Gellio, Notti attiche: Liber 11, 9-13

Gellio, Notti attiche: Liber 11, 9-13

Latino: dall'autore Gellio, opera Notti attiche parte Liber 11, 9-13
[IX] Historia de legatis Mileti ac Demosthene rhetore in libris Critolai reperta

[I] Critolaus scripsit legatos Mileto publicae rei causa venisse Athenas, fortasse an dixerit auxilii petendi gratia

Tum qui pro sese verba facerent, quos visum erat advocavisse, advocatos, uti erat mandatum, verba pro Milesiis ad populum fecisse, Demosthenen Milesiorum postulatis acriter respondisse, neque Milesios auxilio dignos neque ex republica id esse contendisse

Rem in posterum diem prolatam

Legatos ad Demosthenen venisse magnoque opere orasse, uti contra ne diceret; eum pecuniam petivisse et, quantam petiverat, abstulisse

Postridie cum res agi denuo coepta esset, Demosthenen lana multa collum cervicesque circumvolutum ad populum prodisse et dixisse se synanchen pati; eo contra Milesios loqui non quire
[IX] Una vicenda sugli ambasciatori di Mileto e sull'oratore Demostene trvata nei libri di Critolao

[I] Critolao scrisse che per motivo di stato vennero ambasciatori da Mileto ad Atene, forse si disse a causa di una richiesta d'aiuto

Allora quelli che facevano discorsi a loro favore, che era sembrato opportuno aver convocato, chiamati, come era stato ordinato, avevano tenuto davanti al popolo discorsi a favore dei Milesii, Demostene aver risposto severamente alle richieste dei Milesii, aver ribattuto che nè i Milesii erano degni d'aiuto né ciò competere da parte dello stato

Che l'affare erastato rimandato al giorno seguente

Che gli ambasciatori erano venuti da Demostene e avevano pregato con grande impegno, affinché non parlasse contro; che egli aveva chiesto denaro e, aveva ottenuto, quanto aveva chiesto

Il giorno seguente avendo ripreso nuovamente ad essere trattata la questione, Demostene aver mostrato davanti al popolo la testa e il collo avvolto con molta lana e aver detto che egli soffriva di angina; pertanto non poter parlare contro i Milesii
Tum e populo unum exclamasse non synanchen, quod Demosthenes pateretur, sed argyranchen esse

[II] Ipse etiam Demosthenes, ut idem Critolaus refert, non id postea concelavit, quin gloriae quoque hoc sibi adsignavit

Nam cum interrogasset Aristodemum, actorem fabularum, quantum mercedis, uti ageret, accepisset, et Aristodemus "talentum" respondisset: "at ego plus" inquit "accepi, ut tacerem"

[X] Quod C

Gracchus in oratione sua historiam supra scriptam Demadi rhetori, non Demostheni, adtribuit; verbaque ipsius C

Gracchi relata

[I] Quod in capite superiore a Critolao scriptum esse diximus super Demosthene, id C

Gracchus in oratione, qua legem Aufeiam dissuasit, in Demaden contulit verbis hisce: [II] "Nam vos, Quirites, si velitis sapientia atque virtute uti, etsi quaeritis, neminem nostrum invenietis sine pretio huc prodire
Che allora uno dal popolo aveva esclamato che l'angina di cui Demostene soffriva non era di gola, ma di denaro

[II] Anche lo stesso Demostene, come riferisce Critolao stesso, poi non lo nascose, anzi l'attribuì anche a gloria per sé

Infatti avendo interrogato Aristodemo, attore di commedie, quanto compenso avesse avuto, per recitare, e avendo Aristodemo risposto "un talento" disse: "Ma io ho preso di più, perché tacessi"

[X] Il fatto che C

Gracco nella sua orazione attribuì la storia sopra scritta al retore Demades, non a Demostene; e riferite le parole dello stesso C

Gracco

[I] Ciò che abbiamo detto nel capitolo precedente essere stato scritto da Critolao su Demostene, ciò C

Gracco nell'orazione, con cui contestò la legge Aufeia, l'attribuì a Demades con queste parole: [II] "Infatti voi, Quiriti, se volete usare sapienza e virtù, sebbene ricerchiate, non troverete nessuno dei nostri presentarsi qui senza ricompensa
Omnes nos, qui verba facimus, aliquid petimus, neque ullius rei causa quisquam ad vos prodit, nisi ut aliquid auferat

[III] Ego ipse, qui aput vos verba facio, uti vectigalia vestra augeatis, quo facilius vestra commoda et rempublicam administrare possitis, non gratis prodeo; verum peto a vobis non pecuniam, sed bonam existimationem atque honorem

[IV] Qui prodeunt dissuasuri, ne hanc legem accipiatis, petunt non honorem a vobis, verum a Nicomede pecuniam; qui suadent, ut accipiatis, hi quoque petunt non a vobis bonam existimationem, verum a Mithridate rei familiari suae pretium et praemium; qui autem ex eodem loco atque ordine tacent, hi vel acerrimi sunt; nam ab omnibus pretium accipiunt et omnes fallunt
Tutti noi, che teniamo discorsi, chiediamo qualcosa, né qualcuno compare davanti a voi a motivo di alcuna cosa, se non affinché prenda qualcosa

[III] Io stesso, che engo discorsi davanti a voi, affinché aumentiate le vostre tasse, cosicché possiate amministrare più facilmente i vostri interessi e lo stato, non intervengo gratuitamente; ma chiedo da voi non denaro, bensì una buona reputazione e l'onore

[IV] Quelli che intervengono per dissuadere, affinché non accettiate questa legge, chiedono non l'onore da voi, ma il denaro da Nicomede; quelli che invogliano, affinché accettiate, anche questi chiedono non una buona stima da voi, ma un aumento del proprio patrimonio e un premio da Mitridate; quelli poi che dallo stesso settore ed ordine tacciono, questi invece sono i più pericolosi; infatti ricevono un compenso da tutti e ingannano tutti

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Gellio, Notti attiche: Liber 13, 25-31

Latino: dall'autore Gellio, opera Notti attiche parte Liber 13, 25-31

[V] Vos, cum putatis eos ab his rebus remotos esse, inpertitis bonam existimationem; [VI] legationes autem a regibus, cum putant eos sua causa reticere, sumptus atque pecunias maximas praebent, item uti in terra Graecia, quo in tempore tragoedus gloriae sibi ducebat talentum magnum ob unam fabulam datum esse, homo eloquentissimus civitatis suae Demades ei respondisse dicitur: "Mirum tibi videtur, si tu loquendo talentum quaesisti

ego, ut tacerem, decem talenta a rege accepi"

Item nunc isti pretia maxima ob tacendum accipiunt"

[XI] Verba P

Nigidii, quibus differre dicit "mentiri" et "mendacium dicere"

[I] Verba sunt ipsa haec P

Nigidii, hominis in studiis bonarum artium praecellentis, quem M

Cicero ingenii doctrinarumque nomine summe reveritus est: "Inter mendacium dicere et mentiri distat
[V] Voi, poiché pensate che essi siano lontani da queste cose, concedete una buona stima; [VI] ma le ambascerie, quando pensano che esse tacciano per un motivo proprio, ricevono dai re compensi e grandissime somme, come accadere nel territorio greco, nel tempo in cui un attore tragico si vantava che gli era stato stato un talento grande per una sola commedia, Demades un uomo della sua città molto eloquente è detto avergli risposto: "Ti sembra strano, se hai ricevuto un talento per parlare

Io, ho avuto da re dieci talenti, perché tacessi"

Anche ora costoro ricevono i massimi compensi per tacere"

[XI] Le parole di P

Nigidio, con cui dice essere diverso "mentiri" e "mendacium dicere"

[I] Queste sono le parole stesse di P

Nigidio, uomo eccellentissimo negli studi delle arti liberali, che M

Cicerone stimò sommamente per la fama dell'ingegno e delle conoscenze: "Differisce tra il dire il falso e mentire
Qui mentitur, ipse non fallitur, alterum fallere conatur; qui mendacium dicit, ipse fallitur"

[II] Item hoc addidit: "Qui mentitur," inquit "fallit, quantum in se est; at qui mendacium dicit, ipse non fallit, quantum in se est"

[III] Item hoc quoque super eadem re dicit: "Vir bonus" inquit "praestare debet, ne mentiatur, prudens, ne mendacium dicat; alterum incidit in hominem, alterum non"

[IV] Varie me hercule et lepide Nigidius tot sententias in eandem rem, quasi aliud atque aliud diceret, disparavit

[XII] Quod Chrysippus philosophus omne verbum ambiguum dubiumque esse dicit, Diodorus contra nullum verbum ambiguum esse putat

[I] Chrysippus ait omne verbum ambiguum natura esse, quoniam ex eodem duo vel plura accipi possunt
Chi mente, egli stesso non s'inganna, tenta d'ingannare un altro; chi dice il falso, è ingannato lui stesso"

[II] Aggiunge anche ciò: "Chi mente - dice- inganna, per quanto dipende da lui; ma chi dice il falso, egli stesso non inganna, per quanto dipende da lui"

[III] Anche questo inoltre dice su questa cosa: "L'uomo onesto - dice- deve cercare, di non mentire, il prudente, affinché non dica il falso; una cosa incide sull'uomo, l'altra no"

[IV] Variamente, per Ercole, e sottilmente Nigidio diversificò tanti pareri su uno stesso argomento, come se dicesse altro ed altro

[XII] Il fatto che il filosofo Crisippo dice che ogni parola è ambigua ed incerta, Diodoro invece pensa che nessun termine sia ambiguo

[I] Crisippo dice che ogni parola è per natura ambigua, perché possono esserne ricavate due o più dalla stessa

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Gellio, Notti attiche: Liber 11, 1-2

Latino: dall'autore Gellio, opera Notti attiche parte Liber 11, 1-2

[II] Diodorus autem, cui Crono cognomentum fuit: "nullum" inquit "verbum est ambiguum, nec quisquam ambiguum dicit aut sentit, nec aliud dici videri debet, quam quod se dicere sentit is, qui dicit

[III] At cum ego" inquit "aliud sensi, tu aliud accepisti, obscure magis dictum videri potest quam ambigue; ambigui enim verbi natura illa esse debuit, ut, qui id diceret, duo vel plura diceret

Nemo autem duo vel plura dicit, qui se sensit unum dicere"

[XIII] Quid Titus Castricius de verbis deque sententia quadam C

Gracchi existimarit; quodque esse eam sine ullo sensus emolumento docuerit

[I] Apud Titum Castricium, disciplinae rhetoricae doctorem, gravi atque firmo iudicio virum, legebatur oratio C

Gracchi in P

Popilium

[II] In eius orationis principio conlocata verba sunt accuratius modulatiusque quam veterum oratorum consuetudo fert
[II] Diodoro invece, per il quale ci fu il soprannome Crono, dice: "Nessuna parola è ambigua, né qualcuno la pronuncia e sente ambigua, né deve sembrare essere detto altro, che ciò che intende dire colui, che parla

[III] Ma quando - dice-io ho inteso una cosa, tu hai capito un'altra, può sembrare detto più oscuramente che ambiguamente; infatti dovette considerarsi quella caratteristica di una parola ambigua, cosicché, colui, che diceva ciò, dicesse due o più cose

Nessuno che intende dire una sola cosa, esprime invece due o più cose"

[XIII] Ciò che pensò Tito Castricio sulle parole e su una certa opinione di C

Gracco; e il fatto che abbia affermato che essa non era di alcun aiuto del significato

[I] In Tito Castricio, esperto di disciplina retorica, uomo dal giudizio ponderato e severo, si leggeva l'orazione di C

Gracco su P

Popolio

[II] All'inizio di quest'orazione le parole sono inserite più accuratamente e più armoniosamente di quanto comporta la consuetudine degli antichi oratori
[III] Ea verba sicuti dixi conposita haec sunt: "Quae vos cupide per hosce annos adpetistis atque volvistis, ea, si temere repudiaritis, abesse non potest, quin aut olim cupide adpetisse aut nunc temere repudiasse dicamini"

[IV] Cursus igitur hic et sonus rotundae volubilisque sententiae eximie nos et unice delectabat, tanto id magis, quod iam tunc C

Graccho, viro inlustri et severo, eiusmodi compositionem fuisse cordi videbamus

[V] Sed enim, cum eadem ipsa verba saepius petentibus nobis lectitarentur, admoniti a Castricio sumus, ut consideraremus, quae vis quodve emolumentum eius sententiae foret, neque pateremur, ut aures nostrae cadentis apte orationis modis eblanditae animum quoque nobis voluptate inani perfunderent
[III] Tali parole disposte come ho detto sono queste: "Se respingete temerariamente queste cose che avidamente durante questi anni avete desiderato e voluto, non può mancare, che siate ritenuti o aver desiderato avidamente un tempo o aver rifiutato inopportunamente ora"

[IV] Dunque questo svolgimento e il ritmo di una frase armonica e scorrevole ci garbava notevolmente e particolarmente, ciò tanto più, poiché notavamo che una disposizione di tal genere era stata a cuore già allora a C

Gracco, uomo famoso e severo

[V] Ma infatti, essendo lette più frequentemente queste stesse parole a noi che richiedevamo, fummo avvertiti da Castricio, che considerassimo, quale fosse la forza e quale il valore di questo pensiero, e non permettessimo, che le nostre orecchie accarezzate dai ritmi di un'orazione opportunamente cadenzata ci inondassero anche l'animo con un inutile piacere

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Latino: dall'autore Gellio, opera Notti attiche parte Liber 3, 1-3

Cumque nos admonitione ista adtentiores fecisset: "inspicite" inquit "penitus, quid efficiant verba haec, dicatque mihi, quaeso, aliqui vestrum, an sit ulla huiusce sententiae gravitas aut gratia: "Quae vos cupide per hosce annos adpetistis atque volvistis, ea, si temere repudiaritis, abesse non potest, quin aut olim cupide adpetisse aut nunc temere repudiasse dicamini"

[VI] Cui enim omnium hominum in mentem non venit id profecto usu venire, ut, quod cupide adpetieris, cupide adpetisse et, quod temere repudiaveris, temere repudiasse dicaris
E avendoci reso più attenti con questa raccomandazione disse: "Considerate a fondo, cosa producono queste parole, e mi dica, per favore, qualcuno di voi, se ci sia qualche forza o grazia di una tale frase: "Se respingere sconsideratamente queste cose, che durante questi anni avete avidamente desiderato e voluto, non può mancare, che o siate ritenuti aver desiderato avidamente un tempo o aver rifiutato ora inopportunamente"

[VI] Infatti a chi di tutti gli uomini non viene in mente che ciò diventa subito abitudine, cosicché, sarai ritenuto aver cercato frettolosamente quello che avrai desiderato avidamente e, aver sconsideratamente rifiutato, ciò che hai rifiutato sconsideratamente
[VII] At si, opinor," inquit "ita scriptum esset: "Quae vos per hosce annos adpetistis atque volvistis, ea nunc si repudiaritis, abesse non potest, quin aut olim cupide adpetisse aut nunc temere repudiasse dicamini", [VIII] si ita" inquit "diceretur, gravior scilicet solidiorque fieret sententia et acciperet aliquid iustae in audiendo expectationis; [IX] nunc autem verba haec "cupide" et "temere", in quibus verbis omne momentum rei est, non in concludenda sententia tantum dicuntur, sed supra quoque nondum desiderata ponuntur, et quae nasci oririque ex ipsa rei conceptione debebant, ante omnino, quam res postulat, dicuntur [VII] Ma se, penso, "è stato scritto così - dici: "Quelle cose, che durante questi anni avete desiderato e voluto, se ora le rifiutate, non può mancare, che siate ritenuti o aver desiderato avidamente un tempo o aver rifiutato sconsideratamente ora", [VIII] se - affermi- si dicesse così, la frase sarebbe certo più notevole e più incisiva e acquisterebbe qualcosa di giusto nella richiesta dell'aspettativa; [IX] ora dunque queste parole "avidamente" e "sconsideratamente", nelle cui parole c'è tutta l'importanza della cosa, non sono dette solo nella frase da concludere, ma sono riportate superiormente anche non richieste, e quelle che dovevano derivare e originarsi dalla stessa considerazione della cosa, sono dette, generalmente prima, che l'argomento richieda

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Latino: dall'autore Gellio, opera Notti attiche parte Liber 13, 21-24

Nam qui ita dicit: "si hoc feceris, cupide fecisse diceris", rem dicit sensus alicuius ratione conlectam et consertam; qui vero ita dicit: "si cupide feceris, cupide fecisse diceris", non longe secus dicit, atque si diceret: "si cupide feceris, cupide feceris"

[X] Haec ego" inquit "admonui, non ut C

Graccho vitio darem - dii enim mentem meliorem mihi
Infatti chi dice così: "se avrai fatto ciò, sarai detto aver agito frettolosamente", dice una cosa dedotta e collegata con il motivo di qualche spiegazione; chi invece dice così: "se avrai agito avidamente, sarai considerato aver agito frettolosamente", non dice molto diversamente, se dicesse: "se avrai agito frettolosamente, avrai agito precipitosamente"

[X] " Ho riferito - dice-queste cose, non perché io l'attribuissi a colpa a C

Gracco- infatti gli dei mi (diano) un sentimento migliore