poi viene Leonor. Le finestre diventano luce, le ragnatele tende preziose di nuvole e stelle.
Così Elsa Morante rende omaggio in una poesia all'amica con cui intrattiene per anni una fitta corrispondenza
la prima figura su cui si posa lo sguardo è quella dell'uomo, le cui membra sono distese in primissimo piano, abbandonate in un sonno tanto profondo da lasciar supporre che sia frutto di un incantesimo. La nudità del suo corpo da efebo lo fa apparire inerme e, a dispetto dell'ombra di barba sul mento la sua bellezza androgina rende quanto mai incerto il suo sesso, esibito proprio al centro del dipinto ma occultato da un lembo di stoffa. Una studiata ambiguità, che lo fa percepire come un essere ibrido, al pari di quello che solo in una seconda battuta si distingue nell'ombra dietro di lui.
La nera creatura mitologica, senza dubbio femmina, a cavallo tra l'umano e il felino, alla quale Leonor ha donato, come spesso è solita fare, le fattezze del suo volto, appare maestosa e regale, con quel drappo prezioso deposto sulla schiena a mo' di sella e gioielli che le scintillano addosso avvolgendo anche la sua capigliatura leonina. Ben desta nonostante le palpebre abbassate, è forse intenta a scrutare i mondi invisibili mentre resta accucciata a guardia del giovane assorbito.
Non è chiaro se il suo intento sia protettivo o vagamente minaccioso. E' certo però che tra le due figure, il rapporto non sia propriamente di parità. La donna-sfinge, benché in secondo piano, appare in realtà dominante nel suo sovrastare l'uomo con il proprio corpo, incombendogli sul volto con i seni generosi, mentre le spropositate piume della sua acconciatura lo avvolgono come un arco, saldandosi a un tralcio di rampicante che pare voler raggiungere con le sue diramazioni la caviglia di lui. Anche la natura è un' emanazione del potere anche archetipico femminile, detentore del mistero della vita e della morte.