Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 01, pag 2

Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 01

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 05 Parte 01
Dicere porro hominum causa voluisse parare praeclaram mundi naturam proptereaque adlaudabile opus divom laudare decere aeternumque putare atque inmortale futurum, nec fas esse, deum quod sit ratione vetusta gentibus humanis fundatum perpetuo aevo, sollicitare suis ulla vi ex sedibus umquam nec verbis vexare et ab imo evertere summa, cetera de genere hoc adfingere et addere, Memmi, desiperest

quid enim inmortalibus atque beatis gratia nostra queat largirier emolumenti, ut nostra quicquam causa gerere adgrediantur

quidve novi potuit tanto post ante quietos inlicere ut cuperent vitam mutare priorem

nam gaudere novis rebus debere videtur cui veteres obsunt; sed cui nihil accidit aegri tempore in ante acto, cum pulchre degeret aevom, quid potuit novitatis amorem accendere tali
Dire, d'altro canto, che per amor degli uomini gli dèi vollero apprestare la magnifica natura del mondo e che perciò conviene lodare la loro opera lodevole e crederla eterna e destinata a durare immortale; e che non è giusto scuotere con alcuna violenza dalle fondamenta ciò che da antico disegno degli dèi fu costruito per le genti umane perché esistesse in perpetuo, o a parole oltraggiarlo e sovvertirlo dal fondo alla sommità: immaginare queste cose e aggiungerne altre di questo genere, o Memmio, è follia

Che vantaggio infatti la nostra gratitudine potrebbe arrecare ad esseri immortali e beati, sì che intraprendano a fare qualcosa per cagion nostra

O che novità poté dopo tanto allettare esseri che prima se n'erano stati quieti, sì che volessero mutare la vita anteriore

Difatti è evidente che di cose nuove deve godere chi ha danno dalle antiche; ma in colui cui nulla di doloroso accadde nel tempo andato, quando beatamente egli passava la vita, in un tale essere che cosa poté accendere amore di novità
quidve mali fuerat nobis non esse creatis

an, credo, in tenebris vita ac maerore iacebat, donec diluxit rerum genitalis origo

natus enim debet qui cumque est velle manere in vita, donec retinebit blanda voluptas; qui numquam vero vitae gustavit amorem nec fuit in numero, quid obest non esse creatum

exemplum porro gignundis rebus et ipsa notities hominum divis unde insita primum est, quid vellent facere ut scirent animoque viderent

quove modost umquam vis cognita principiorum quidque inter sese permutato ordine possent si non ipsa dedit speciem natura creandi
O che male sarebbe stato per noi non essere creati

Forse - ciò dovrei credere - la vita giaceva in tenebre e tristezza, finché non albeggiò l'origine primigenia delle cose

Infatti, chiunque è nato, è necessario che voglia restare in vita, finché lo tratterrà il carezzevole piacere; ma a colui che non gustò mai l'amore della vita, né visse mai, che nuoce il non essere stato creato

E poi, l'esemplare per la generazione delle cose e lo stesso concetto dell'uomo donde furono primamente impressi negli dèi, sì che sapessero e vedessero nella loro mente ciò che volevano fare

O in che modo mai si conobbe il potere dei primi elementi e che cosa questi potessero fare cambiando tra loro le disposizioni, se la natura stessa non dette l'esempio della creazione
namque ita multa modis multis primordia rerum ex infinito iam tempore percita plagis ponderibusque suis consuerunt concita ferri omnimodisque coire atque omnia pertemptare, quae cumque inter se possint congressa creare, ut non sit mirum, si in talis disposituras deciderunt quoque et in talis venere meatus, qualibus haec rerum geritur nunc summa novando

Quod [si] iam rerum ignorem primordia quae sint, hoc tamen ex ipsis caeli rationibus ausim confirmare aliisque ex rebus reddere multis, nequaquam nobis divinitus esse paratam naturam rerum: tanta stat praedita culpa

principio quantum caeli tegit impetus ingens, inde avidam partem montes silvaeque ferarum possedere, tenent rupes vastaeque paludes et mare, quod late terrarum distinet oras

inde duas porro prope partis fervidus ardor adsiduusque geli casus mortalibus aufert
E in verità tanto numerosi primi elementi delle cose, in molti modi, da tempo infinito fino ad ora stimolati dagli urti e tratti dal proprio peso, sono soliti muoversi e vagare e in ogni modo congiungersi e provare tutto quanto possano produrre aggregandosi tra loro, che non meraviglia se caddero anche in tali disposizioni e giunsero a tali movimenti quali son quelli per cui ora il nostro universo rinnovandosi vive

E quand'anche ignorassi quali siano i primi elementi delle cose, questo tuttavia oserei affermare in base agli stessi fenomeni del cielo e comprovare in forza di molte altre cose: che la natura del mondo non è stata per nulla disposta dal volere divino per noi: di così grande difetto essa è dotata

In primo luogo, di quanto copre l'ampia distesa del cielo, una grande parte è occupata da monti e selve dominio di belve, la posseggono rupi e deserte paludi e il mare che vastamente disgiunge le rive delle terre

Inoltre, quasi due terzi il bruciante calore e l'assiduo cadere del gelo li tolgono ai mortali

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Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 05 Parte 03

quod super est arvi, tamen id natura sua vi sentibus obducat, ni vis humana resistat vitai causa valido consueta bidenti ingemere et terram pressis proscindere aratris

si non fecundas vertentes vomere glebas terraique solum subigentes cimus ad ortus sponte sua nequeant liquidas existere in auras et tamen inter dum magno quaesita labore cum iam per terras frondent atque omnia florent, aut nimiis torret fervoribus aetherius sol aut subiti peremunt imbris gelidaeque pruinae flabraque ventorum violento turbine vexant

praeterea genus horriferum natura ferarum humanae genti infestum terraque marique cur alit atque auget

cur anni tempora morbos adportant quare mors inmatura vagatur

Ciò che resta di terra coltivabile, la natura con la propria forza lo coprirebbe tuttavia di rovi, se non le resistesse la forza dell'uomo, per i bisogni della vita avvezzo a gemere sul robusto bidente e a solcare la terra cacciandovi a fondo l'aratro

Se, rivoltando col vomere le glebe feconde e domando il suolo della terra, non le stimolassimo al nascere, spontaneamente le piante non potrebbero sorgere nell'aria pura; e nondimeno, talora, procurate con grande fatica, quando già per i campi frondeggiano e tutte fioriscono, o le brucia con eccessivi calori l'etereo sole o le distruggono improvvise piogge e gelide brine, e le devasta con violento turbine il soffiare dei venti

E poi, la razza orrenda delle fiere, nemica del genere umano, perché la natura in terra e in mare la alimenta e la accresce

Perché le stagioni apportano malattie Perché la morte prematura s'aggira qua e là

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