[31] Deuictis Sabinis cum in magna gloria magnisque opibus regnum Tulli ac tota res Romana esset, nuntiatum regi patribusque est in monte Albano lapidibus pluvisse Quod cum credi vix posset, missis ad id visendum prodigium in conspectu haud aliter quam cum grandinem venti glomeratam in terras agunt crebri cecidere caelo lapides Visi etiam audire vocem ingentem ex summi cacuminis luco ut patrio ritu sacra Albani facerent, quae velut dis quoque simul cum patria relictis obliuioni dederant, et aut Romana sacra susceperant aut fortunae, ut fit, obirati cultum reliquerant deum |
[31] Dopo la disfatta inflitta ai Sabini, e quando ormai il regno di Tullo e la potenza romana avevano raggiunto il vertice della gloria e della ricchezza, ecco che venne annunciato al re e ai senatori che sul monte Albano stavano piovendo pietre Siccome la cosa non era molto verisimile, furono inviati dei messi a controllare il fenomeno; essi riferirono di aver visto coi loro occhi una spessa pioggia di pietre che cadevano come chicchi di grandine ammucchiata dal vento sulla terra Nel bosco che c'é in cima alla vetta era sembrato loro anche di sentire una voce possente la quale ordinava agli Albani di celebrare, secondo il rito tradizionale, i sacrifici che essi avevano lasciato cadere nell'oblio quando, con la città, avevano abbandonato anche i loro dèi e adottato culti romani o, come spesso succede, rinnegato i propri per un risentimento nei confronti del destino |
Romanis quoque ab eodem prodigio novendiale sacrum publice susceptum est, seu voce caelesti ex Albano monte missa -- nam id quoque traditur -- seu haruspicum monitu; mansit certe sollemne ut quandoque idem prodigium nuntiaretur feriae per novem dies agerentur Haud ita multo post pestilentia laboratum est Unde cum pigritia militandi oreretur, nulla tamen ab armis quies dabatur a bellicoso rege, salubriora etiam credente militiae quam domi iuvenum corpora esse, donec ipse quoque longinquo morbo est implicitus Tunc adeo fracti simul cum corpore sunt spiritus illi feroces ut qui nihil ante ratus esset minus regium quam sacris dedere animum, repente omnibus magnis paruisque superstitionibus obnoxius degeret religionibusque etiam populum impleret |
Anche i Romani, a séguito di questo prodigio, proclamarono una novena ufficiale, sia per la voce celeste emessa dal monte Albano (così vuole la tradizione), sia su consiglio degli aruspici; in ogni modo, rimase un'usanza abituale: ogni qual volta si fosse ripetuto un fenomeno analogo, sarebbero seguiti nove giorni di festa Non molto tempo dopo Roma fu colpita da un'epidemia cui fece séguito una riluttanza alle prestazioni militari Ciò nonostante, il bellicoso re Tullo non dava tregua ai suoi sudditi, persuaso com'era che le esercitazioni militari fossero più salutari ai fisici dei giovani che l'aria di casa, finché lui stesso non fu colpito da una malattia dal lungo decorso E allora l'infermità ne minò simultaneamente il corpo e l'indole bellicosa a tal punto che uno come lui, in passato convintissimo che nulla fosse più indegno per un re che occuparsi della sfera religiosa, improvvisamente divenne vittima di ogni forma di piccola e grande superstizione e prese a imbottire la sua gente di scrupoli religiosi |
Volgo iam homines eum statum rerum qui sub Numa rege fuerat requirentes, unam opem aegris corporibus relictam si pax veniaque ab dis impetrata esset credebant Ipsum regem tradunt voluentem commentarios Numae, cum ibi quaedam occulta sollemnia sacrificia Iovi Elicio facta invenisset, operatum his sacris se abdidisse; sed non rite initum aut curatum id sacrum esse, nec solum nullam ei oblatam caelestium speciem sed ira Iovis sollicitati praua religione fulmine ictum cum domo conflagrasse Tullus magna gloria belli regnavit annos duos et triginta [32] Mortuo Tullo res, ut institutum iam inde ab initio erat, ad patres redierat hique interregem nominauerant Quo comitia habente Ancum Marcium regem populus creavit; patres fuere auctores Numae Pompili regis nepos filia ortus Ancus Marcius erat |
Tutti ormai reclamavano un ritorno allo stato delle cose ai tempi di Numa, pensando che l'unico rimedio alla deperibilità dei loro corpi consistesse nella benevolenza e nel perdono degli dèi Il re stesso, così vuole la tradizione, poiché consultando le memorie di Numa aveva trovato menzione di certi sacrifici occulti praticati in onore di Giove Elicio, vi si dedicò in segreto; il fatto è che commise qualche errore nel preparare o nel celebrare il rito e quindi, non solo non ebbe alcuna visione divina, ma suscitò anche l'ira di Giove il quale, irritato dalla profanazione del culto, incenerì con un fulmine il re e il suo palazzo Comunque, il glorioso regno di questo re guerriero durò trentadue anni [32] Alla morte di Tullo, il potere, in conformità alla regola stabilita sin dall'inizio, era tornato ai senatori i quali nominarono un interré Questi convocò l'assemblea e il popolo elesse re Anco Marzio, con la ratifica del senato Anco Marzio era nipote per parte di madre del re Numa Pompilio |
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Livio, Ab urbe condita: Libro 45; 23 - 44
Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 45; 23 - 44
Qui ut regnare coepit et avitae gloriae memor et quia proximum regnum, cetera egregium, ab una parte haud satis prosperum fuerat aut neglectis religionibus aut praue cultis, longe antiquissimum ratus sacra publica ut ab Numa instituta erant facere, omnia ea ex commentariis regiis pontificem in album elata proponere in publico iubet Inde et civibus otii cupidis et finitimis civitatibus facta spes in aui mores atque instituta regem abiturum Igitur Latini cum quibus Tullo regnante ictum foedus erat sustulerant animos, et cum incursionem in agrum Romanum fecissent repetentibus res Romanis superbe responsum reddunt, desidem Romanum regem inter sacella et aras acturum esse regnum rati |
Quando salì al trono, ricordandosi della gloria dell'avo, aveva la ferma convinzione che il regno precedente, tra le tante cose positive, avesse mostrato un'unica debolezza: i riti religiosi erano stati trascurati o praticati male; perciò ritenne che la prima cosa da farsi fosse ristabilire le pubbliche cerimonie secondo il rituale fissato da Numa e a questo proposito ordinò al pontefice massimo di copiare tutte le prescrizioni cultuali dai taccuini del re su una tavoletta bianca da esporre poi in pubblico Questo primo passo fece sperare ai Romani avidi di pace e ai popoli confinanti che il re avrebbe seguito le orme dell'avo tanto nel carattere quanto nel tipo di politica Così i Latini, coi quali era stato firmato un trattato durante il regno di Tullo, ripresero coraggio e fecero un'incursione nel territorio romano; quando i Romani gliene chiesero riparazione, essi risposero in maniera sprezzante, convinti che un re del genere avrebbe trascorso l'intera durata del suo regno dietro altari e santuari |
Medium erat in Anco ingenium, et Numae et Romuli memor; et praeterquam quod aui regno magis necessariam fuisse pacem credebat cum in novo tum feroci populo, etiam quod illi contigisset otium sine iniuria id se haud facile habiturum; temptari patientiam et temptatam contemni, temporaque esse Tullo regi aptiora quam Numae Ut tamen, quoniam Numa in pace religiones instituisset, a se bellicae caerimoniae proderentur, nec gererentur solum sed etiam indicerentur bella aliquo ritu, ius ab antiqua gente Aequiculis quod nunc fetiales habent descripsit, quo res repetuntur |
Ma il carattere di Anco era perfettamente equilibrato, una via di mezzo tra Numa e Romolo; inoltre pensava che durante il regno dell'avo ci fosse maggiore bisogno di pace perché il popolo era nuovo e indisciplinato, ma anche che gli sarebbe stato difficile ottenere quella tranquillità che l'avo era riuscito a ottenere senza eccessivi travagli; adesso che mettevano alla prova la sua pazienza e poi la disprezzavano, per i tempi in corso, sul trono era meglio un Tullo che un Numa Ma come Numa in tempo di pace aveva fornito un regolamento per le pratiche religiose, allo stesso modo egli adesso voleva istituire un cerimoniale di guerra, così che non ci si limitasse soltanto a fare le guerre ma le si dichiarasse anche secondo un qualche formulario fisso; e per approntarlo ricorse a una regola dell'antica tribù degli Equicoli, cui ancor oggi i feziali si attengono per presentare un reclamo |
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Livio, Ab urbe condita: Libro 05, 26-30
Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 05, 26-30
Legatus ubi ad fines eorum venit unde res repetuntur, capite uelato filo - lanae uelamen est - 'Audi, Iuppiter' inquit; 'audite, fines' - cuiuscumque gentis sunt, nominat - ; 'audiat fas Ego sum publicus nuntius populi Romani; iuste pieque legatus venio, verbisque meis fides sit' Peragit deinde postulata Inde Iovem testem facit: 'Si ego iniuste impieque illos homines illasque res dedier mihi eco, tum patriae compotem me nunquam siris esse' Haec, cum fines suprascandit, haec, quicumque ei primus vir obuius fuerit, haec portam ingrediens, haec forum ingressus, paucis verbis carminis concipiendique iuris iurandi mutatis, peragit |
Quando l'inviato arriva alle frontiere del paese cui viene rivolto il reclamo, con il capo coperto da un berretto (dotato di un velo di lana), dice: Ascolta, Giove; ascoltate, o frontiere, e qui specifica del tale e del talaltro paese, e mi ascolti anche il sacro diritto Io sono il rappresentante ufficiale del popolo romano; vengo per una missione giusta e santa Abbiate per questo fiducia nelle mie parole Quindi elenca i reclami e chiama a testimone Giove: Se io non mi attengo a ciò che è santo e giusto nel reclamare che mi vengano consegnati questi uomini e queste cose, possa non ritrovare pù la mia terra Ripete questa formula quando attraversa il confine; la ripete al primo uomo che incontra, la ripete quando entra in città, la ripete facendo ingresso nel foro, con solo qualche piccola modifica nella forma e nell'invocazione del giuramento |
Si non deduntur quos ecit diebus tribus et triginta - tot enim sollemnes sunt - peractis bellum ita indicit: 'Audi, Iuppiter, et tu, Iane Quirine, dique omnes caelestes, vosque terrestres vosque inferni, audite; ego vos testor populum illum' - quicumque est, nominat - 'iniustum esse neque ius persoluere; sed de istis rebus in patria maiores natu consulemus, quo pacto ius nostrum adipiscamur' Cum nuntius Romam ad consulendum redit Confestim rex his ferme verbis patres consulebat: 'Quarum rerum litium causarum condixit pater patratus populi Romani Quiritium patri patrato Priscorum Latinorum hominibusque Priscis Latinis, quas res nec dederunt nec soluerunt nec fecerunt, quas res dari fieri solui oportuit, dic' inquit ei quem primum sententiam rogabat, 'quid censes |
Se l'oggetto del suo reclamo non viene restituito entro il trentatreesimo giorno (si tratta del termine convenzionale), dichiara guerra con questa formula: Ascolta, Giove, e ascolta tu, o Giano Quirino, e voi tutte divinità del cielo, della terra e degli inferi, ascoltatemi; io vi chiamo a testimoni che questo popolo, e ne fa il nome, è ingiusto e non ripara quanto deve; a questo proposito, chiederemo consiglio in patria, ai più anziani tra i nostri concittadini, su come ottenere quanto ci spetta di diritto Poi il messaggero torna a Roma per la decisione definitiva E subito il re si consulta coi senatori grosso modo in questi termini: A proposito degli oggetti, delle controversie e delle cause di cui il pater patratus del popolo romano ha discusso con il pater patratus dei Latini Prischi e con alcuni dei Latini Prischi, a proposito di ciò che non è stato consegnato, restituito e fatto di quello che doveva essere consegnato, restituito e fatto, dimmi, rivolgendosi al primo che lo aveva consultato, che cosa ne pensi |
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' Tum ille: 'Puro pioque duello quaerendas censeo, itaque consentio consciscoque' Inde ordine alii rogabantur; quandoque pars maior eorum qui aderant in eandem sententiam ibat, bellum erat consensum Fieri solitum ut fetialis hastam ferratam aut praeustam sanguineam ad fines eorum ferret et non minus tribus puberibus praesentibus diceret: 'Quod populi Priscorum Latinorum hominesque Prisci Latini adversus populum Romanum Quiritium fecerunt deliquerunt, quod populus Romanus Quiritium bellum cum Priscis Latinis iussit esse senatusque populi Romani Quiritium censuit consensit consciuit ut bellum cum Priscis Latinis fieret, ob eam rem ego populusque Romanus populis Priscorum Latinorum hominibusque Priscis Latinis bellum indico facioque' Id ubi dixisset, hastam in fines eorum emittebat |
E l'altro replica: Penso sia giusto e sacrosanto riottenere il dovuto con la guerra: questi sono il mio pensiero e il mio voto Poi a turno vengono consultati gli altri e una volta ottenuto il consenso della maggioranza, tutti si trovano d'accordo sulla guerra Di solito il feziale porta ai confini con l'altra nazione una lancia dal puntale di ferro o temprato sul fuoco e, di fronte ad almeno tre adulti, dice: Poiché i popoli dei Latini Prischi e alcuni dei Latini Prischi si sono resi responsabili di atti e offese contro il popolo romano dei Quiriti; poiché il popolo romano dei Quiriti ha dichiarato guerra ai Latini Prischi e il senato del popolo romano dei Quiriti ha votato, approvato e dato il suo consenso a questa guerra coi Latini Prischi, per i suddetti motivi, io - e quindi il popolo romano dei Quiriti - dichiaro guerra ai popoli dei Latini Prischi e ai cittadini dei Latini Prschi e la metto in pratica Detto ciò, scaglia la lancia nel loro territorio |
Hoc tum modo ab Latinis repetitae res ac bellum indictum, moremque eum posteri acceperunt [33] Ancus demandata cura sacrorum flaminibus sacerdotibusque aliis, exercitu novo conscripto profectus, Politorium, urbem Latinorum, vi cepit; secutusque morem regum priorum, qui rem Romanam auxerant hostibus in civitatem accipiendis, multitudinem omnem Romam traduxit Et cum circa Palatium, sedem veterum Romanorum, Sabini Capitolium atque arcem, Caelium montem Albani implessent, Aventinum novae multitudini datum Additi eodem haud ita multo post, Tellenis Ficanaque captis, novi ciues Politorium inde rursus bello repetitum quod vacuum occupaverant Prisci Latini, eaque causa diruendae urbis eius fuit Romanis ne hostium semper receptaculum esset |
Ecco dunque in che termini fu esposto il reclamo ai Latini e come fu loro dichiarata guerra: l'usanza è passata ai posteri [33] Anco, dopo aver lasciato ai Flamini e ad altri sacerdoti l'incarico di provvedere ai sacrifici, si mise in marcia con un esercito di recente formazione e conquistò di forza Politorio, città dei Latini; quindi, seguendo l'usanza dei suoi predecessori sul trono, i quali avevano ingrandito Roma integrandovi i nemici fatti prigionieri, vi trasferì l'intera popolazione E visto che i primi Romani avevano occupato il Palatino, i Sabini il Campidoglio e la cittadella, e gli Albani il monte Celio, al nuovo nucleo di stranieri fu assegnato l'Aventino Su di esso, non molto tempo dopo, vennero trasferiti gli abitanti anche di altre due città conquistate, Tellene e Ficana In séguito Politorio fu attaccata una seconda volta perché i Latini Prischi l'avevano rioccupata dopo l'evacuazione; ciò fornì ai Romani il pretesto per raderla al suolo: non avrebbe così più offerto rifugio ai nemici |
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Livio, Ab urbe condita: Libro 36; 31 - 35
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Postremo omni bello Latino Medulliam compulso, aliquamdiu ibi Marte incerto, varia victoria pugnatum est; nam et urbs tuta munitionibus praesidioque firmata ualido erat, et castris in aperto positis aliquotiens exercitus Latinus comminus cum Romanis signa contulerat Ad ultimum omnibus copiis conisus Ancus acie primum uincit; inde ingenti praeda potens Romam redit, tum quoque multis milibus Latinorum in civitatem acceptis, quibus, ut iungeretur Palatio Aventinum, ad Murciae datae sedes Ianiculum quoque adiectum, non inopia loci sed ne quando ea arx hostium esset Id non muro solum sed etiam ob commoditatem itineris ponte sublicio, tum primum in Tiberi facto, coniungi urbi placuit |
Alla fine la guerra coi Latini si concentrò integralmente su Medullia, dove, per un po' di tempo, si combatté con un certo equilibrio e non era facile prevedere chi avrebbe avuto la meglio; infatti la città era dotata di solide fortificazioni e difesa da una guarnigione piuttosto tenace; inoltre, l'armata latina, accampata in aperta pianura, non perdeva occasione di venirsi a scontrare coi Romani Alla fine, impegnando tutti gli uomini a disposizione, Anco ottenne la sua prima vittoria in battaglia e rientrò a Roma con un immenso bottino; migliaia di Latini li integrò in città e, per unire Aventino e Palatino, diede loro come sede la zona intorno al tempio di Murcia Integrò nella cerchia urbana anche il Gianicolo, non tanto per bisogno di spazio, quanto piuttosto per evitare che quella roccaforte potesse un giorno cadere in mano al nemico Si decise non solo di munirlo di fortificazioni, ma anche di metterlo in comunicazione con il resto della città mediante un ponte di legno che ne avrebbe facilitato l'accesso e che fu il primo costruito sul Tevere |