Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 17-18 Parte 02, pag 3

Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 17-18 Parte 02

Latino: dall'autore Seneca, opera Lettere a Lucilio parte Libri 17-18 Parte 02

Inde in omnem vitam balneum fugimus;decoquere corpus atque exinanire sudoribus inutile simul delicatumque credidimus

Cetera proiecta redierunt, ita tamen ut quorum abstinentiam interrupi modumservem et quidem abstinentiae proximiorem, nescio an difficiliorem, quoniamquaedam absciduntur facilius animo quam temperantur

Quoniam coepi tibi exponere quanto maiore impetu ad philosophiamiuvenis accesserim quam senex pergam, non pudebit fateri quem mihi amoremPythagoras iniecerit

Sotion dicebat quare ille animalibus abstinuisset,quare postea Sextius

Dissimilis utrique causa erat, sed utrique magnifica

Hic homini satis alimentorum citra sanguinem esse credebat et crudelitatisconsuetudinem fieri ubi in voluptatem esset adducta laceratio
Da allora ho sempre evitato i bagni caldi: ritengo inutile e insieme segno di mollezza far cuocere il corpo ed esaurirlo col sudore

Le altre abitudini che avevo eliminato sono ritornate; non ho mantenuto l'astinenza totale, ma ho conservato una misura molto vicina all'astinenza, forse più difficile, poiché certe consuetudini è più facile troncarle che moderarle

Visto che ho cominciato a raccontarti come da giovane mi sono accostato alla filosofia con uno slancio maggiore di quello con cui continuo da vecchio, non mi vergognerò di confessarti il mio amore per la filosofia pitagorica

Sozione spiegava perché Pitagora si era astenuto, dal mangiar carne e perché in sèguito se ne era astenuto Sestio

Le loro motivazioni erano diverse, ma entrambe nobili

Secondo Sestio l'uomo dispone di una quantità sufficiente di alimenti senza che versi sangue e inoltre, quando si straziano dei corpi per il proprio piacere, si crea un'abitudine alla crudeltà
Adiciebatcontrahendam materiam esse luxuriae; colligebat bonae valetudini contrariaesse alimenta varia et nostris aliena corporibus

At Pythagoras omniuminter omnia cognationem esse dicebat et animorum commercium in alias atquealias formas transeuntium

Nulla, si illi credas, anima interit, ne cessatquidem nisi tempore exiguo, dum in aliud corpus transfunditur

Videbimusper quas temporum vices et quando pererratis pluribus domiciliis in hominemrevertatur: interim sceleris hominibus ac parricidii metum fecit, cum possentin parentis animam inscii incurrere et ferro morsuve violare, si in quo corpore cognatus aliqui spiritus hospitaretur

Haec cum exposuissetSotion et implesset argumentis suis, 'non credis' inquit 'animas in aliacorpora atque alia discribi et migrationem esse quod dicimus mortem
Aggiungeva poi che dobbiamo ridurre i motivi di dissolutezza; e concludeva che la varietà di alimenti è dannosa alla salute e nociva al nostro corpo

Pitagora, invece, sosteneva l'esistenza di una parentela di tutti gli esseri fra loro e la trasmigrazione delle anime da una forma di vita all'altra

Nessun'anima, secondo lui, muore o rimane inerte, se non nell'attimo in cui passa in un altro corpo

Vedremo in sèguito attraverso quali avvicendamenti e quando, dopo aver cambiato più dimore, l'anima ritorni in un uomo: diciamo intanto che egli ha fatto nascere negli uomini la paura di un delitto e di un parricidio, data lapossibilità d'imbattersi, senza saperlo, nell'anima di un genitore, e di oltraggiarla scannando o mangiando un essere in cui alberga lo spirito diqualche congiunto

Sozione mi espose queste teorie e vi aggiunseargomentazioni sue proprie, poi mi chiese: Non credi che le anime siano assegnate successivamente a corpi diversi e che quella che chiamiamo morte sia solo un trapasso
Noncredis in his pecudibus ferisve aut aqua mersis illum quondam hominis animummorari

Non credis nihil perire in hoc mundo, sed mutare regionem

nectantum caelestia per certos circuitus verti, sed animalia quoque per vicesire et animos per orbem agi

Magni ista crediderunt viri

Itaque iudiciumquidem tuum sustine, ceterum omnia tibi in integro serva

Si vera suntista, abstinuisse animalibus innocentia est; si falsa, frugalitas est

Quod istic credulitatis tuae damnum est

alimenta tibi leonum et vulturumeripio

' His ego instinctus abstinere animalibus coepi, et anno peractonon tantum facilis erat mihi consuetudo sed dulcis

Agitatiorem mihi animumesse credebam nec tibi hodie adfirmaverim an fuerit

Quaeris quomodo desierim
Non credi che negli animali domestici o feroci o acquatici possa esserci l'anima che un tempo fu di un uomo

Non credi che nulla finisca in questo mondo, ma muti unicamente sede

Che non solo i corpi celesti percorrano un cammino prefissato, ma anche gli esseri animati abbiano i loro cicli e che le anime seguano una loro orbita

Grandi uomini hanno creduto a queste teorie

Astieniti perciò da un giudizio e lascia tutto in sospeso

Se queste teorie sono vere, l'astinenza dalle carni ci rende immuni da colpe; se sono false, ci rendefrugali

Che danno te ne deriva a crederci

Ti impedisco di nutrirti come i leoni e gli avvoltoi

Stimolato da questi discorsi, cominciai adastenermi dalle carni: dopo un anno era diventata per me un'abitudine non solo facile, ma anche piacevole

Avevo la sensazione che il mio spiritofosse più vivace, ma oggi non potrei dirti con sicurezza se lo fosse veramente

Vuoi sapere come ho abbandonato questa pratica

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Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 17-18 (parte 01)
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Latino: dall'autore Seneca, opera Lettere a Lucilio parte Libri 17-18 (parte 01)

In primum Tiberii Caesaris principatum iuventae tempus inciderat: alienigenatum sacra movebantur et inter argumenta superstitionis ponebatur quorundamanimalium abstinentia

Patre itaque meo rogante, qui non calumniam timebatsed philosophiam oderat, ad pristinam consuetudinem redii; nec difficultermihi ut inciperem melius cenare persuasit

Laudare solebat Attalusculcitam quae resisteret corpori: tali utor etiam senex, in qua vestigiumapparere non possit

Haec rettuli ut probarem tibi quam vehementes haberent tirunculi impetusprimos ad optima quaeque, si quis exhortaretur illos, si quis inpelleret

Sed aliquid praecipientium vitio peccatur, qui nos docent disputare, nonvivere, aliquid discentium, qui propositum adferunt ad praeceptores suosnon animum excolendi sed ingenium

Itaque quae philosophia fuit facta philologiaest
La mia giovinezza coincise con i primi anni del regno di Tiberio: i culti stranieri erano allora messi al bando e l'astinenza dalle carni di certi animali era considerata una prova di pratiche superstiziose

Per le preghiere di mio padre, che non temeva le false accuse, ma odiava la filosofia, ritornai alle vecchie abitudini; egli mi convinse senza difficoltà a mangiare meglio

Attalo, poi, raccomandava di dormire su un materasso duro: e io anche ora, da vecchio, ne uso uno su cui non rimane il segno del corpo

Ti ho raccontato questo per dimostrarti come siano impetuosi da principio gli slanci dei novizi verso tutte le virtù, se qualcuno li stimola e li sprona

Ma qualche errore si commette per colpa dei maestri che ci insegnano a discutere, non a vivere, qualche altro per colpa dei discepoli che frequentano le scuole non col proposito di esercitare lo spirito, ma l'ingegno

Così quella che fu filosofia è diventata filologia
Multum autem ad rem pertinet quo proposito ad quamquam rem accedas

Qui grammaticus futurus Vergilium scrutatur non hoc animo legit illud egregium fugit inreparabile tempus: 'vigilandum est; nisi properamus relinquemur; agit nos agiturque veloxdies; inscii rapimur; omnia in futurum disponimus et inter praecipitialenti sumus': sed ut observet, quotiens Vergilius de celeritate temporumdicit, hoc uti verbo illum 'fugit'

Optima quaeque dies miseris mortalibus aeviprima fugit; subeunt morbi tristisque senectuset labor, et durae rapit inclementia mortis

Ille qui ad philosophiam spectat haec eadem quo debet adducit

'NumquamVergilius' inquit 'dies dicit ire, sed fugere, quod currendi genus concitatissimumest, et optimos quosque primos rapi: quid ergo cessamus nos ipsi concitare,ut velocitatem rapidissimae rei possimus aequare
molto importante, però, il proposito con cui ci si accosta a una qualunque materia

Se uno studia Virgilio come grammatico, non legge quello straordinario verso: Fugge inesorabile il tempo con questo spirito: Bisogna stare all'erta; se non ci affrettiamo, rimarremo indietro; i giorni ci incalzano e si incalzano veloci; siamo trascinati via e non ce ne rendiamo conto; rimettiamo tutto al futuro e indugiamo mentre ogni cosa precipita: nota, invece, come ogni volta che parla della celerità del tempo, Virgilio usa questo verbo: fugge

I giorni migliori della vita sfuggono per primi ai miseri mortali; sopraggiungono le malattie la triste vecchiaia la sofferenza, e ci trascina via la morte spietata e crudele

Chi ha di mira la filosofia, interpreta questi stessi versi nella maniera dovuta

Virgilio, osserva, non dice mai che i giorni passano, ma che fuggono, verbo che indica il modo più rapido di correre, e che i giorni migliori ci vengono strappati per primi: perché dunque non ci incitiamo a uguagliare la rapidità di una cosa tanto veloce

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Meliora praetervolant,deteriora succedunt

' Quemadmodum ex amphora primum quod est sincerissimumeffluit, gravissimum quodque turbidumque subsidit, sic in aetate nostraquod est optimum in primo est

Id exhauriri in aliis potius patimur,ut nobis faecem reservemus

Inhaereat istud animo et tamquam missum oraculoplaceat: optima quaeque dies miseris mortalibus aevi prima fugit

Quare optima

quia quod restat incertum est

Quare optima

quia iuvenespossumus discere, possumus facilem animum et adhuc tractabilem ad melioraconvertere; quia hoc tempus idoneum est laboribus, idoneum agitandis perstudia ingeniis [est] et exercendis per opera corporibus: quod superestsegnius et languidius est et propius a fine
Il meglio svanisce, subentra il peggio

Come da un'anfora fuoriesce prima il vino più schietto, mentre il più pesante e torbido sedimenta, così della nostra esistenza la parte migliore è la prima

E noi lasciamo che altri l'attingano e ce ne riserviamo la feccia

Imprimiamoci nell'anima questi versi e consideriamoli quasi il responso di un oracolo:I giorni migliori della vita sfuggono per primi al miseri mortali

Perché i migliori

Perché quanto rimane è incerto

Perché i migliori

Perché da giovani possiamo imparare, possiamo indirizzare al meglio l'anima ancora docile e duttile; perché questo periodo è adatto alle fatiche, adatto a stimolare la mente con gli studi e a esercitare il corpo con il lavoro: negli anni che ci rimangono siamo più deboli e fiacchi e più vicini alla fine
Itaque toto hoc agamus animoet omissis ad quae devertimur in rem unam laboremus, ne hanc temporis pernicissimiceleritatem, quam retinere non possumus, relicti demum intellegamus

Primusquisque tamquam optimus dies placeat et redigatur in nostrum

Quodfugit occupandum est

Haec non cogitat ille qui grammatici oculis carmenistud legit, ideo optimum quemque primum esse diem quia subeunt morbi,quia senectus premit et adhuc adulescentiam cogitantibus supra caput est,sed ait Vergilium semper una ponere morbos et senectutem -- non meherculesinmerito; senectus enim insanabilis morbus est

'Praeterea' inquit'hoc senectuti cognomen inposuit, tristem illam vocat: subeunt morbi tristisque senectus

Alio loco dicitpallentesque habitant Morbi tristisque Senectus
Perseguiamo perciò un unico scopo con tutta l'anima e, tralasciato ogni motivo di distrazione, diamoci da fare solo a questo fine: che non ci si debba accorgere, quando ormai siamo rimasti indietro, di questa rovinosissima e irrefrenabile velocità del tempo

Apprezziamo i nostri primi giorni come i migliori e traiamone profitto

Impadroniamoci del tempo che fugge

Se uno legge questi versi con gli occhi dell'erudito non pensa che i primi giorni siano i migliori perché poi subentrano le malattie, la vecchiaia incalza e sovrasta gli uomini quando ancòra pensano all'adolescenza, ma nota come Virgilio colleghi sempre malattie e vecchiaia, e a ragione: la vecchiaia è una malattia inguaribile

Inoltre egli aggiunge Virgilio dà alla vecchiaia questo attributo, la chiama 'triste': subentrano le malattie e la triste vecchiaia

In un altro passo scrive: vi abitano le pallide Malattie e la triste Vecchiaia

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'Non est quod mireris ex eadem materia suis quemque studiis apta colligere:in eodem prato bos herbam quaerit, canis leporem, ciconia lacertam

Cum Ciceronis librum de re publica prendit hinc philologus aliquis,hinc grammaticus, hinc philosophiae deditus, alius alio curam suam mittit

Philosophus admiratur contra iustitiam dici tam multa potuisse

Cum adhanc eandem lectionem philologus accessit, hoc subnotat: duos Romanos regesesse quorum alter patrem non habet, alter matrem

Nam de Servi matre dubitatur;Anci pater nullus, Numae nepos dicitur

Praeterea notat eum quem nosdictatorem dicimus et in historiis ita nominari legimus apud antiquos magistrumpopuli' vocatum

Hodieque id extat in auguralibus libris, et testimoniumest quod qui ab illo nominatur 'magister equitum' est
Non c'è da meravigliarsi che dalla stessa materia ciascuno ricavi argomenti convenienti ai suoi studi: in uno stesso prato il bue cerca l'erba, il cane la lepre, la cicogna le lucertole

Quando un fdologo, un grammatico e un filosofo prendono in mano il De re publica di Cicerone, ciascuno rivolge la sua attenzione a elementi diversi

Il filosofo si meraviglia che si sia potuto parlare tanto contro la giustizia

Se alla stessa lettura si dedica invece il filologo, nota che ci sono due re di Roma di cui non si conosce dell'uno a padre, dell'altro la madre

Infatti non si sa con certezza chi fu la madre di Servio, di Anco non si menziona il padre: viene indicato come nipote di Numa

Osserva inoltre che fi magistrato che noi chiamiamo dittatore e che nei libri di storia viene così nominato, gli antichi lo chiamavano maestro del popolo

E oggi questo risulta evidente dal libro degli àuguri, e lo prova il fatto che la persona nominata dal dittatore è il maestro della cavalleria
Aeque notat Romulumperisse solis defectione; provocationem ad populum etiam a regibus fuisse;id ita in pontificalibus libris et aliqui qui putant et Fenestella

Eosdem libros cum grammaticus explicuit, primum [verba expresse] 'reapse'dici a Cicerone, id est 're ipsa', in commentarium refert, nec minus 'sepse',id est 'se ipse'

Deinde transit ad ea quae consuetudo saeculi mutavit,tamquam ait Cicero 'quoniam sumus ab ipsa calce eius interpellatione revocati

'Hanc quam nunc in circo 'cretam' vocamus 'calcem' antiqui dicebant

Deinde Ennianos colligit versus et in primis illos de Africano scriptos: cui nemo civis neque hostis quibit pro factis reddere opis pretium

Ex eo se ait intellegere opem apud antiquos non tantum auxilium significassesed operam

Ait opera enim Ennius neminem potuisse Scipioni neque civemneque hostem reddere operae pretium
Analogamente osserva che Romolo morì durante un'eclissi di sole; che ci si poteva appellare al popolo anche contro le sentenze dei re; così risulterebbe dai libri dei pontefici secondo Fenestella e altri studiosi

Se è il grammatico a fare l'esegesi dei medesimi libri, annota sùbito che Cicerone scrive reapse cioè re ipsa e sepse cioè se ipse

Poi passa a quelle espressioni che sono cambiate nel tempo, come in quel passo di Ciceronepoiché la sua interruzione ci ha riportati indietro dalla calce

La meta nel circo che ora chiamiamo creta, un tempo si chiamava calx

Quindi raccoglie i versi di Ennio, e soprattutto quelli sull'Africano: cui nessun concittadino o nemico potrà reddere opis pretium per le sue imprese

Egli ne deduce che in passato ops significava non solo 'aiuto', ma anche 'opera'

Ennio, infatti, vuol dire che nessun concittadino o nemico potécompensare l'opera di Scipione

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Felicem deinde se putat quodinvenerit unde visum sit Vergilio dicere quem super ingensporta tonat caeli

Ennium hoc ait Homero se subripuisse, Ennio Vergilium; esse enim apudCiceronem in his ipsis de re publica hoc epigramma Enni: si fas endo plagas caelestum ascendere cuiquam est, mi soli caeli maxima porta patet

Sed ne et ipse, dum aliud ago, in philologum aut grammaticum delabar,illud admoneo, auditionem philosophorum lectionemque ad propositum beataevitae trahendam, non ut verba prisca aut ficta captemus et translationesinprobas figurasque dicendi, sed ut profutura praecepta et magnificas voceset animosas quae mox in rem transferantur

Sic ista ediscamus ut quae fuerintverba sint opera

Nullos autem peius mereri de omnibus mortalibusiudico quam qui philosophiam velut aliquod artificium venale didicerunt,qui aliter vivunt quam vivendum esse praecipiunt
Si riterrà poi felice per aver trovato il modello di Virgilio: e sopra di lui tuona l'immensa porta del cielo

Dirà che Ennio l'ha preso da Omero, e Virgilio da Ennio; poiché in Cicerone, negli stessi libri del De re publica, si trova questo epigramma di Ennio: se è lecito a un uomo salire alle regioni celesti, per me solo si apre l'immensa porta del cielo

Ma per non finire anch'io, che ho ben altri intenti, tra i filologi e i grammatici, ti ricordo che i filosofi vanno ascoltati o letti avendo di mira la felicità e non per cogliere gli arcaismi o i neologismi, le metafore insensate e le figure retoriche, bensì i precetti utili, le massime nobili e coraggiose da mettere sùbito in pratica

Assimiliamo questi insegnamenti in modo che le parole si traducano in opere

Da parte mia non giudico nessuno più dannoso all'umanità di quegli uomini che hanno imparato la filosofia come un'arte per arricchirsi e vivono in contrasto con i loro insegnamenti

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