Il dipinto, di sicuro fascino visivo e di impeccabile correttezza illustrativa, appartenente ad Amadeo dal Pozzo marchese di Voghera, risale probabilmente al periodo della collaborazione fra Romanelli e Pietro da Cortona ai lavori di Palazzo Barberini in Roma intorno al 1635 e prima del 1637, anno che segna la rottura dei rapporti fra i due pittori.
Due giovani, un bambino, un uomo e una donna compendiano la comunità degli israeliti cui Mosè si e appellato. Tutti recano doni; l'uomo e la donna porgono i propri con fare sottomesso e riguardoso. Mosè, adorno dei raggi di luce trasfigurante che non lo abbandonano a partire dal rientro dalla seconda ascesa al Sinai, si volge a valutare le offerte e indica dove collocarle.
Ritti accanto al tavolo delle oblazioni, due israeliti smistano del materiale, disponendone la destinazione d'uso: si tratta di Bezaleel e Ooliab, i principali artisti del santuario, gli unici di cui la Bibbia servi il nome e decanti le qualità. A essi si rivolgono la donna che maneggia una fascia decorata e due volontari alle prese con alcune tavole di legno accatastate in primo piano.
Sul fondo un gruppo di operai fissa a forza di braccia e corde, lo scheletro ligneo del santuario. I doni elencati dal testo biblico sono fedelmente citati:
- l'oro dei vasi e dei piatti
- il tessuto di porpora offerto dall'israelita inginocchiata
- quello di bisso che pende in candide pieghe dal tavolo
- le pelli posate a terra
- il legno d'acacia delle assi
- il balsamo nel vaso semi nascosto dietro la sfarzosa suppellette
- infine un'unico enorme rubino a rappresentare le pietre da incastonare
- l'oro è la fede
- La porpora è la carità
- il Bisso è la purezza
- il ruvido pelo di capra è la penitenza.