nemo eorum relegatus in exsilium est, nemini spes emerendi stipendia adempta; hostis denique est datus, cum quo dimicantes aut uitam semel aut ignominiam finirent nos, quibus, nisi quod commisimus ut quisquam ex Cannensi acie miles Romanus superesset, nihil obici potest, non solum a patria procul Italiaque sed ab hoste etiam relegati sumus, ubi senescamus in exsilio ne qua spes, ne qua occasio abolendae ignominiae, ne qua placandae ciuium irae, ne qua denique bene moriendi sit neque ignominiae finem nec uirtutis praemium petimus; modo experiri animum et uirtutem exercere liceat laborem et periculum petimus, ut uirorum, ut militum officio fungamur |
Nessuno di loro fu relegato in esilio, nessuno fu privato della speranza di condurre a termine il proprio servizio militare; ad essi fu dato un nemico, combattendo contro il quale potessero porre fine una volta per sempre alla vergogna o alla vita Noi, invece, ai quali nulla si può imputare se non il fatto di avere agito in modo che almeno qualche soldato romano sopravvivesse alla disfatta di Canne, siamo tenuti lontano non solo dalla patria e dall'Italia, ma anche dalla possibilità di incontrare un nemico; siamo così destinati ad invecchiare in esilio e a non avere più alcuna speranza, né alcuna occasione di cancellare la nostra vergogna, né di placare l'ostilità dei nostri concittadini; ci è così tolta anche la speranza di morir bene Noi non chiediamo la fine della nostra vergogna, né un premio al nostro valore; chiediamo soltanto che ci sia dato il modo di mettere alla prova il nostro coraggio e di dimostrare il nostro valore Noi chiediamo fatiche e pericoli per assolvere il nostro dovere di uomini e di soldati |
bellum in Sicilia iam alterum annum ingenti dimicatione geritur; urbes alias Poenus, alias Romanus expugnat; peditum, equitum acies concurrunt; ad Syracusas terra marique geritur res; clamorem pugnantium crepitumque armorum exaudimus resides ipsi ac segnes, tamquam nec manus nec arma habeamus seruorum legionibus Ti Sempronius consul totiens iam cum hoste signis conlatis pugnauit; operae pretium habent libertatem ciuitatemque pro seruis saltem ad hoc bellum emptis uobis simus; congredi cum hoste liceat et pugnando quaerere libertatem uis tu mari, uis terra, uis acie, uis urbibus oppugnandis experiri uirtutem |
Già da due anni si sta combattendo in Sicilia una guerra aspra e violenta; alcune città sono prese dai Romani, altre dai Cartaginesi, si succedono combattimenti di fanteria e di cavalleria, la guerra si combatte intorno a Siracusa per terra e per mare; giungono fino a noi le grida dei combattenti e lo strepito delle armi, mentre noi ce ne stiamo oziosi e pigri come se non avessimo né mani né armi Il console Ti Sempronio ha già tante volte attaccato battaglia adoperando contro i nemici legioni di schiavi che hanno come premio della loro prestazione la libertà ed il diritto di cittadinanza Teneteci almeno in luogo di schiavi comperati per questa guerra; ci sia permesso azzuffarci col nemico ed ottenere combattendo la libertà Vuoi tu sperimentare il nostro valore per mare, per terra, sul campo di battaglia, nell'assedio delle città |
asperrima quaeque ad laborem periculumque deposcimus, ut quod ad Cannas faciundum fuit quam primum fiat, quoniam quidquid postea uiximus id omne destinatum ignominiae est (7) Sub haec dicta ad genua Marcelli procubuerunt Marcellus id nec iuris nec potestatis suae esse dixit; senatui scripturum se omniaque de sententia patrum facturum esse eae litterae ad nouos consules allatae ac per eos in senatu recitatae sunt; consultusque de iis litteris ita decreuit senatus: militibus, qui ad Cannas commilitones suos pugnantes deseruissent, senatum nihil uidere cur res publica committenda esset |
Reclamiamo per noi le più difficili prove di fatiche e di pericoli, in modo che ciò che si sarebbe dovuto fare a Canne, si faccia ora il più presto possibile, poiché tutto il tempo che, dopo quella sconfitta, noi abbiamo vissuto, è stato tutto quanto riservato alla nostra vergogna 7 Dette queste parole, i soldati si gettarono ai piedi di Marcello Marcello rispose che egli non aveva né il diritto né la facoltà di soddisfare tali richieste; egli avrebbe scritto al senato e si sarebbe comportato secondo la volontà dei senatori Quella lettera fu portata ai nuovi consoli e per mezzo loro fu letta in senato; dopo una consultazione intorno a tale questione, il senato decise di rispondere che non vedeva alcuna ragione perché le sorti della repubblica si dovessero affidare a quei soldati che a Canne avevano abbandonato i loro compagni mentre combattevano |
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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 36; 36 - 40
si M Claudio proconsuli aliter uideretur, faceret quod e re publica fideque sua duceret, dum ne quis eorum munere uacaret neu dono militari uirtutis ergo donaretur neu in Italiam reportaretur donec hostis in terra Italia esset comitia deinde a praetore urbano de senatus sententia plebique scitu sunt habita, quibus creatis sunt quinqueuiri muris turribus reficiendis et triumuiri bini, uni sacris conquirendis donisque persignandis, alteri reficiendis aedibus Fortunae et matris Matutae intra portam Carmentalem et Spei extra portam, quae priore anno incendio consumptae fuerant tempestates foedae fuere |
Se il console M Claudio pensava diversamente, facesse ciò che egli riteneva conforme all'interesse dello stato ed alla sua coscienza, purché nessuno di quei soldati fosse esonerato dal servizio, né ricevesse alcuna ricompensa al valor militare, né fosse fatto rientrare in Italia finché il nemico stava sulla terra italica Successivamente, il pretore urbano convocò i comizi secondo la decisione del senato e il decreto del popolo; in essi furono eletti i quinqueviri incaricati di ricostruire mura e torri; furono elette anche due commissioni di triumviri, l'una per ricercare gli oggetti sacri e per elencare i doni, l'altra per ricostruire il tempio della dea fortuna e quello della madre Matuta, al di qua della porta Carmentale, nonché quello della Speranza al di là della stessa porta, templi che nell'anno precedente erano stati distrutti da un incendio Furono segnalati tristi prodigi |
in Albano monte biduum continenter lapidibus pluuit; tacta de caelo multa, duae in Capitolio aedes, uallum in castris multis locis supra Suessulam, et duo uigiles exanimati; murus turresque quaedam Cumis non ictae modo fulminibus sed etiam decussae Reate saxum ingens uisum uolitare, sol rubere solito magis sanguineoque similis horum prodigiorum causa diem unum supplicatio fuit et per aliquot dies consules rebus diuinis operam dederunt et per eosdem dies sacrum nouendiale fuit cum Tarentinorum defectio iam diu et in spe Hannibali et in suspicione Romanis esset, causa forte extrinsecus maturandae eius interuenit |
sul monte Albano per due giorni piovvero continuamente pietre; molti punti furono colpiti dal fulmine: due templi sul Campidoglio e molte parti della trincea nell'accampamento sopra Suessula, dove due sentinelle perdettero i sensi; il muro ed alcune torri di Cuma non solo furono colpiti dal fulmine, ma anche sconquassati A Reate si vide volteggiare nel cielo un grande masso e il sole rosseggiare più del solito come se fosse sangue Per espiare tali prodigi si tennero per tutto un giorno solenni preghiere e sacrifici e per la durata di alcuni giorni i consoli si dedicarono alle cerimonie religiose; in quegli stessi giorni si tenne anche la festa del novendiale Poiché la defezione dei Tarentini ormai da lungo tempo era nelle speranze di Annibale e nei sospetti dei Romani, un'occasione fortuita venne dal di fuori ad affrettare la cosa |
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Phileas Tarentinus diu iam per speciem legationis Romae cum esset, uir inquieti animi et minime otium, quo tum diutino senescere uidebatur, patientis, aditum sibi ad obsides Thurinos et Tarentinos inuenit custodiebantur in atrio Libertatis minore cura, quia nec ipsis nec ciuitatibus eorum fallere Romanos expediebat hos crebris conloquiis sollicitatos corruptis aedituis duobus cum primis tenebris custodia eduxisset, ipse comes occulti itineris factus profugit luce prima uolgata per urbem fuga est missique qui sequerentur ab Tarracina comprensos omnes retraxerunt deducti in comitium uirgisque approbante populo caesi de saxo deiciuntur |
II tarentino Filea già da lungo tempo si trovava a Roma fingendo di essere ambasciatore; era costui uomo di animo irrequieto ed assolutamente intollerante di quell'inazione che, prolungandosi nel tempo, sembrava che gli togliesse ogni vigore; riuscì finalmente ad avere una possibilità di comunicare con gli ostaggi di Taranto e di Turii Costoro erano custoditi nell'atrio del tempio della Libertà, con scarsa diligenza, poiché non era nell'interesse loro e delle loro città ingannare i Romani Filea, corrotti due custodi del tempio, sul far della sera, avendo sottratto alla custodia gli ostaggi che in frequenti colloqui aveva sollecitato a scappare, fattosi egli stesso loro compagno, per una via segreta fuggì con loro All'alba si diffuse per la città la notizia della fuga; ad inseguirli fu inviata gente che li catturò tutti a Terracina e li ricondusse indietro Condotti nel recinto dei comizi, col consenso del popolo furono percossi a colpi di verga |
(8) Huius atrocitas poenae duarum nobilissimarum in Italia Graecarum ciuitatium animos inritauit cum publice, tum etiam singulos priuatim ut quisque tam foede interemptos aut propinquitate aut amicitia contingebat ex iis tredecim fere nobiles iuuenes Tarentini coniurauerunt, quorum principes Nico et Philemenus erant hi priusquam aliquid mouerent conloquendum cum Hannibale rati, nocte per speciem uenandi urbe egressi ad eum proficiscuntur et cum haud procul castris abessent, ceteri silua prope uiam sese occuluerunt, Nico et Philemenus progressi ad stationes comprehensique, ultro id petentes, ad Hannibalem deducti sunt |
8 L'efferatezza di tale pena esasperò l'animo dei cittadini di due fra le più nobili città greche in Italia, sia pubblicamente sia in privato, dal momento che ciascuno per parte sua era legato o da parentela o da amicizia con coloro che erano stati così ferocemente uccisi Fra quei cittadini, circa tredici giovani nobili tarentini ordirono una congiura, i cui promotori erano Nicone e Filemeno Costoro prima di muoversi, pensando che fosse necessario avere un colloquio con Annibale, una notte usciti dalla città col pretesto di andare a caccia, si diressero verso di lui Quando furono poco lontano dall'accampamento, gli altri si nascosero in una selva vicino alla strada, mentre Nicone e Filemeno andarono avanti fino al corpo di guardia e, come essi stessi volevano, furono presi e condotti ad Annibale |
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qui cum et causas consilii sui et quid pararent exposuissent, conlaudati oneratique promissis iubentur, ut fidem popularibus facerent, praedandi causa se urbe egressos, pecora Carthaginiensium quae pastum propulsa essent ad urbem agere; tuto ac sine certamine id facturos promissum est conspecta ea praeda iuuenum est minusque iterum ac saepius id eos audere miraculo fuit congressi cum Hannibale rursus fide sanxerunt liberos Tarentinos leges suas suaque omnia habituros neque ullum uectigal Poeno pensuros praesidiumue inuitos recepturos; prodita praesidia Carthaginiensium fore haec ubi conuenerunt, tunc uero Philemenus consuetudinem nocte egrediundi redeundique in urbem frequentiorem facere |
i giovani tarentini, dopo aver esposto a lui le ragioni del loro piano e che cosa essi si proponessero, furono da Annibale lodati e colmati di promesse, ricevendo l'ordine di spingere innanzi fino alla città quel bestiame dei Cartaginesi che era stato mandato fuori al pascolo, per dare ai loro concittadini la prova che essi erano usciti per far preda; ai giovani fu data promessa che avrebbero potuto far ciò con sicurezza e senza che alcuno si opponesse La loro preda fu guardata con ammirazione, e suscitò poco stupore il fatto che essi osassero ripetere l'impresa due volte ed anche più spesso Abboccatisi di nuovo con Annibale, fecero un accordo in virtù del quale i Tarentini avrebbero conservato le loro leggi e tutte le loro proprietà, non avrebbero pagato ad Annibale alcun tributo né, contro la loro volontà, avrebbero accolto un suo presidio, mentre tutte le case dei Romani sarebbero state preda dei Cartaginesi, quando costoro avessero avuto nelle mani il presidio romano Fatti questi accordi, allora Filemeno prese l'abitudine di uscire di notte più spesso dalla città e di ritornarvi |
et erat uenandi studio insignis, canesque et alius apparatus sequebatur, captumque ferme aliquid aut ab hoste ex praeparato allatum reportans donabat aut praefecto aut custodibus portarum; nocte maxime commeare propter metum hostium credebant ubi iam eo consuetudinis adducta res est ut, quocumque noctis tempore sibilo dedisset signum, porta aperiretur, tempus agendae rei Hannibali uisum est tridui uiam aberat; ubi, quo minus mirum esset uno eodemque loco statiua eum tam diu habere, aegrum simulabat Romanis quoque, qui in praesidio Tarenti erant, suspecta esse iam segnis mora eius desierat |
Egli era famoso per il suo amore per la caccia; aveva con sé i cani e tutto quello che gli serviva per cacciare; al ritorno, quasi sempre regalava al prefetto o alle guardie delle porte qualche capo di selvaggina che egli stesso aveva preso, o che gli era stato procurato apposta dal nemico; i Romani credevano che egli si muovesse di notte per paura dei Cartaginesi Quando ormai la cosa era divenuta tanto abituale che la porta si apriva appena nella notte egli dava un fischio come segnale, allora ad Annibale parve giunto il momento di agire Egli era lontano tre giorni di marcia da Taranto, in un luogo dove egli fingeva di essere ammalato, perché non destasse stupore il fatto che egli tenesse là così a lungo i quartieri d'inverno Anche ai Romani che presidiavano Taranto, tale inerte indugio di Annibale aveva cessato di dare sospetto |
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(9) Ceterum postquam Tarentum ire constituit, decem milibus peditum atque equitum, quos in expeditionem uelocitate corporum ac leuitate armorum aptissimos esse ratus est, electis, quarta uigilia noctis signa mouit, praemissisque octoginta fere Numidis equitibus praecepit ut discurrerent circa uias perlustrarentque omnia oculis, ne quis agrestium procul spectator agminis falleret; praegressos retraherent, obuios occiderent, ut praedonum magis quam exercitus accolis species esset | 9 Pertanto, avendo stabilito di andare a Taranto, scelti diecimila tra fanti e cavalieri che egli giudicava come i più idonei per essere agili nel corpo e leggeri nelle armi, di notte alla quarta vigilia Annibale mosse le insegne; mandò innanzi circa ottocento cavalieri Numidi, ai quali ordinò di sparpagliarsi per le strade intorno e di perlustrare ogni luogo per indagare se qualche contadino scorgesse da lontano la marcia; impose inoltre a loro di far tornare indietro quelli che avessero trovato avanti e di uccidere, invece, quelli che fossero venuti loro incontro, per dare agli abitanti l'impressione di essere un branco di predoni più che un esercito |