pensando che quello scacco non era limitatoal ritardo nell'espugnazione di una città, ma si rifletteva sulla condotta dell'intera guerra che in genere dipende dal peso di piccoli accadimenti, dopo aver fatto sgombrare il terreno, che era coperto dalle macerie del muro semidiroccato, fece portare avanti una torre di notevole altezza, che accoglieva su diversi piani un gran numero di soldati, poi lanciò all'assalto, a turno, le varie coorti, ordinate sotto le loro insegne, per spezzare a forza, se ci riuscivano, il cuneo macedone, quello che i Macedoni chiamano falange
Sed ad loci angustias, haud late patente intervallo diruti muri, genus armorum pugnaeque hosti aptius erat

Ubi conferti hastas ingentis longitudinis prae se Macedones obiecissent, velut in constructam densitate clipeorum testudinem Romani pilis nequiquam emissis cum strinxissent gladios, neque congredi propius neque praecidere hastas poterant et, si quam incidissent aut praefregissent, hastile fragmento ipso acuto inter spicula integrarum hastarum velut vallum explebat

Ad hoc et muri pars utraque integra tuta praestabat latera nec ex longo spatio aut cedendum aut impetus faciendus erat, quae res turbare ordines solet
Ma oltre alla ristrettezza del luogo (la breccia nel muro non era molto ampia) anche il tipo di lotta e di armamento era favorevole al nemico

Quando i Macedoni, a ranghi serrati, puntavano innanzi a sé le loro lance di notevole lunghezza, i Romani, dopo aver invano scagliato i loro dardi contro quella sorta di testuggine formata dagli scudi accostati, sguainavano la spada, ma non potevano né venire ad un corpo a corpo né tagliare le lance nemiche, e se qualcuna ne tagliavano o spezzavano, il troncone spezzato, anch'esso appuntito, veniva come a completare una palizzata tra le punte delle lance intatte

Inoltre la parte di muro ancora intatta proteggeva i fianchi dei nemici dalle due parti e non molto vasto era lo spazio per ritirarsi o attaccare, cosa che in genere scompiglia i ranghi

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Livio, Ab urbe condita: Libro 27; 15 - 16
Livio, Ab urbe condita: Libro 27; 15 - 16

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 27; 15 - 16

Accessit etiam fortuita res ad animos eorum firmandos; nam cum turris per aggerem parum densati soli ageretur, rota una in altiorem orbitam depressa ita turrim inclinavit ut speciem ruentis hostibus trepidationemque insanam superstantibus armatis praebuerit

[18] Cum parum quicquam succederet, consul minime aequo animo comparationem militum generisque armorum fieri patiebatur, simul nec maturam expugnandi spem nec rationem procul a mari et in evastatis belli cladibus locis hibernandi ullam cernebat
Anche un fatto fortuito viene a rafforzare il loro coraggio: mentre i Romani spingevano la torre su di un terrapieno non sufficientemente battuto, una ruota, scivolata in un solco troppo profondo, fece inclinare talmente la torre da dare ai nemici l'impressione che cadesse e da provocare un irragionevole timore nei soldati che le stavano sopra

[18] Si facevano ben pochi progressi, e il console mal sopportava che i suoi soldati ed il loro tipo di armamento fossero messi a confronto con altri, nello stesso tempo non aveva alcuna speranza di espugnare rapidamente la città né vedeva il modo di passare l'inverno lontano dal mare e in una località devastata dai guasti della guerra
Itaque relicta obsidione, quia nullus in tota Acarnaniae atque Aetoliae ora portus erat qui simul et omnes onerarias quae commeatum exercitui portabant caperet et tecta ad hibernandum legionibus praeberet, Anticyra in Phocide in Corinthium versa sinum ad id opportunissime sita visa, quia nec procul Thessalia hostiumque locis aberat et ex adverso Peloponnesum exiguo maris spatio divisam, ab tergo Aetoliam Acarnaniamque, ab lateribus Locridem ac Boeotiam habebat

Phocidis primo impetu Phanoteam sine certamine cepit

Anticyra haud multum in oppugnando morae praebuit

Ambrysus inde Hyampolisque receptae
Perciò, abbandonato l'assedio, poiché lungo tutta la costa dell'Acarnania e dell'Etolia non vi era un porto che potesse ad un tempo accogliere tutte le navi da carico, che portavano i rifornimenti all'esercito, e fornire alle legioni dei ripari ove passare l'inverno, gli parve che Anticira, nella Focide, sul golfo di Corinto, fosse nella posizione più adatta a tale scopo, difatti non era lontano dalla Tessaglia e dal territorio nemico, e aveva di fronte a sé il Peloponneso, separato da un breve tratto di mare, dietro l'Etolia e l'Acarnania, ai lati la Locride e la Beozia

In Focide conquistò al primo assalto, senza combattere, Fanotea

L'assedio di Anticira non richiese molto tempo

Poi si arresero Ambriso e Iampoli

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Livio, Ab urbe condita: Libro 40; 16 - 20
Livio, Ab urbe condita: Libro 40; 16 - 20

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 40; 16 - 20

Daulis, quia in tumulo excelso sita est, nec scalis nec operibus capi poterat: lacessendo missilibus eos qui in praesidio erant cum ad excursiones elicuissent, refugiendo in vicem insequendoque et levibus sine effectu certaminibus eo neglegentiae et contemptus adduxerunt ut cum refugientibus in portam permixti impetum Romani facerent

Et alia ignobilia castella Phocidis terrore magis quam armis in potestatem venerunt

Elatia clausit portas nec, nisi vi cogerentur, recepturi moenibus videbantur aut ducem aut exercitum Romanum

[19] Elatiam obsidenti consuli rei maioris spes adfulsit, Achaeorum gentem ab societate regia in Romanam amicitiam avertendi

Cycliadan principem factionis ad Philippum trahentium res expulerunt; Aristaenus, qui Romanis gentem iungi volebat, praetor erat
Daulide, situata su di una altura, non poteva essere espugnata né con scale né con altre opere di assedio: molestando con proiettili i componenti della guarnigione, li indussero a delle sortite; alternando ritirate ed inseguimenti, ingaggiando piccole battaglie senza esito li portarono ad un punto tale di imprudenza e di disprezzo per il nemico che i Romani riuscirono ad attaccare mescolandosi ad un gruppo che fuggiva verso una porta

Altre piazzeforti ancora, meno note, della Focide caddero in potere dei Romani, più per paura che a séguito di sconfitte

Elazia sbarrò le porte e gli abitanti non sembravano intenzionati ad accogliere il generale e l'esercito romano, a meno che vi fossero costretti con la forza

[19] Mentre il console assediava Elazia gli balenò la speranza di una più grande impresa, quella di far passare il popolo acheo dall'alleanza con il re all'amicizia con Roma

Gli Achei avevano cacciato Cicliade, capo del partito che cercava di portare lo stato dalla parte di Filippo; era pretore Aristeno, che voleva un accordo tra Roma ed il suo popolo
Classis Romana cum Attalo et Rhodiis Cenchreis stabat parabantque communi omnes consilio Corinthum oppugnare

Optimum igitur ratus est, priusquam eam rem adgrederentur, legatos ad gentem Achaeorum mitti pollicentes, si ab rege ad Romanos defecissent, Corinthum contributuros in antiquum gentis concilium

Auctore consule legati a fratre eius L Quinctio et Attalo et Rhodiis et Atheniensibus ad Achaeos missi

Sicyone datum est iis concilium

Erat autem non admodum simplex habitus inter Achaeos animorum: terrebat Nabis Lacedaemonius, gravis et adsiduus hostis; horrebant Romana arma; Macedonum beneficiis et veteribus et recentibus obligati erant; regem ipsum suspectum habebant pro eius crudelitate perfidiaque, neque ex iis quae tum ad tempus faceret aestimantes graviorem post bellum dominum futurum cernebant
La flotta romana, con Attalo e i Rodiesi, si trovava a Cencree e tutti, di comune accordo, si preparavano ad attaccare Corinto

Ritenne quindi che il partito migliore fosse quello di mandare ambasciatori agli Achei prima di cominciare quell'impresa, promettendo che se fosse sero passati dal re ai Romani questi ultimi avrebbero fatto entrare Corinto nell'antica lega achea

Secondo il suggerimento del console furono mandati ambasciatori agli Achei da parte di suo fratello L Quinzio, di Attalo, dei Rodiesi e degli Ateniesi

L'assemblea della lega diede loro udienza a Sicione

Lo stato d'animo degli Achei non era affatto semplice: li spaventava lo spartano Nabide, avversario temibile e tenace; li atterrivano gli eserciti romani; erano legati ai Macedoni dai benefici ricevuti, antichi e recenti, avevano però in sospetto il re per la sua crudeltà e la sua doppiezza: non lo giudicavano da quanto allora faceva per opportunismo, ma vedevano bene che dopo la guerra sarebbe stato un ben più duro padrone

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 35; 21 - 25

Neque solum quid in senatu quisque civitatis suae aut in communibus conciliis gentis pro sententia dicerent ignorabant, sed ne ipsis quidem secum cogitantibus quid vellent aut quid optimum putarent satis constabat

Ad homines ita incertos introductis legatis potestas dicendi facta est

Romanus primum legatus L Calpurnius, deinde Attali regis legati, post eos Rhodii disserverunt; Philippi deinde legatis potestas dicendi facta est; postremi Athenienses, ut refellerent Macedonum dicta, auditi sunt

Ii fere atrocissime in regem, quia nulli nec plura nec tam acerba passi erant, invecti sunt

Et illa quidem contio sub occasum solis tot legatorum perpetuis orationibus die absumpto dimissa est
Non solo non sapevano come pronunciarsi ciascuno nel senato della propria città o nell'assemblea generale dell'intero popolo, ma neppure, riflettendo tra sé, avevano un'idea chiara di che cosa volessero o di quale fosse per loro il partito migliore

Introdotti alla presenza di uomini così indecisi, gli ambasciatori ebbero la parola

Parlò per primo l'ambasciatore romano L Calpurnio, poi l'ambasciatore del re Attalo, dopo di loro i Rodiesi, poi la parola venne data agli ambasciatori di Filippo; per ultimi furono ascoltati gli Ateniesi, affinché potessero replicare alle affermazioni dei Macedoni

Essi si scagliarono con una violenza quasi incredibile contro il re, poiché nessuno a causa sua aveva sofferto di più e più crudelmente

Quella seduta venne sciolta al calar del sole, dato che il succedersi dei discorsi di tanti ambasciatori aveva occupato l'intera giornata
[20] Postero die advocatur concilium; ubi cum per praeconem, sicut Graecis mos est, suadendi si quis vellet potestas a magistratibus facta esset nec quisquam prodiret, diu silentium aliorum alios intuentium fuit

Neque mirum si, quibus sua sponte volutantibus res inter se repugnantes obtorpuerant quodam modo animi, eos orationes quoque insuper turbaverant utrimque quae difficilia essent promendo admonendoque per totum diem habitae

Tandem Aristaenus praetor Achaeorum, ne tacitum concilium dimitteret, 'ubi' inquit 'illa certamina animorum, Achaei, sunt, quibus in conviviis et circulis, cum de Philippo et Romanis mentio incidit, vix manibus temperatis
[20] Il giorno seguente l'assemblea fu riconvocata, secondo l'uso greco i magistrati, per mezzo di un araldo, concessero a chi lo volesse la facoltà di prendere la parola, ma nessuno si fece avanti, ci fu un lungo silenzio, mentre i presenti si guardavano l'uno con l'altro

Non c'era da meravigliarsi se quegli uomini, che già riflettendo da sé sulle diverse soluzioni in contrasto avevano come annebbiato la propria intelligenza, erano adesso ancora più turbati dai discorsi che erano stati tenuti per una giornata intera, presentando e mettendo in evidenza le difficoltà tanto nell'uno come nell'altro senso

Alla fine Aristeno, pretore degli Achei, per non vedersi costretto a sciogliere l'assemblea se fosse rimasta silenziosa, disse: - Dove sono, o Achei, quei dibattiti d'opinione nei banchetti o nei circoli, durante i quali vi trattenevate a stento dal venire alle mani, quando il discorso cadeva su Filippo e sui Romani

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 24; 11-20

Nunc in concilio ad eam rem unam indicto, cum legatorum utrimque verba audieritis, cum referant magistratus, cum praeco ad suadendum vocet, obmutuistis

Si non cura salutis communis, ne studia quidem, quae in hanc aut in illam partem animos vestros inclinarunt, vocem cuiquam possunt exprimere

Cum praesertim nemo tam hebes sit qui ignorare possit dicendi ac suadendi quod quisque aut uelit aut optimum putet nunc occasionem esse, priusquam quicquam decernamus: ubi semel decretum erit, omnibus id, etiam quibus ante displicuerit, pro bono atque utili fore defendendum

' Haec adhortatio praetoris non modo quemquam unum elicuit ad suadendum sed ne fremitum quidem aut murmur contionis tantae ex tot populis congregatae movit
Ora in un'assemblea riunita per questo solo problema, quando avete udito parlare gli ambasciatori delle opposte parti, quando i magistrati aprono la discussione, quando l'araldo vi invita a sostenere la vostra opinione, voi tacete

Se non la preoccupazione per il bene comune, non possono almeno le simpatie che hanno fatto inclinare i vostri animi dall'una o dall'altra parte strapparvi qualche parola

Specialmente per il fatto che non c'è nessuno talmente ottuso da ignorare che questa è l'occasione di dire quello che ciascuno vuole o ritiene meglio, prima che venga presa una qualsiasi decisione: una volta che una decisione sia stata presa tutti, anche coloro ai quali prima sarà spiaciuta, dovranno difenderla come buona e utile -

Questa esortazione del pretore non solo non indusse nessuno a esprimere la propria opinione, ma non provocò neppure un fremito o un mormorio in quella così grande assemblea che riuniva tanti popoli

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