Cicerone, De Finibus: Libro 05; 11-15, pag 2

Cicerone, De Finibus: Libro 05; 11-15

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 05; 11-15
Etenim omnium rerum, quas et creat natura et tuetur, quae aut sine animo sunt aut multo secus, earum summum bonum in corpore est, ut non inscite illud dictum videatur in sue, animum illi pecudi datum pro sale, ne putisceret

[14] Sunt autem bestiae quaedam, in quibus inest aliquid simile virtutis, ut in leonibus, ut in canibus, in equis, in quibus non corporum solum, ut in suibus, sed etiam animorum aliqua ex parte motus quosdam videmus

In homine autem summa omnis animi est et in animo rationis, ex qua virtus est, quae rationis absolutio definitur, quam etiam atque etiam explicandam putant

[39] Earum etiam rerum, quas terra gignit, educatio quaedam et perfectio est non dissimilis animantium

Itaque et 'vivere' vitem et 'mori' dicimus arboremque et 'novellan' et 'vetulam' et 'vigere' et 'senescere'
Effettivamente, di tutte le cose che la natura crea e mantiene, quelle che sono senza anima, o poco diverse, hanno il loro bene situato nel corpo; tanto che non sembra sciocco quel detto a proposito del maiale: a tale bestia lanima è stata data sotto forma di sale, ad evitar che marcisca

[14] Vi sono invece certe bestie che hanno in sé qualcosa di simile alla virtù, come per esempio il leone, il cane, il cavallo, in cui riscontriamo non solo certi movimenti del corpo, come nel maiale, ma anche, per qualche rispetto, dellanima

Ma nelluomo tutto sta nellanima, e nellanima tutto sta nella ragione, da cui deriva la virtù, che vien definita come forma perfetta della ragione: essa, ritengono questi filosofi, richiede ancora e sempre unaccurata analisi

[39] Anche per i prodotti della terra cè una certa qual educazione e perfezionamento non diverso che per gli esseri viventi

Pertanto diciamo che una vite vive e muore , e che un albero è giovane e un po vecchio e che è in vigore e sta invecchiando
Ex quo non est alienum, ut animantibus, sic illis et apta quaedam ad naturam putare et aliena earumque augendarum et alendarum quandam cultricem esse, quae sit scientia atque ars agricolarum, quae circumcidat, amputet, erigat, extollat, adminiculet, ut, quo natura ferat, eo possint ire, ut ipsae vites, si loqui possint, ita se tractandas tuendasque esse fateantur

Et nunc quidem quod eam tuetur, ut de vite potissimum loquar, est id extrinsecus; in ipsa enim parum magna vis inest, ut quam optime se habere possit, si nulla cultura adhibeatur

[40] At vero si ad vitem sensus accesserit, ut appetitum quendam habeat et per se ipsa moveatur, quid facturam putas

An ea, quae per vinitorem antea consequebatur, per se ipsa curabit
Di conseguenza, non è fuori luogo ritenere che per essi, come per gli esseri viventi, esistono certe cose connesse con la natura ed altre ad essa estranee, e che per farli crescere e per alimentarli esiste pure una coltivatrice, che è la scienza e larte degli agricoltori: essa provvede a cimare, potare, drizzare, inalzare, sostenere per dare ad essi la possibilità di andare dove la natura porta; cosicché le stesse viti, se potessero parlare, riconoscerebbero di dover essere trattate e curate così

Orbene, lessere curata, per parlare di preferenza della vite, è per essa un fatto esterno: essa ha in sé ben poca forza per potersi trovare nella migliore situazione possibile, se non intervenisse affatto la coltivazione

[40] Però, se alla vite si applicasse la sensibilità, in modo che avesse qualche inclinazione e si muovesse da se stessa, che pensi che farebbe

Forse prenderà cura da sé di ciò che prima otteneva mediante il vignaiolo
Sed videsne accessuram ei curam, ut sensus quoque suos eorumque omnem appetitum et si qua sint adiuncta ei membra tueatursic ad illa, quae semper habuit, iunget ea, quae postea accesserint, nec eundem fínem habebit, quem cultor eius habebat, sed volet secundum eam naturam, quae postea ei adiuncta erit, vivere

Ita similis erit ei finis boni, atque antea fuerat, neque idem tamen; non enim iam stirpis bonum quaeret, sed animalis

Quid, si non sensus modo ei sit datus, verum etiam animus hominis

Non necesse est et illa pristina manere, ut tuenda sint, et haec multo esse cariora, quae accesserint animique optimam quamque partem carissimam, in eaque expletione naturae summi boni finem consistere, cum longe multumque praestet mens atque ratio
Ma vedi che avrebbe in più la preoccupazione di proteggere anche i propri sensi e ogni loro inclinazione e le eventuali membra ad essa aggiunte-così unirà a ciò che ha sempre avuto ciò che si è aggiunto in séguito, e non avrà il medesimo termine ultimo che aveva il suo coltivatore, ma vorrà vivere secondo quella natura che le sarà stata aggiunta in séguito

Così il termine estremo del bene sarà per essa simile a quello di prima, non però il medesimo; giacché non cercherà più il bene di una pianta ma di un essere animato

E se le fosse data non solo la sensibilità ma anche lanima di un uomo

Non ne consegue necessariamente che permangono da curare gli elementi primitivi, e sono molto più cari quelli che sono intervenuti in aggiunta, e più cara di tutto la parte migliore dellanima, e che in tale completa realizzazione della natura consiste il termine estremo del sommo bene, dato che la mente e la ragione sono di gran lunga molto superiori

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Cicerone, De Finibus: Libro 03; 16-20

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 03; 16-20

Sic, quod est extremum omnium appetendorum atque ductum a prima commendatione naturae, multis gradibus adscendit, ut ad summum perveniret, quod cumulatur ex integritate corporis et ex mentis ratione perfecta

[15, 41] Cum igitur ea sit, quam exposui, forma naturae, si, ut initio dixi, simul atque ortus esset, se quisque cognosceret iudicareque posset quae vis et totius esset naturae et partium singularum, continuo videret quid esset hoc, quod quaerimus, omnium rerum, quasi expetimus, summum et ultimum nec ulla in re peccare posset

Nunc vero a primo quidem mirabiliter occulta natura est nec perspici nec cognosci potest

Progredientibus autem aetatibus sensim tardeve potius quasi nosmet ipsos cognoscimus
Così, quello che è il punto estremo di tutte le cose appetibili ed è derivato dalla primitiva raccomandazione di natura, sale per molti gradi per giungere al culmine, che è realizzato dallintegrità del corpo e dalla perfetta ragione della mente

[15, 41] Avendo la natura dunque laspetto che ho esposto, se quindi, come ho detto allinizio, ciascuno, appena nato, potesse conoscere se stesso e giudicare qual è lessenza della natura nel suo complesso e nelle sue singole parti, vedrebbe senzaltro che cosa è ciò che forma loggetto della nostra indagine, il punto supremo ed ultimo di tutto ciò che ricerchiamo, e non potrebbe più commettere errore

Ora invece, da principio, la natura resta straordinariamente occulta e non è possibile penetrarla o conoscerla

Con il passar degli anni, lentamente, o meglio tardi, veniamo per così dire a conoscere noi stessi
itaque prima illa commendatio, quae a natura nostri facta est nobis, incerta et obscura est, primusque appetitus ille animi tantum agit, ut salvi atque integri esse possimus

Cum autem dispicere coepimus et sentire quid, simus et quid animantibus ceteris differamus, tum ea sequi incipimus, ad quae nati sumus

[42] Quam similitudinem videmus in bestiis, quae primo, in quo loco natae sunt, ex eo se non commoventi deinde suo quaeque appetitu movetur

Serpere anguiculos, nare anaticulas, evolare merulas, cornibus uti videmus boves, nepas aculeis

Suam denique cuique naturam esse ad vivendum ducem

Quae similitudo in genere etiam humano apparet

Parvi enim primo ortu sic iacent, tamquam omnino sine animo sint
Pertanto quella prima raccomandazione, natura fece di noi a noi stessi, è incerta ed oscura, e quella prima inclinazione dellanima agisce solo in quanto possiamo restar salvi ed integri

Quando poi abbiamo cominciato ad aprire gli occhi e ad aver coscienza di ciò che siamo e della differenza che intercorre fra noi e gli altri esseri viventi, allora cominciamo a perseguire ciò per cui siamo nati

[42] Analoga condizione vediamo a proposito delle bestie: esse da principio non si muovono dal luogo in cui sono nate, poi ciascuna si muove seguendo la propria inclinazione

Vediamo i serpentelli strisciare, gli anatroccoli nuotare, i merli volare, i buoi usar le corna, gli scorpioni il pungiglione

Insomma ciascuno avere la propria natura come guida per vivere

Analoga condizione è chiaramente visibile anche a proposito del genere

Difatti, i piccoli stanno a giacere come se fossero del tutto senza anima

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 03; 21-22

Cum autem paulum firmitatis accessit, et animo utuntur et sensibus conitunturque, ut sese erigant, et manibus utuntur et eos agnoscunt, a quibus educantur

Deinde aequalibus delectantur libenterque se cum iis congregant dantque se ad ludendum fabellarumque auditione ducuntur deque eo, quod ipsis superat, aliis gratificari volunt animadvertuntque ea, quae domi fiunt, curiosius incipiuntque commentari aliquid et discere et eorum, quos vident, volunt non ignorare nomina, quibusque rebus cum is aequalibus decertant, si vicerunt, efferunt se laetitia, victi debilitantur animosque demittunt

Quorum sine causa fieri nihil putandum est
Quando poi sopravviene un po di robustezza, usano lanima e i sensi e si sforzano per drizzarsi, e usano le mani e riconoscono le persone da cui sono allevati

In séguito trovan piacere con i coetanei e volentieri si uniscono ad essi e si dànno ai trastulli e sono attratti dalla narrazione delle favole e vogliono fare omaggio agli altri di ciò che essi hanno in esuberanza, e notano con maggior interesse ciò che a riflettere e ad imparare, e vogliono sapere i nomi delle persone che vedono, e quando gareggiano con i coetanei, non stanno in sé per lallegrezza, se son vinti, si abbattono e si avviliscono

da ritenere che nulla di tutto ciò avvenga motivo
[43] Est enim natura sic generata vis hominis, ut ad omnem virtutem percipiendam facta videatur, ob eamque causam parvi virtutum simulacris, quarum in se habent semina, sine doctrina moventur; sunt enim prima elementa naturae, quibus auctis vírtutis quasi germen efficitur

Nam cum ita nati factique simus, ut et agendi aliquid et diligendi aliquos et liberalitatis et referendae gratiae principia in nobis contineremus atque ad scientiam, prudentiam, fortitudinem aptos animos haberemus a contrariisque rebus alienos, non sine causa eas, quas dixi, in pueris virtutum quasi scintillas videmus, e quibus accendi philosophi ratio debet, ut eam quasi deum ducem subsequens ad naturae perveniat extremum
[43] In realtà lessenza delluomo è stata creata da natura in modo che sembra fatta per cogliere ogni virtù, perciò i piccoli, ricevuto insegnamento, sono mossi da parvenze di virtù, di cui hanno in sé i germi: si tratta dei principi fondamentali di natura che con il loro sviluppo producono per così dire il germoglio della virtù

Effettivamente essendo noi nati e fatti così tali che abbiamo in noi i principi dellazione, dellaffetto, della generosità e della riconoscenza e abbiamo lanima portata alla scienza, allassennatezza, alla fortezza e aliena dai loro contrari, non è senza motivo vediamo nei fanciulli, come ho già spiegato, quelle, vorrei dire, faville delle virtù, da cui deve essere accesa la ragione del filosofo affinché egli raggiunga il punto estremo della natura prendendola a guida come se fosse una divinità

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Nam, ut saepe iam dixi, in infirma aetate inbecillaque mente vis naturae quasi per caliginem cernitur; cum autem progrediens confirmatur animus, agnoscit ille quidem naturae vim, sed ita, ut progredi possit longius, per se sit tantum inchoata Giacché, come ho già detto spesso, quando letà è ancor tenera e la mente è debole, lessenza della natura si scorge come attraverso nebbia; quando poi nel suo sviluppo lanima si rafforza, nosce, è vero, lessenza della natura, ma in modo che questa possa svilupparsi ulteriormente, di per sé però sia soltanto abbozzata

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