Livio, Ab urbe condita: Libro 42; 16 - 31, pag 2

Livio, Ab urbe condita: Libro 42; 16 - 31

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 42; 16 - 31
Aucta etiam invidia est Popili litteris [eius], quibus iterum cum Statellatibus Liguribus proconsul pugnasse se scripsit ac sex milia eorum occidisse; propter cuius iniuriam belli ceteri quoque Ligurum populi ad arma ierunt

Tum vero non absens modo Popilius, qui deditis contra ius ac fas bellum intulisset -et- pacatos ad rebellandum incitasset, sed consules, quod non exirent in provinciam, in senatu increpiti

Hoc consensu patrum accensi M Marcius Sermo et Q Marcius Scilla, tribuni plebis, et consulibus multam se dicturos, nisi in provinciam exirent, denuntiarunt, et rogationem, quam de Liguribus deditis promulgare in animo haberent, in senatu recitarunt
L'odiosità di Popilio fu accresciuta da una sua lettera, colla quale il proconsole comunicò di aver combattuto ancora contro i Liguri Statellati e di averne uccisi seimila; per l'affronto di quell'attacco anche gli altri popoli Liguri si erano levati in armi

Allora non soltanto Popilio, lontano da Roma, che aveva portato guerra contro ogni diritto umano e divino a genti che avevano capitolato -e`- le aveva istigate a ribellarsi dopo pacificate, ma anche i consoli furono violentemente attaccati in senato, per non essere ancora andati nella provincia

Sospinti da codesto consenso dei padri M Marcio Sermone e Q Marcio Scilla, tribuni della plebe, e proclamarono che avrebbero multato i consoli, se non si recavano nella provincia e lessero in senato una proposta di legge che avevano intenzione di presentare sul caso dei Liguri che si erano arresi
Sanciebatur, ut, qui ex Statellis deditis in libertatem restitutus ante kal Sextiles primas non esset, cuius dolo malo is in servitutem venisset, ut iuratus senatus decerneret, qui eam rem quaereret animadverteretque

Ex auctoritate deinde senatus eam rogationem promulgarunt

Priusquam proficiscerentur consules, C Cicereio, -praetori- prioris anni, ad aedem Bellonae senatus datus est

iIs expositis, quas in Corsica res gessisset, postulatoque frustra triumpho, in monte Albano, quod iam in morem venerat, ut sine publica auctoritate fieret, triumphavit

Rogationem Marciam de Liguribus magno consensu plebes scivit iussitque

Ex eo plebiscito C Licinius praetor consuluit senatum, quem quaerere ea rogatione vellet

Patres ipsum eum quaerere iusserunt
Vi era stabilito che il senato sotto giuramento decidesse chi doveva fare l'inchiesta e prendere provvedimenti contro colui, per cui frode erano stati ridotti in condizione di schiavi quanti degli Statelli, che avevano accettata la resa, non erano stati liberati alla data delle prossime calende di Luglio

Poi con l'autorizzazione del senato presentarono quella proposta

Prima della partenza dei consoli, a G Cicereio, -pretore- dell'anno avanti fu data udienza in senato presso il tempio di Bellona

Dopo aver riferito delle sue imprese in Corsica e aver invano richiesto il trionfo, lo celebrò sul monte Albano, come già si usava, per fare a meno dell'approvazione ufficiale del senato

La proposta di Marcio nei riguardi dei Liguri, con grande entusiasmo fu accolta e sanzionata dalla plebe

In base a questo decreto della plebe il pretore G Licinio interpellò il senato sulla persona che secondo quella proposta avrebbe dovuto svolger l'inchiesta

Il senato l'affidò a lui
[22] Tum demum consules in provinciam profecti sunt exercitumque a M Popilio acceperunt

Neque tamen M Popilius reverti Romam audebat, ne causam diceret adverso senatu, infestiore populo, apud praetorem, qui de quaestione in se -pro-posita senatum consuluisset

Huic detractationi eius tribuni plebis alterius rogationis denuntiatione occurrerunt, ut, si non ante idus Novembres in urbem Romam introisset, de absente eo C Licinius statueret ac iudicaret

Hoc tractus vinculo cum redisset, ingenti cum invidia in senatum venit

Ibi cum laceratus iurgiis multorum esset, senatus consultum factum est, ut, qui Ligurum post Q Fulvium L Manlium consules hostes non fuissent, ut eos C Licinius Cn Sicinius praetores in libertatem restituendos curarent, agrumque iis trans Padum consul C Popilius daret
[22] Solo allora i consoli partirono per la provincia e ricevettero l'esercito da M Popilio

Questi però non aveva il coraggio di tornare a Roma, per non doversi discolpare, avendo il senato ostile e più ostile la plebe, dinanzi al pretore che aveva interrogato il senato a proposito dell'inchiesta presentata contro di lui

A codesto suo rifiuto di comparizione reagirono i tribuni della plebe con la minaccia di un'altra proposta di legge, per la quale se non fosse rientrato nella città prima delle idi di Novembre, G Licinio avrebbe dovuto procedere contro di lui in contumacia

Indotto da questa necessità fece ritorno e si presentò al senato tra la più grande ostilità

Ed ivi oltraggiato con gravi improperi da molti, fu presa la deliberazione che i pretori G Licinio e Gn Sicinio provvedessero a restituire alla condizione di liberi quei Litiri che a partire dal consolato di Q Fulvio e L Manlio non si erano comportati più da nemici e che il console G Popilio assegnasse loro terre oltre il Po

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Livio, Ab urbe condita: Libro 28; 20 - 22
Livio, Ab urbe condita: Libro 28; 20 - 22

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 28; 20 - 22

Multa milia hominum hoc senatus consulto restituta in libertatem, transductisque Padum ager est adsignatus

M Popilius rogatione Marcia bis apud C Licinium causam dixit; tertio praetor, gratia consulis absentis et Popiliae familiae precibus victus, idibus Martiis adesse reum iussit, quo die novi magistratus inituri erant honorem, ne diceret ius, qui privatus futurus esset

Ita rogatio de Liguribus arte fallaci elusa est

[23] Legati Carthaginienses eo tempore Romae erant et Gulussa, filius Masinissae

Inter eos magnae contentiones in senatu fuere
Per questo decreto del senato molte migliaia di persone riottennero la libertà e, fatte passare al di là del l'o, ricevettero assegnazione di terre

M Popilio per effetto della legge Marcia due volte si difese dinanzi a G Licinio; la terza volta il pretore, cedendo al desiderio di far cosa grata al console assente nonché alle suppliche della famiglia dei Popilii, convocò l'accusato per le idi di Marzo, quando i nuovi magistrati dovevano entrare in carica, per evitare di pronunciar la sentenza lo stesso giorno in cui egli scadeva dalla sua

Così la legge sui Liguri con abile astuzia fu aggirata

[23] In quel tempo si trovavano a Roma i legati Cartaginesi e Gulussa, figlio di Massinissa

Fra loro corsero gravi contrasti in senato
Carthaginienses querebantur, praeter agrum, de quo ante legati ab Roma, qui -in- re praesenti cognoscerent, missi essent, amplius septuaginta oppida castellaque agri Carthaginiensis biennio proxumo Masinissam vi atque armis possedisse: id illi, cui nihil pensi sit, facile esse

Carthaginienses foedere inligatos silere; prohiberi enim extra fines efferre arma; quamquam sciant in svis finibus, si inde Numidas pellerent, se gesturos bellum, illo haud ambiguo capite foederis deterreri, quo diserte vetentur cum sociis populi Romani bellum gerere

Sed iam ultra superbiam crudelitatemque et avaritiam eius pati non posse Carthaginienses
I Cartaginesi si dolevano che oltre al territorio, per la cui contestazione erano stati già inviati da Roma legati col compito d'informarsi sul posto, più di settanta tra borghi e luoghi fortificati appartenenti al territorio cartaginese, negli ultimi due anni, erano caduti in potere di Massinissa in seguito ad azioni di forza: e ciò era facile per un uomo, come lui, senza scrupoli

I Cartaginesi imbrigliati dalle clausole del trattato di pace avevano lasciato fare perché non potevano avanzare armati oltre i propri confini; quantunque sapessero bene che la guerra, se i Numidi ne venivano ricacciati, si sarebbe svolta entro i propri confini, erano distolti da ogni possibilità di reagire per quel non oscuro punto del trattato, che espressamente faceva loro divieto di muover guerra agli alleati del popolo romano

Ma ormai i Cartaginesi non potevano più sopportare l'arroganza, la crudeltà, 1'avidità di Massinissa

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 34; 01 - 04

Missos esse -se-, qui orarent senatum, ut trium harum rerum unam ab se impetrari sinerent: ut vel ex aequo in-ter regem- socium populumque -Carthaginiensem-, quid cuiusque esset, disceptarent; vel permitterent Carthaginiensibus, ut adversus iniusta arma pio iustoque se tutarentur bello; vel ad extremum, si gratia plus quam veritas apud eos valeret, semel statuerent, quid donatum ex alieno Masinissae vellent

Modestius certe daturos eos, et -se- scituros, quid dedissent; ipsum nullum praeterquam suae libidinis arbitrio -finem- facturum

Horum si nihil impetrarent, et aliquod suum post datam a P Scipione pacem delictum esset, ipsi potius animadverterent in se
Erano stati inviati a scongiurare il senato che almeno una di queste tre richieste gli permettesse di veder soddisfatte: o che si pronunciasse secondo un criterio di imparzialità fra il -re- alleato e il popolo -cartaginese- su ciò che apparteneva a ciascuna delle parti; o permettesse ai Cartaginesi di difendersi con una guerra santa e giusta contro l'ingiustizia della forza, o in caso estremo, se contava più per i Romani il desiderio di favorire gli amici, che di considerare obiettivamente la situazione, stabilisse una volta per sempre qual parte voleva fosse data in dono a Massinissa del territorio non suo

I Romani gliene avrebbero assegnata almeno con minore larghezza ed essi avrebbero conosciuta l'entità del dono; Massinissa invece non avrebbe posto -alcun limite all'arbitrio tranne quello della sua cupidigia sfrenata

Se nessuna di queste richieste fosse soddisfatta e dopo la pace concessa da P Scipione essi si fossero resi colpevoli di una anche minima infrazione, fossero loro, i Romani, piuttosto, a prendere i dovuti provvedimenti nei propri confronti
Tutam servitutem se sub dominis Romanis quam libertatem expositam ad iniurias Masinissae malle; perire denique semel ipsis satius esse, quam sub acerbissimi carnificis arbitrio spiritum ducere

Sub haec dicta lacrimantes procubuerunt stratique humi non sibi magis misericordiam quam regi -invidiam conciliarunt-

[24] Interrogari Gulussam placuit, quid ad ea responderet, aut, si prius mallet expromere, super qua re Romam venisset

Gulussa neque sibi facile esse dixit de iis rebus agere, de quibus nihil mandati a patre haberet, neque patri facile fuisse mandare, cum Carthaginienses nec, de qua re acturi essent, nec omnino ituros se Romam indicaverint

In aede Aesculapi clandestinum eos per aliquot noctes consilium principum habuisse, unde * * praeterea legatos occultis cum mandatis Romam mitti
Preferivano una schiavitù posta al riparo di crudeltà sotto il dominio romano ad una libertà aperta alle angherie d'ogni sorta di Massinissa; insomma era meglio per loro morire una volta per sempre che durar la vita sotto l'arbitrio di così crudele carnefice

A queste parole piangendo si prostrarono e a terra distesi non tanto pietà per sé quanto -ostilità- contro il re -riuscirono a suscitare-

[24] Fu deciso di sentire Gulussa, che cosa fosse: in grado di rispondere o, se così preferiva, di farsi esporre prima da lui le ragioni della sua venuta a Roma

Gulussa disse che né era facile per lui trattar di argomenti, per i quali non aveva nessun esplicito mandato dal padre, né sarebbe stato facile per suo padre affidargli un mandato, dal momento che i Cartaginesi si erano guardati bene dal rivelare i propositi della loro azione, anzi addirittura la decisione di recarsi a Roma

Nel tempio di Esculapio avevano tenuto per alcune notti di seguito un consiglio clandestino di anziani, di cui -nient'altro si era venuto a sapere- se non l'invio di una missione a Roma con incarichi segreti

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 39; 51 - 56

Eam causam fuisse patri mittendi se Romam, qui deprecaretur senatum, ne quid communibus inimicis criminantibus se -crederent-, quem ob nullam aliam causam nisi propter constantem fidem erga populum Romanum odissent

His utrimque auditis senatus, de postulatis Carthaginiensium consultus, responderi ita iussit: Gulussam placere extemplo in Numidiam proficisci et nuntiare patri, ut de iis, de quibus Carthaginienses querantur, legatos quam primum ad senatum mittat denuntietque Carthaginiensibus, ut ad disceptandum veniant

Se alia, quae possent, Masinissae honoris causa et fecisse et facturos esse; ius gratiae non dare

Agrum, qua cuiusque sit, possideri velle, nec novos statuere fines, sed veteres observare in animo habere
Questo era il motivo per cui suo padre l'aveva mandato a Roma, scongiurare il senato a non -prestar fede- alcuna alle accuse di comuni nemici contro un re, che essi odiavano soltanto per la sua indefettibile lealtà verso Roma

Sentite così le due parti, il senato interpellato a proposito delle richieste cartaginesi fece rispondere che Gulussa doveva ripartir subito per la Numidia e riferire al padre l'invito ad inviare prima possibile un'ambasceria al senato sulle doglianze dei Cartaginesi e a notificare a questi un incontro, per trattare la questione

Il senato aveva e avrebbe fatto ogni altra cosa possibile per rendere onore a Massinissa, ma non si sentiva disposto a sacrificar la giustizia al desiderio di compiacerlo

Era sua intenzione che mantenessero il possesso del territorio, ciascuno per la parte che gli apparteneva, e non intendeva fissare nuovi confini, sebbene che fossero conservati gli antichi
Carthaginiensibus victis se et urbem et agros concessisse, non ut in pace eriperent per iniuriam, quae iure belli non ademissent

Ita regulus Carthaginiensesque dimissi

Munera ex instituto data utrisque aliaque hospitalia comiter conservata

[25] Sub idem tempus Cn Servilius Caepio Ap Claudius Cento T Annius Luscus legati ad res repetendas in Macedoniam renuntiandamque amicitiam regi missi redierunt; qui iam sua sponte infestum Persei senatum insuper accenderunt, relatis ordine, quae vidissent quaeque audissent: vidisse se per omnes urbes Macedonum summa vi parari bellum

Cum ad regem pervenissent, per multos dies conveniendi eius potestatem non factam; postremo, cum desperato iam conloquio profecti essent, tum demum se ex itinere revocatos et ad eum introductos esse
Ai vinti Cartaginesi aveva concesso la città e il territorio, non con il recondito fine di strappargli durante la pace con azione illegale quanto non gli avesse tolto per diritto di guerra

Così furono licenziati il principe e i Cartaginesi

Furono offerti doni secondo il solito all'uno e agli altri ed osservate tutte le altre consuetudini di benevola ospitalità

[25] Negli stessi giorni i legati Gn Servilio Cepione, Ap Claudio Centone, T Annio Lusco inviati in Macedonia a chiedere riparazioni e a denunziare l'amicizia col re, fecero ritorno: ed ancor più esasperarono il senato che aveva già le sue buone ragioni per essere ostile a Perseo, con l'ordinata esposizione di tutto ciò che avevano veduto e sentito: avevano constatato coi loro occhi che per tutte le città della Macedonia si andava preparando la guerra con somma energia

Giunti alla corte del re, per molti giorni non ebbero la possibilità di farsi ricevere; alla fine, ripartitine quando avevano perso ogni speranza di avere un colloquio, soltanto allora, già trovandosi in viaggio, furono richiamati e introdotti in sua presenza

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Suae orationis summam fuisse: foedus cum Philippo ictum -es-se, cum ipso eo post mortem patris renovatum, in quo diserte prohiberi eum extra fines arma efferre, prohiberi socios populi Romani lacessere bello

Exposita deinde ab se ordine, quae ipsi nuper in senatu Eumenen vera omnia et conperta referentem audissent

Samothracae praeterea per multos dies occultum consilium cum legationibus civitatium Asiae regem habuisse

Pro his iniuriis satisfieri senatum aecum censere, reddique sibi res sociisque suis, quas contra ius foederis habeat
Del loro discorso il concetto essenziale fu questo: il trattato di pace era stato stipulato con suo padre Filippo, e personalmente con lui, dopo la morte del padre, rinnovato: in esso gli era fatto esplicito divieto di portare le armi fuori del suo territorio, e di provocar con la guerra gli alleati del popolo romano

Poi in bell'ordine gli esposero i fatti, che di persona poco prima in senato avevano sentito raccontare da Eumene come veri e manifesti

In più, che a Samotracia per molti giorni il re aveva tenuto consiglio segreto con le ambascerie delle città asiatiche

Era giusto perciò, secondo loro, che il senato esigesse che a questi torti fosse data riparazione e che fosse restituito ai Romani e ai loro alleati tutto ciò che il re deteneva contro i patti

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