Cicerone, De Natura deorum: Libro 01; 11-15, pag 4

Cicerone, De Natura deorum: Libro 01; 11-15

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Natura deorum parte Libro 01; 11-15
XIV [36] Zeno autem, ut iam ad vestros, Balbe, veniam, naturalem legem divinam esse censet, eamque vim obtinere recta imperantem prohibentemque contraria XIV [36] Venendo ora a parlare della scuola del nostro Balbo, vediamo che Zenone eleva a dignità divina la leggena turale cui assegna il compito di prescrivere ciò che è giusto e di vietare ciò che al giusto si oppone
Quam legem quo modo efficiat animantem intellegere non possumus; deum autem animantem certe volumus esse, atque hic idem alio loco aethera deum dicit: si intellegi potest nihil sentiens deus, qui numquam nobis occurrit neque in precibus neque in optatis neque in votis Come possa però fare di questa legge un'entità vivente non si riesce proprio a comprenderlo dal momento che per noi la divinità è fuori d'ogni dubbio un essere fornito di vita e per di più in un altro passo questo medesimo autore denomina dio l'etere: se si può concepire un dio che non abbia alcun rapporto sensibile col mondo esterno e che non si faccia innanzi a noi al momento in cui gli rivolgiamo le nostre preghiere, gli esponiamo i nostri desideri,formuliamo i nostri voti
Aliis autem libris rationem quandam per omnium naturam rerum pertinentem vi divina esse adfectam putat In altre opere è del parere che un principio razionale, espressione della potenza divina, permei il mondo

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Idem astris hoc idem tribuit, tum annis mensibus annorumque mutationibus Lo stesso concetto egli applica agli astri, ai mesi, agli anni ed alle stagioni
Cum vero Hesiodi Theogoniam, id est originem deorum, interpretatur, tollit omnino usitatas perceptasque cognitiones deorum; neque enim Iovem neque Iunonem neque Vestam neque quemquam, qui ita appelletur, in deorum habet numero, sed rebus inanimis atque mutis per quandam significationem haec docet tributa nomina Nel commentare la Teogonia (ossia l'origine degli dèi) di Esiodo toglie di mezzo tutte le usuali e tradizionali idee sulla divinità; non annovera fra gli dèi né Giove,né Giunone, né Vesta né alcun'altra divinità che abbia un nome qualsiasi, ma sostiene che questi nomi sono stati,attribuiti con valore allegorico agli esseri muti e inanimati

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[37] Cuius discipuli Aristonis non minus magno in errore sententiast, qui neque formam dei intellegi posse censeat neque in dis sensum esse dicat dubitetque omnino, deus animans necne sit [37] Non meno erronea la teoria del suo discepolo Aristone il quale ritiene che la forma della divinità supera la nostra facoltà intellettiva, esclude che gli dèi possano avere sensazioni e non è ben certo se la vita sia un elementoveramente essenziale della natura divina
Cleanthes autem, qui Zenonem audivit una cum eo, quem proxime nominavi, tum ipsum mundum deum dicit esse, tum totius naturae menti atque animo tribuit hoc nomen, tum ultimum et altissimum atque undique circumfusum et extremum omnia cingentem atque conplexum ardorem, qui aether nominetur, certissimum deum iudicat; idemque quasi delirans in his libris, quos scripsit contra voluptatem, tum fingit formam quandam et speciem deorum, tum divinitatem omnem tribuit astris, tum nihil ratione censet esse divinius Cleante, discepolo di Zenone al pari di quello di cui abbiamo appena parlato,ora identifica la divinità coi mondo, ora assegna questo nome allo spirito di cui sarebbe permeata la natura, ora designacon assoluta certezza come dio quella fascia dall'intenso calore collocata agli estremi confini dell'universo che cinge eracchiude in sé la totalità del mondo cui viene dato il nome di etere; è poi lo stesso a delineare, quasi in preda ad una sorta di follia, nel suo trattato Contro il piacere, una bendefinita immagine sensibile degli dèi o ad accentrare negli astri tutta l'essenza divina o a ritenere che nulla sia piú divino della ragione

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Ita fit, ut deus ille, quem mente noscimus atque in animi notione tamquam in vestigio volumus reponere, nusquam prorsus appareat Ne viene di conseguenza che quel dio di cui noi abbiamo contezza mercé la nostra intelligenza e del cuiconcetto desideriamo far tesoro imprimendolo nel nostro intimo non assume mai una reale consistenza
XV [38] At Persaeus eiusdem Zenonis auditor eos esse habitos deos, a quibus aliqua magna utilitas ad vitae cultum esset inventa, ipsasque res utiles et salutares deorum esse vocabulis nuncupatas, ut ne hoc quidem diceretilla inventa esse deorum, sed ipsa divina; quo quid absurdius quam aut res sordidas atque deformis deorum honore adficere aut homines iam morte deletos reponere in deos, quorum omnis cultus esset futurus in luctu XV [38] Perseo un altro discepolo di Zenone, afferma che furono considerati dei tutti coloro che avessero validamente contribuito con le loro scoperte al progresso della civiltà e col designare col nome degli dèi persino le utili e vantaggiose novità da essi introdotte fino al punto di sostenere che quelle tanto decantate scoperte nonfossero opera degli dèi ma avessero esse stesse natura divina; che vi può essere di più assurdo dell'elevare alla dignità divina delle realtà materiali prive di ogni valore e di ogni prestanza o dell'annoverare fra gli dèi degli uominiusciti da questa vita ai quali l'unico onore che si possa rendere rimane quello del compianto

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[39] Iam vero Chrysippus, qui Stoicorum somniorum vaferrumus habetur interpres, magnam turbam congregat ignotorum deorum, atque ita ignotorum, ut eos ne coniectura quidem informare possimus, cum mens nostra quidvis videatur cogitatione posse depingere [39] Crisippo, infine, comunemente considerato come il più acuto illustratore delle sognanti fantasie degli stoici,introduce una gran massa di divinità sconosciute, tanto sconosciute da impedirne una rappresentazione anchecongetturale, benché il nostro pensiero abbia la facoltà di rappresentarsi qualsiasi oggetto

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