Cicerone, De Natura deorum: Libro 01; 11-15

Cicerone, De Natura deorum: Libro 01; 11-15

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Natura deorum parte Libro 01; 11-15

XI Inde Anaxagoras, qui accepit ab Anaximene disciplinam, primus omnium rerum discriptionem et modum mentis infinitae vi ac ratione dissignari et confici voluit:in quo non vidit neque motum sensu iunctum et [in] continentem infinito ullum esse posse, neque sensum omnino, quo non ipsa natura pulsa sentiret XI Quindi Anassagora, continuatore delle dottrine di Anassimene, concepì per primo che la disposizione dell'universo fosse dovuta e realizzata dall’attività e dalla intelligenza di una mente infinita : e in tale affermazione non si avvide che non può esistere un moto sensibile unito e connesso all'infinito e che non può esservi sensazione se non quando la stessa natura colpita abbia delle sensazioni
Deinde si mentem istam quasi animal aliquod voluit esse, erit aliquid interius, ex quo illud animal nominetur; quid autem interius mente: cingatur igitur corpore externo; [27] quod quoniam non placet, aperta simplexque mens nulla re adiuncta, quae sentire possit, fugere intellegentiae nostrae vim et notionem videtur Inoltre se codesta mente è come una sorta di creatura vivente, dovrà esistere un principio interno da cui quella creatura prende il nome; cosa v'è di più interno della mente:la si dovrà allora immaginare rivestita di un involucro corporeo;[27] poiché questo egli non lo ammette, la sua mente pura e semplice, non unita ad alcuna cosa che ne permetta una attività sensibile, sembra sfuggire ogni nostra capacità di comprensione
Crotoniates autem Alcmaeo, qui soli et lunae reliquisque sideribus animoque praeterea divinitatem dedit, non sensit sese mortalibus rebus immortalitatem dare Il crotoniate Alcmeone poi, che attribuì natura divina al sole, alla luna e ai rimanenti corpi celesti, nonché all'anima, non s'accorse che attribuiva l'immortalità ad esseri mortali

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Cicerone, De Natura deorum: Libro 01; 16-20
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Latino: dall'autore Cicerone, opera De Natura deorum parte Libro 01; 16-20

Nam Pythagoras, qui censuit animum esse per naturam rerum omnem intentum et commeantem, ex quo nostri animi carperentur, non vidit distractione humanorum animorum discerpi et lacerari deum, et cum miseri animi essent, quod plerisque contingeret, tum dei partem esse miseram, quod fieri non potest Infatti Pitagora che concepì che ci fosse un'anima diffusa e circolante in tutta la natura dalla quale trarrebbero origine le nostre anime individuali, non s'avvide che codesta separazione delle anime umane provocherebbe una lacerazione della sostanza divina e che, poiché gli anomi umani sono infelice, cosa che tocca la maggior parte, allora anche una parte della divinità è infelice, cosa che non può accadere
[28] Cur autem quicquam ignoraret animus hominis, si esset deus [28] Come potrebbe poi l'animo umano ignorare qualcosa se fosse dio

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De Natura deorum parte Libro 02; 61-67

Quo modo porro deus iste, si nihil esset nisi animus, aut infixus aut infusus esset in mundo E in che modo codesto dio, se esso non fosse altro che un'anima, sarebbe stato inserito e infuso nel mondo
Tum Xenophanes, qui mente adiuncta omne praeterea, quod esset infinitum, deum voluit esse, de ipsa mente item reprehendetur ut ceteri, de infinitate autem vehementius, in qua nihil neque sentiens neque coniunctum potest esse Poi Senofane, che, con l’aggiungere un principio intelligente, oltre al tutto che è infinito, volle identificarlo con la divinità, è ripreso come gli altri, sulla sua concezione della mente, e più severamente sul suo infinito, in cui non può esserci niente che abbia sensazione né alcun contatto con l'esterno

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De Natura deorum parte Libro 03; 01-05

Nam Parmenides quidem commenticium quiddam: coronae similem efficit (stephanen appellat) continente ardore lucis orbem, qui cingit caelum, quem appellat deum; in quo neque figuram divinam neque sensum quisquam suspicari potest Poi Parmenide, vi è un non so che di fantastico quando immagina come una corona (che egli chiama appunto stephanen ), che con una vivida luce avvolge il cielo, cui attribuisce il nome di dio,senza che in esso si possa scorgere né l'aspetto di un dio né un moto sensibile
Multaque eiusdem monstra, quippe qui bellum, qui discordiam, qui cupiditatem ceteraque generis eiusdem ad deum revocet, quae vel morbo vel somno vel oblivione vel vetustate delentur; eademque de sideribus, quae reprehensa in alio iam in hoc omittantur Ed elaborò tutte le altre fantasiose teorie che attribuiscono natura divina alla guerra, alla discordia, alla passione e ad altre siffatte entità, benché possano essere distrutte delle malattie, del sonno, dell'oblio e dei tempo; lo stesso concetto di divinità estende anche agli astri, ma poiché tale teoria è stata confutata a proposito di un altro pensatore, si omette qui di parlarne

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De Natura deorum parte Libro 02; 11-15

XII [29] Empedocles autem multa alia peccans in deorum opinione turpissume labitur XII [29] Empedocle, sbagliando molte altre errate teorie, l'errore piú grosso lo commette proprio a proposito degli dèi

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