Cicerone, De Oratore: Libro 03; 21-25, pag 2

Cicerone, De Oratore: Libro 03; 21-25

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Oratore parte Libro 03; 21-25
[93] Verborum eligendorum et conlocandorum et concludendorum facilis est vel ratio vel sine ratione ipsa exercitatio; rerum est silva magna, quam cum Graeci iam non tenerent ob eamque causam iuventus nostra dedisceret paene discendo, etiam Latini, si dis placet, hoc biennio magistri dicendi exstiterunt; quos ego censor edicto meo sustuleram, non quo, ut nescio quos dicere aiebant, acui ingenia adulescentium nollem, sed contra ingenia obtundi nolui, conroborari impudentiam [93] La teoria e gli esercizi pratici riguardanti la scelta delle parole, la loro collocazione nel periodo e la maniera di chiudere il periodo sono facili; immensa è la materia del discorso; e dopo che i Greci non riuscivano più a dominarla, e per questo la gioventù romana disimparava, imparando, ecco che, per nostra sventura, sono venuti fuori in questi ultimi due anni anche maestri di eloquenza latini; e questi io da censore li avevo dispersi con un mio decreto, non perché non volessi che le menti dei nostri giovani si aguzzassero, come, secondo loro, alcuni affermavano, ma, al contrario, perché non volevo che la loro intelligenza fosse offuscata e fosse incoraggiata limpudenza
[94] Nam apud Graecos, cuicuimodi essent, videbam tamen esse praeter hanc exercitationem linguae doctrinam aliquam et humanitate dignam scientiam, hos vero novos magistros nihil intellegebam posse docere, nisi ut auderent; quod etiam cum bonis rebus coniunctum per se ipsum est magno opere fugiendum: hoc cum unum traderetur et cum impudentiae ludus esset, putavi esse censoris, ne longius id serperet, providere [94] Nei Greci, qualunque fosse il loro livello culturale, io vedevo, accanto a questa abilità puramente retorica, una qualche cultura e un sapere degno delluomo ben educato; da questi nuovi maestri, invece, io capivo che nullaltro i nostri giovani potevano apprendere, al di fuori dellarte di osare: la qual cosa in sé e per sé è da fuggire in grado, anche se è congiunta a buone doti; poiché si insegnava solo questo e il loro insegnamento era divenuto scuola dimpudenza, io ritenni che fosse dovere del censore provvedere a che esso non si diffondesse ancora di più
[95] Quamquam non haec ita statuo atque decerno, ut desperem Latine ea, de quibus disputavimus, tradi ac perpoliri posse, patitur enim et lingua nostra et natura rerum veterem illam excellentemque prudentiam Graecorum ad nostrum usum moremque transferri, sed hominibus opus est eruditis, qui adhuc in hoc quidem genere nostri nulli fuerunt; sin quando exstiterint, etiam Graecis erunt anteponendi

[XXV] [96] Ornatur igitur oratio genere primum et quasi colore quodam et suco suo; nam ut gravis, ut suavis, ut erudita sit, ut liberalis, ut admirabilis, ut polita, ut sensus, ut doloris habeat quantum opus sit, non est singulorum articulorum; in toto spectantur haec corpore
[95] Veramente io non vedo le cose in maniera tale, da disperare che i temi sui quali abbiamo discusso possano essere insegnati, o possano formare materia di eleganti trattati in lingua latina: infatti tanto la struttura della nostra lingua, quanto la natura delle cose permettono che quella antica e nobilissima sapienza greca sia adattata ai nostri bisogni e ai nostri costumi, Però occorrono uomini veramente colti; e uomini tali, almeno in questo campo, il nostro paese non ne ha finora prodotti: se un giorno ne spunteranno, da anteporre perfino ai Greci

[XXV] [96] Gli ornamenti del discorso, dunque, dipendono innanzi tutto dal suo carattere generale e, per dir così, dal suo colore e dal suo succo vitale; infatti la forza, la dolcezza, la dottrina, la nobiltà, leccellenza, leleganza, la giusta presenza di sensibilità e di pathos non sono doti che dipendano dalle singole membra: esse si possono ammirare in tutto il corpo

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De Oratore parte Libro 01; 11-15

Ut porro conspersa sit quasi verborum sententiarumque floribus, id non debet esse fusum aequabiliter per omnem orationem, sed ita distinctum, ut sint quasi in ornatu disposita quaedam insignia et lumina

[97] Genus igitur dicendi est eligendum, quod maxime teneat eos, qui audiant, et quod non solum delectet, sed etiam sine satietate delectet; non enim a me iam exspectari puto, ut moneam, ut caveatis, ne exilis, ne inculta sit vestra oratio, ne vulgaris, ne obsoleta; aliud quiddam maius et ingenia me hortantur vestra et aetates

[98] Difficile enim dictu est, quaenam causa sit, cur ea, quae maxime sensus nostros impellunt voluptate et specie prima acerrime commovent, ab eis celerrime fastidio quodam et satietate abalienemur

Quanto colorum pulcritudine et varietate floridiora sunt in picturis novis pleraque quam in veteribus
Ma quella, diciamo così, fioritura di parole e di pensieri, di cui è cosparso il discorso, non deve essere diffusa uniformemente in tutto il discorso, ma sparsa qua e là, in modo tale da far pensare a certi fregi e ricami che vediamo nelle decorazioni

[97] Bisogna scegliere uno stile che avvinca gli ascoltatori e che non solo li diletti, ma anche li diletti senza provocare sazietà; non vi aspetterete certo che io vi ammonisca ad evitare un discorso povero e rozzo, un discorso che contenga espressioni volgari e disusate; la vostra intelligenza e la vostra età mi esortano a parlarvi di cose piùimportanti

[98] difficile dire per quale motivo mai le cose che riescono più gradite ai nostri sensi e più fortemente ci colpiscono ai primo apparire, sono proprio quelle che più presto ci dànno fastidio e ci stancano

Nelle nuove pitture vi sono parecchie figure che per bellezza e varietà di colori superano quelle che si vedono nelle pitture antiche
Quae tamen, etiam si primo aspectu nos ceperunt, diutius non delectant; cum eidem nos in antiquis tabulis illo ipso horrido obsoletoque teneamur

Quanto molliores sunt et delicatiores in cantu flexiones et falsae voculae quam certae et severae

Quibus tamen non modo austeri, sed, si saepius fiunt, multitudo ipsa reclamat

[99] Licet hoc videre in reliquis sensibus unguentis minus diu nos delectari summa et acerrima suavitate conditis quam his moderatis, et magis laudari quod terram quam quod crocum olere videatur; in ipso tactu esse modum et mollitudinis et levitatis

Quin etiam gustatus, qui est sensus ex omnibus maxime voluptarius quique dulcitudine praeter ceteros sensus commovetur, quam cito id, quod valde dulce est, aspernatur ac respuit

Quis potione uti aut cibo dulci diutius potest
Di queste tuttavia, pur essendo rimasti colpiti ai primo sguardo, ben presto ci stanchiamo; mentre ci sentiamo attratti da quelle tinte rozze e disusate degli antichi quadri

Come ci riescono più gradevoli e più dolci, nel canto, i trilli e le voci in falsetto che i suoni sicuri e gravi

Però, se si ripetono con frequenza, non solo gli uomini austeri ma la stessa folla protesta

[99] Lo stesso si può notare negli altri sensi, che noi ci stanchiamo prima dei profumi troppo forti e acuti che dei moderati, ed è più apprezzato ciò che sa di terra che ciò che sa di zafferano; lo stesso tatto gode, ma fino a un certo punto, delle superficie molli e levigate

Anche il senso del gusto, che è tra tutti il più sensibile al piacere, e che più di tutti è schiavo della dolcezza, come si stanca presto di ciò che è troppo dolce

Chi può sopportare molto a lungo una bevanda o un cibo dolce

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Cum utroque in genere ea, quae leviter sensum voluptate moveant, facillime fugiant satietatem

[100] Sic omnibus in rebus voluptatibus maximis fastidium finitimum est; quo hoc minus in oratione miremur in qua vel ex poetis vel oratoribus possumus iudicare concinnam, distinctam, ornatam, festivam, sine intermissione, sine reprehensione, sine varietate, quamvis claris sit coloribus picta vel poesis vel oratio, non posse in delectatione esse diuturna

Atque eo citius in oratoris aut in poetae cincinnis ac fuco offenditur, quod sensus in nimia voluptate natura, non mente satiantur; in scriptis et in dictis non aurium solum, sed animi iudicio etiam magis infucata vitia noscuntur
Invece ci stanchiamo molto meno di ciò che ci procura un moderato piacere, tanto nel bere quanto nel mangiare

[100] Cosi in tutte le cose il sommo piacere confina con la noia; e di ciò tanto meno dobbiamo stupirei nellarte della parola: infatti sia i poeti che gli oratori ci insegnano che un carme o un discorso armonioso, brillante, elegante, piacevole, ma senza una pausa, senza una ripresa o varietà non può piacere a lungo, anche se è pieno di splendide immagini

Le ricercatezze e i falsi ornamenti di un oratore o di un poeta ci disgustano più presto, perché nel piacere materiale eccessivo la sazietà dei sensi deriva dalla natura e non dallintelletto; nelle opere scritte invece e nei discorsi i difetti, sia pure ammantati, sono riconosciuti non solo attraverso un giudizio delle orecchie, ma ancora di più attraverso un giudizio dellintelletto

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