accessit et ad pestilentia, commune malum, quod facile utrorumque animos auerteret a belli consiliis nam tempore autumni et locis natura grauibus, multo tamen magis extra urbem quam in urbe, intoleranda uis aestus per utraque castra omnium ferme corpora mouit ac primo temporis ac loci uitio et aegri erant et moriebantur; postea curatio ipsa et contactus aegrorum uolgabat morbos, ut aut neglecti desertique qui incidissent morerentur aut adsidentes curantesque eadem ui morbi repletos secum traherent, cotidianaque funera et mors ob oculos esset et undique dies noctesque ploratus audirentur |
Sopraggiunse, invece, una pestilenza che colpì tutti e che facilmente distolse da piani di guerra gli animi degli uni e degli altri Infatti, in autunno in quei luoghi per natura malsani, per quanto molto più all'esterno che all'interno della città, la violenza intollerabile del caldo aveva danneggiato la salute di tutti negli accampamenti di ambedue le parti Dapprima la gente si ammalava e moriva solo per colpa della stagione e del luogo; poi il fatto stesso delle cure e del contatto fra ammalati diffondeva il morbo in modo che, o coloro che erano colpiti dal flagello morivano trascurati ed abbandonati, oppure i morenti trascinavano con sé quelli che li assistevano e li curavano, appestati dalla virulenza del male; cosicché morte e funerali erano per tutti spettacolo quotidiano e giorno e notte da ogni parte si udivano pianti |
postremo ita adsuetudine mali efferauerant animos, ut non modo lacrimis iustoque comploratu prosequerentur mortuos sed ne efferrent quidem aut sepelirent, iacerentque strata exanima corpora in conspectu similem mortem exspectantium, mortuique aegros, aegri ualidos cum metu, tum tabe ac pestifero odore corporum conficerent; et ut ferro potius morerentur, quidam inuadebant soli hostium stationes multo tamen uis maior pestis Poenorum castra quam Romana adfecerat; nam Romani diu circumsedendo Syracusas caelo aquisque adsuerant magis |
Alla fine la consuetudine col male aveva talmente reso crudele l'animo degli uomini, che non solo non si accompagnavano i morti con le lacrime e col dovuto compianto, ma neppure si portavano via o si seppellivano; i corpi esanimi giacevano distesi al suolo sotto gli sguardi di coloro che erano in attesa di una simile morte; intanto i cadaveri consumavano del tutto i malati e i malati i sani sia con la paura, sia con il pestifero fetore dei corpi in decomposizione; alcuni, pertanto, volendo piuttosto morire di ferro, davano da soli l'assalto ai presidi nemici La violenza del contagio aveva, tuttavia, colpito di più gli accampamenti dei Cartaginesi che quelli dei Romani, poiché questi, assediando da lungo tempo Siracusa, si erano maggiormente abituati a quel clima ed a quelle acque |
ex hostium exercitu Siculi, ut primum uidere ex grauitate loci uolgari morbos, in suas quisque propinquas urbes dilapsi sunt; at Carthaginienses, quibus nusquam receptus erat, cum ipsis ducibus Hippocrate atque Himilcone ad internecionem omnes perierunt Marcellus, ut tanta uis ingruebat mali, traduxerat in urbem suos, infirmaque corpora tecta et umbrae recreauerant multi tamen ex Romano exercitu eadem peste absumpti sunt (27) Deleto terrestri Punico exercitu Siculi, qui Hippocratis milites fuerant, haud magna oppida, ceterum et situ et munimentis tuta; tria milia alterum ab Syracusis, alterum quindecim abest eo et commeatus e ciuitatibus suis comportabant et auxilia accersebant |
I Siciliani che erano nell'esercito nemico, come videro che la pestilenza si diffondeva a causa dell'insalubrità del luogo, fuggirono ciascuno verso la sua città che vicina; i Cartaginesi, invece, che non potevano avere alcun rifugio , morirono tutti fino all'ultimo insieme con gli stessi loro comandanti Ippocrate ed Imilcone Marcello di fronte alla violenza del morbo aveva trasferito i suoi soldati in città, dove essi, riparati dall'ombra delle case, avevano riconfortato i corpi infermi Tuttavia, anche nell'esercito romano molti morirono a causa di quella epidemia 27 Distrutto così dalla pestilenza l'esercito cartaginese, i Siciliani che erano stati soldati di Ippocrate avevano occupato due città piccole ma ben difese per posizione e per fortificazioni, l'una distante tre miglia da Siracusa, l'altra quindici miglia Là essi trasportavano i rifornimenti dalle loro città e vi concentravano le milizie ausiliarie |
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Livio, Ab urbe condita: Libro 22; 41-50
Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 22; 41-50
interea Bomilcar iterum cum classe profectus Carthaginem, ita exposita fortuna sociorum, ut spem faceret non ipsis modo salutarem opem ferri posse sed Romanos quoque in capta quodam modo urbe capi, perpulit ut onerarias naues quam plurimas omni copia rerum onustas secum mitterent classemque suam augerent igitur centum triginta nauibus longis, septingentis onerariis profectus a Carthagine satis prosperos uentos ad traiciendum in Siciliam habuit; sed iidem uenti superare eum Pachynum prohibebant Bomilcaris aduentus fama primo, dein praeter spem mora cum gaudium et metum in uicem Romanis Syracusanisque praebuisset, Epicydes metuens ne, si pergerent iidem qui tum tenebant ab ortu solis flare per dies plures uenti, classis Punica Africam repeteret, tradita Achradina mercennariorum militum ducibus ad Bomilcarem nauigat |
Frattanto Bomilcare, partito di nuovo con la flotta per Cartagine, aveva comunicato le condizioni degli alleati, in modo da far nascere la speranza di potere non solo recare ad essi un valido aiuto, ma anche di far prigionieri in qualche modo i Romani, pur nella città già da essi occupata; egli indusse perciò i Cartaginesi a mandare con lui il più gran numero possibile di navi da carico piene di ogni sorta di rifornimenti per accrescere la sua flotta Partito da Cartagine con centotrenta navi da guerra e settecento da carico, incontrò venti abbastanza favorevoli per passare in Sicilia; tuttavia, quegli stessi venti gli impedirono di superare il promontorio Pachino Dapprima la notizia dell'arrivo di Bomilcare, poi il ritardo insperato avevano provocato nei Romani e nei Siracusani ora gioia ora apprensione; Epicide allora, temendo che la flotta cartaginese ritornasse di nuovo a navigare verso l'Africa, se gli stessi venti avessero continuato per più giorni a soffiare da occidente, consegnata l'Acradina ai capi dei soldati mercenari, fece vela incontro a Bomilcare |
classem in statione uersa in Africam habentem atque timentem nauale proelium, non tam quod impar uiribus aut numero nauium esset, quippe etiam plures habebat, quam quod uenti aptiores Romanae quam suae classi flarent, perpulit tamen ut fortunam naualis certaminis experiri uellet et Marcellus, cum et Siculum exercitum ex tota insula conciri uideret et cum ingenti commeatu classem Punicam aduentare, ne simul terra marique inclusus urbe hostium urgeretur, quamquam impar numero nauium erat, prohibere aditu Syracusarum Bomilcarem constituit duae classes infestae circa promunturium Pachynum stabant, ubi prima tranquillitas maris in altum euexisset, concursurae |
Per quanto questi tenesse la flotta ancorata in direzione dell'Africa, nel timore di dover affrontare una battaglia navale, non perché fosse impari di forza o di numero di navi, ché anzi ne aveva di più, ma solo perché i venti erano più favorevoli ai Romani che a lui, fu, tuttavia, spinto da Epicide a tentare la fortuna con uno scontro in mare Marcello, vedendo che da tutta l'isola si raccoglieva un esercito di Siciliani e che una flotta cartaginese si avvicinava con un gran carico di rifornimenti, per non essere messo alle strette dal nemico e per mare e per terra contemporaneamente, serrato nella città, sebbene disponesse di un minor numero di navi, decise di impedire a Bomilcare l'accesso a Siracusa Le due flotte nemiche stavano nei pressi del promontorio Pachino pronte all'assalto, appena il mare divenuto tranquillo avesse dato a loro la possibilità di portarsi fuori al largo |
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Livio, Ab urbe condita: Livio 41; 11 - 15
Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Livio 41; 11 - 15
itaque cadente iam Euro, qui per dies aliquot saeuierat, prior Bomilcar mouit; cuius primo classis petere altum uisa est, quo facilius superaret promunturium; ceterum postquam tendere ad se Romanas naues uidit, incertum qua subita territus re, Bomilcar uela in altum dedit missisque nuntiis Heracleam qui onerarias retro Africam repetere iuberent ipse Siciliam praeteruectus Tarentum petit Epicydes, a tanta repente destitutus spe, ne in obsidionem magna ex parte captae urbis rediret, Agrigentum nauigat, exspectaturus magis euentum quam inde quicquam moturus |
Pertanto, allorché il vento Euro, che per alcuni giorni aveva imperversato, cessò di soffiare, per primo si mosse Bomilcare, le cui navi apparvero dinanzi a tutte mentre prendevano il corso verso l'alto mare, per superare più facilmente il promontorio; come Bomilcare vide che la flotta romana si dirigeva verso di lui, assalito da non si sa quale improvvisa paura, prese il largo ed inviò messi ad Eraclea con l'ordine di far ripiegare indietro verso l'Africa le navi da carico; egli stesso, oltrepassata la Sicilia, si diresse verso Taranto Epicide, come vide perduta improvvisamente una così grande speranza, per non ritornare a rischiare l'assedio di una città in gran parte già occupata, fece vela verso Agrigento per attendere là ciò che sarebbe accaduto, più che per preparare qualche piano partendo da quel luogo |
(28) Quae ubi in castra Siculorum sunt nuntiata Epicyden Syracusis excessisse, a Carthaginiensibus relictam insulam et prope iterum traditam Romanis, legatos de condicionibus dedendae urbis explorata prius per conloquia uoluntate eorum qui obsidebantur ad Marcellum mittunt cum haud ferme discreparet, quin quae ubique regum fuissent Romanorum essent, Siculis cetera cum libertate ac legibus suis seruarentur, euocatis ad conloquium iis quibus ab Epicyde creditae res erant, missos se simul ad Marcellum, simul ad eos ab exercitu Siculorum aiunt, ut una omnium qui obsiderentur quique extra obsidionem fuissent fortuna esset neue alteri proprie sibi paciscerentur quicquam |
28 Allorché questi avvenimenti furono noti negli accampamenti dei Siciliani, cioè che Epicide era uscito da Siracusa, che l'Isola' era stata abbandonata dai Cartaginesi e quasi per la seconda volta era stata consegnata ai Romani, dopo aver indagato per mezzo di colloqui l'intenzione di coloro che erano assediati, i Siciliani inviarono dei messi a Marcello per trattare le condizioni di resa della città Poiché non v'era alcun disaccordo sul fatto che toccasse in possesso ai Romani tutto quanto era di proprietà dei re, in qualunque luogo si trovasse, e che ai Siciliani, invece, fosse conservato tutto il resto insieme con la libertà e le lor proprie leggi, i messi convocarono a colloquio coloro ai quali Epicide aveva affidato ogni cosa; li informarono di essere stati mandati da parte dell'esercito siracusano contemporaneamente a Marcello ed a loro, affinché unica fosse la sorte di tutti, sia di quelli che erano assediati sia di coloro che si trovavano fuori della città assediata, perché né gli uni né gli altri potessero fare patti esclusivamente nel proprio interesse |
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Livio, Ab urbe condita: Libro 24; 31-40
Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 24; 31-40
recepti deinde ab iis, ut necessarios hospitesque adloquerentur, expositis quae pacta iam cum Marcello haberent, oblata spe salutis perpulere eos ut secum praefectos Epicydis Polyclitum et Philistionem et Epicyden, cui Sindon cognomen erat, adgrederentur interfectis iis et multitudine ad contionem uocata inopiam quaeque ipsi inter se fremere occulte soliti erant conquesti, quamquam tot mala urgerent, negarunt fortunam accusandam esse quod in ipsorum esset potestate quam diu ea paterentur; Romanis causam oppugnandi Syracusas fuisse caritatem Syracusanorum, non odium; nam ut occupatas res ab satellitibus Hannibalis, deinde Hieronymi, Hippocrate atque Epicyde, audierint, tum bellum mouisse et obsidere urbem coepisse, ut crudeles tyrannos eius, non ut ipsam urbem expugnarent |
Ricevuti poi da quelli ai quali le cose erano state affidate e che si trovavano nella città per parlare coi loro parenti ed ospiti intorno a ciò che era stato pattuito con Marcello, per offrire a loro una speranza di salvezza, li indussero ad aggredire insieme con loro i prefetti di Epicide, Policeto, Filistione e quell'Epicide che era soprannominato Sindone Assassinati costoro e convocata in assemblea la moltitudine, lamentata la carestia e deprecate tutte quelle circostanze delle quali erano soliti lagnarsi in segreto fra loro, affermarono che, nonostante i Siracusani fossero afflitti da tante sventure, pure non dovevano accusare la fortuna, dal momento che era in loro potere stabilire per quanto tempo ancora essi dovessero soffrire; la ragione per cui i Romani si erano volti contro Siracusa non era stata l'odio, ma l'amore; infatti, come seppero che Ippocrate ed Epicide, prima complici di Annibale, poi di Geronimo, avevano preso il potere in Siracusa, i Romani avevano mosso guerra ed avevano cominciato ad assediare la città per annientare i suoi crudeli tiranni, non la città stessa |
Hippocrate uero interempto, Epicyde intercluso ab Syracusis et praefectis eius occisis, Carthaginiensibus omni possessione Siciliae terra marique pulsis quam superesse causam Romanis cur non, perinde ac si Hiero ipse uiueret unicus Romanae amicitiae cultor, incolumes Syracusas esse uelint itaque nec urbi nec hominibus aliud periculum quam ab semet ipsis esse, si occasionem reconciliandi se Romanis praetermisissent; eam autem, qualis illo momento horae sit, nullam deinde fore, si simul liberatas ab impotentibus tyrannis apparuisset (29) Omnium ingenti adsensu audita ea oratio est praetores tamen prius creari quam legatos nominari placuit |
Tolto di mezzo Ippocrate, allontanato Epicide dai Siracusani ed uccisi i suoi luogotenenti; cacciati per terra per mare i Cartaginesi da ogni possesso della Sicilia, quale ragione restava ai Romani perché essi non volessero salva Siracusa, come ai tempi in cui viveva Gerone, il solo che avesse serbato amicizia ai Romani Pertanto, né la città né i suoi abitanti correvano altro pericolo se non quello che poteva venire da loro stessi, se si fossero lasciata sfuggire l'opportunità di riconciliarsi coi Romani; tale occasione, infatti, come quella che si offriva a loro in quel momento, non si sarebbe più presentata se fosse apparso chiaro che i Siracusani si sarebbero consegnati ai Romani appena la città si fosse liberata dai suoi impotenti tiranni 29 Questo discorso fu accolto col consenso di tutti Si deliberò di eleggere i governatori prima di nominare gli ambasciatori |
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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 34; 31 - 34
ex ipsorum deinde praetorum numero missi oratores ad Marcellum, quorum princeps neque primo, inquit, Syracusani a uobis defecimus sed Hieronymus, nequaquam tam in uos impius quam in nos, nec postea pacem tyranni caede compositam Syracusanus quisquam sed satellites regii Hippocrates atque Epicydes oppressis nobis hinc metu hinc fraude turbauerunt nec quisquam dicere potest aliquando nobis libertatis tempus fuisse quod pacis uobiscum non fuerit nunc certe caede eorum qui oppressas tenebant Syracusas cum primum nostri arbitrii esse coepimus, extemplo uenimus ad tradenda arma, dedendos nos, urbem, moenia, nullam recusandam fortunam quae imposita a uobis fuerit gloriam captae nobilissimae pulcherrimaeque urbis Graecarum dei tibi dederunt, Marcelle |
Fra quei magistrati furono poi scelti i messi che avrebbero dovuto trattare con Marcello; il capo di questa ambasceria così parlò: La prima volta non fummo noi Siracusani ad abbandonare l'alleanza con voi, ma Geronimo che, così facendo, non danneggiò voi quanto noi; più tardi quei rapporti pacifici che si erano stabiliti dopo l'uccisione del tiranno non furono turbati da alcun Siracusano, ma dai complici del re, Ippocrate ed Epicide, che ci oppressero ora con la paura ora con l'inganno Né alcuno può affermare che mai vi è stato per noi tempo di libertà che non sia stato anche periodo di pace con voi ora, con l'uccisione di coloro che tenevano oppressa Siracusa, appena noi cominciammo ad essere arbitri della nostra sorte, subito venimmo a voi per consegnarvi le armi, per dare nelle vostre mani noi stessi, la città, le mura, senza rifiutare alcuna condizione che voi avreste voluto imporci Gli dei ti hanno dato, Marcello, la gloria di esserti impadronito della più nobile e della più bella delle città greche |