Potitii ab Evandro edocti antistites sacri eius per multas aetates fuerunt, donec tradito seruis publicis sollemni familiae ministerio genus omne Potitiorum interiit Haec tum sacra Romulus una ex omnibus peregrina suscepit, iam tum immortalitatis virtute partae ad quam eum sua fata ducebant fautor [8] Rebus divinis rite perpetratis vocataque ad concilium multitudine quae coalescere in populi unius corpus nulla re praeterquam legibus poterat, iura dedit; quae ita sancta generi hominum agresti fore ratus, si se ipse venerabilem insignibus imperii fecisset, cum cetero habitu se augustiorem, tum maxime lictoribus duodecim sumptis fecit Alii ab numero auium quae augurio regnum portenderant eum secutum numerum putant |
I Potizi, istruiti da Evandro, furono per molte generazioni sacerdoti di questo rito sacro, fino al tempo in cui, affidato ai servi di Stato il solenne officio della famiglia, l'intera stirpe dei Potizi si estinse Questi furono gli unici, fra tutti i riti di importazione, a essere allora accolti da Romolo, già in quel periodo conscio dell'immortalità che avrebbe ottenuto col valore e verso la quale lo conduceva il suo destino [8] Sistemata la sfera del divino in maniera conforme alle usanze religiose e convocata in assemblea la massa, che nulla, salvo il vincolo giuridico, poteva unire nel complesso di un solo popolo, diede loro un sistema di leggi e pensando che esso sarebbe stato inviolabile per quei rozzi villici solo a patto di rendere se stesso degno di venerazione per i segni distintivi dell'autorità, diventò più maestoso sia nel resto della persona sia soprattutto grazie ai dodici littori di cui si circondò Alcuni ritengono che egli adottò il numero in base a quello degli uccelli che, col loro augurio, gli avevano pronosticato il regno |
Me haud paenitet eorum sententiae esse quibus et apparitores hoc genus ab Etruscis finitimis, unde sella curulis, unde toga praetexta sumpta est, et numerum quoque ipsum ductum placet, et ita habuisse Etruscos quod ex duodecim populis communiter creato rege singulos singuli populi lictores dederint Crescebat interim urbs munitionibus alia atque alia appetendo loca, cum in spem magis futurae multitudinis quam ad id quod tum hominum erat munirent Deinde ne uana urbis magnitudo esset, adiciendae multitudinis causa vetere consilio condentium urbes, qui obscuram atque humilem conciendo ad se multitudinem natam e terra sibi prolem ementiebantur, locum qui nunc saeptus descendentibus inter duos lucos est asylum aperit |
A me non dispiace la tesi di quelli che sostengono importati dalla confinante Etruria (donde furono introdotte la sedia curule e la toga pretesta) tanto questo tipo di subalterni quanto il loro stesso numero; essi ritengono che la cosa fosse così presso gli Etruschi dal momento che, una volta eletto il re dall'insieme dei dodici popoli, ciascuno di essi forniva un littore a testa Nel frattempo la città cresceva in fortificazioni che abbracciavano dentro la loro cerchia sempre nuovi spazi: si costruiva più nella speranza di un incremento demografico negli anni a venire che per le proporzioni presenti della popolazione In séguito, perché l'ampliamento della città non fosse fine a se stesso, col pretesto di aumentare la popolazione secondo l'antica idea di quanti fondavano città (i quali, radunando intorno a sé genti senza un passato alle spalle, facevano credere loro di essere autoctoni), creò un punto di raccolta là dove oggi, per chi voglia salire a vedere, c'è un recinto tra due boschi |
Eo ex finitimis populis turba omnis sine discrimine, liber an seruus esset, auida novarum rerum perfugit, idque primum ad coeptam magnitudinem roboris fuit Cum iam virium haud paeniteret consilium deinde viribus parat Centum creat senatores, sive quia is numerus satis erat, sive quia soli centum erant qui creari patres possent Patres certe ab honore patriciique progenies eorum appellati [9] Iam res Romana adeo erat ualida ut cuilibet finitimarum civitatum bello par esset; sed penuria mulierum hominis aetatem duratura magnitudo erat, quippe quibus nec domi spes prolis nec cum finitimis conubia essent |
Lì, dalle popolazioni confinanti, andò a riparare una massa eterogenea di individui - nessuna distinzione tra liberi e schiavi - avida di cose nuove: e questo fu il primo energico passo in direzione del progetto di ampliamento Ormai soddisfatto di tali forze, provvede a dotarli di un'assemblea Elegge cento senatori, sia perché questo numero era sufficiente, sia perché erano soltanto cento quelli che potevano ambire a una carica del genere In ogni caso, quest'onore gli valse il titolo di padri, mentre i loro discendenti furono chiamati patrizi [9] Roma era ormai così potente che poteva permettersi di competere militarmente con qualunque popolo dei dintorni; ma per la penuria di donne questa grandezza era destinata a durare una sola generazione, perché essi non potevano sperare di avere figli in patria né di sposarsi con donne della zona |
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Livio, Ab urbe condita: Libro 02 ; 11 - 24
Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 02 ; 11 - 24
Tum ex consilio patrum Romulus legatos circa vicinas gentes misit qui societatem conubiumque novo populo peterent: urbes quoque, ut cetera, ex infimo nasci; dein, quas sua virtus ac di iuvent, magnas opes sibi magnumque nomen facere; satis scire, origini Romanae et deos adfuisse et non defuturam virtutem; proinde ne gravarentur homines cum hominibus sanguinem ac genus miscere Nusquam benigne legatio audita est: adeo simul spernebant, simul tantam in medio crescentem molem sibi ac posteris suis metuebant Ac plerisque rogitantibus dimissi ecquod feminis quoque asylum aperuissent; id enim demum compar conubium fore Aegre id Romana pubes passa et haud dubie ad vim spectare res coepit |
Allora, su consiglio dei senatori, Romolo inviò ambasciatori alle genti limitrofe per stipulare un trattato di alleanza col nuovo popolo e per favorire la celebrazione di matrimoni; essi dissero che anche le città, come il resto delle cose, nascono dal nulla; in séguito, grazie al loro valore e all'assistenza degli dèi, acquistano grande potenza e grande fama ed era un fatto assodato che alla nascita di Roma erano stati propizi gli dèi e che il valore non le sarebbe venuto a mancare; per questo, in un rapporto da uomo a uomo, non dovevano disdegnare di mescolare il sangue e la stirpe All'ambasceria non dette ascolto nessuno: tanto da una parte provavano un aperto disprezzo, quanto dall'altra temevano per sé e per i propri successori la crescita in mezzo a loro di una simile potenza Nell'atto di congedarli, la maggior parte dei popoli consultati chiedeva se non avessero aperto anche per le donne un qualche luogo di rifugio (quella infatti sarebbe stata una forma di matrimonio alla pari) La gioventù romana non la prese di buon grado e la cosa cominciò a scivolare inevitabilmente verso la soluzione di forza |
Cui tempus locumque aptum ut daret Romulus aegritudinem animi dissimulans ludos ex industria parat Neptuno equestri sollemnes; Consualia vocat Indici deinde finitimis spectaculum iubet; quantoque apparatu tum sciebant aut poterant, concelebrant ut rem claram exspectatamque facerent Multi mortales conuenere, studio etiam videndae novae urbis, maxime proximi quique, Caeninenses, Crustumini, Antemnates; iam Sabinorum omnis multitudo cum liberis ac coniugibus venit Inuitati hospitaliter per domos cum situm moeniaque et frequentem tectis urbem vidissent, mirantur tam breui rem Romanam crevisse Ubi spectaculi tempus venit deditaeque eo mentes cum oculis erant, tum ex composito orta vis signoque dato iuventus Romana ad rapiendas virgines discurrit |
Per conferire a essa tempi e luoghi appropriati, Romolo, dissimulando il proprio risentimento, allestisce apposta dei giochi solenni in onore di Nettuno Equestre e li chiama Consualia Quindi ordina di invitare allo spettacolo i popoli vicini e per caricarli di interesse e attese, i giochi vengono pubblicizzati con tutti i mezzi disponibili all'epoca Arrivò moltissima gente, an che per il desiderio di vedere la nuova città, e soprattutto chi abitava più vicino, cioè Ceninensi, Crustumini e Antenati; i Sabini, poi, vennero al completo, con tanto di figli e consorti Invitati ospitalmente nelle case, dopo aver visto la posizione della città, le mura fortificate e la grande quantità di abitazioni, si meravigliarono della rapidità con cui Roma era cresciuta Quando arrivò il momento previsto per lo spettacolo e tutti erano concentratissimi sui giochi, allora, come convenuto, scoppiò un tumulto e la gioventù romana, a un preciso segnale, si mise a correre all'impazzata per rapire le ragazze |
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Livio, Ab urbe condita: Libro 34; 45 - 49
Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 34; 45 - 49
Magna pars forte in quem quaeque inciderat raptae: quasdam forma excellentes, primoribus patrum destinatas, ex plebe homines quibus datum negotium erat domos deferebant Unam longe ante alias specie ac pulchritudine insignem a globo Thalassi cuiusdam raptam ferunt multisque sciscitantibus cuinam eam ferrent, identidem ne quis violaret Thalassio ferri clamitatum; inde nuptialem hanc vocem factam Turbato per metum ludicro maesti parentes virginum profugiunt, incusantes violati hospitii foedus deumque invocantes cuius ad sollemne ludosque per fas ac fidem decepti venissent Nec raptis aut spes de se melior aut indignatio est minor |
Molte finivano nelle mani del primo in cui si imbattevano: quelle che spiccavano sulle altre per bellezza, destinate ai senatori più insigni, venivano trascinate nelle loro case da plebei cui era stato affidato quel compito Si racconta che una di esse, molto più carina di tutte le altre, fu rapita dal gruppo di un certo Talasio e, poiché in molti cercavano di sapere a chi mai la stessero portando, gridarono più volte che la portavano a Talasio perché nessuno le mettesse le mani addosso; da quell'episodio deriva il nostro grido nuziale Finito lo spettacolo nel terrore, i genitori delle fanciulle fuggono affranti, accusandoli di aver violato il patto di ospitalità e invocando il dio in onore del quale eran venuti a vedere il rito e i giochi solenni, vittime di un'eccessiva fiducia nella legge divina Le donne rapite, d'altra parte, non avevano maggiori speranze circa se stesse né minore indignazione |
Sed ipse Romulus circumibat docebatque patrum id superbia factum qui conubium finitimis negassent; illas tamen in matrimonio, in societate fortunarum omnium civitatisque et quo nihil carius humano generi sit liberum fore; mollirent modo iras et, quibus fors corpora dedisset, darent animos; saepe ex iniuria postmodum gratiam ortam; eoque melioribus usuras viris quod adnisurus pro se quisque sit ut, cum suam vicem functus officio sit, parentium etiam patriaeque expleat desiderium Accedebant blanditiae virorum, factum purgantium cupiditate atque amore, quae maxime ad muliebre ingenium efficaces preces sunt [10] Iam admodum mitigati animi raptis erant; at raptarum parentes tum maxime sordida ueste lacrimisque et querellis civitates concitabant |
Ma Romolo in persona si aggirava tra di loro e le informava che la cosa era successa per l'arroganza dei loro padri che avevano negato ai vicini la possibilità di contrarre matrimoni; le donne, comunque, sarebbero diventate loro spose, avrebbero condiviso tutti i loro beni, la loro patria e, cosa di cui niente è più caro agli esseri umani, i figli; che ora dunque frenassero la collera e affidassero il cuore a chi la sorte aveva già dato il loro corpo; spesso al risentimento di un affronto segue l'armonia dell'accordo ed esse avrebbero avuto dei mariti tanto migliori in quanto ciascuno di par suo si sarebbe sforzato, facendo il proprio dovere, di supplire alla mancanza dei genitori e della patria A tutto questo si aggiungevano poi le attenzioni dei mariti, i quali giustificavano la cosa con il trasporto della passione, attenzioni che sono l'arma più efficace nei confronti dell'indole femminile [10] Ormai l'ira delle ragazze rapite si era del tutto placata; fu però proprio in quel momento che i loro genitori, vestiti a lutto, cercavano di sensibilizzare i concittadini piangendo e lamentandosi dell'accaduto |
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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 22; 11-20
Nec domi tantum indignationes continebant sed congregabantur undique ad T Tatium regem Sabinorum, et legationes eo quod maximum Tati nomen in iis regionibus erat conveniebant Caeninenses Crustuminique et Antemnates erant ad quos eius iniuriae pars pertinebat Lente agere his Tatius Sabinique visi sunt: ipsi inter se tres populi communiter bellum parant Ne Crustumini quidem atque Antemnates pro ardore iraque Caeninensium satis se impigre movent; ita per se ipsum nomen Caeninum in agrum Romanum impetum facit Sed effuse uastantibus fit obuius cum exercitu Romulus levique certamine docet uanam sine viribus iram esse Exercitum fundit fugatque, fusum persequitur: regem in proelio obtruncat et spoliat: duce hostium occiso urbem primo impetu capit |
E non si limitavano a manifestare in patria il proprio sdegno, ma da ogni parte si presentarono in gruppi di delegazioni a Tito Tazio, re dei Sabini, perché il suo prestigio in quelle zone era enorme Quell'affronto riguardava in parte Ceninensi, Crustumini e Antemnati Sembrò loro che Tito Tazio e i Sabini agissero con eccessiva flemma: perciò questi tre popoli si prepararono a combattere da soli Ma, a giudicare dall'animosità e dall'ira dei Ceninensi, neppure Crustumini e Antemnati si muovevano con sufficiente prontezza; così i Ceninensi invadono da soli il territorio romano Ma mentre stavano devastando disordinatamente la zona, gli va incontro Romolo con l'esercito e, dopo una ridicola scaramuccia, dimostra loro la vanità dell'ira non sorretta da forze adeguate Sbaraglia la schiera nemica, la mette in fuga e ne insegue i resti sbandati; quindi si scontra in duello col re, lo uccide e ne spoglia il cadavere; dopo aver eliminato il comandante dei nemici, si impossessa della loro città al primo assalto |
Inde exercitu victore reducto, ipse cum factis vir magnificus tum factorum ostentator haud minor, spolia ducis hostium caesi suspensa fabricato ad id apte ferculo gerens in Capitolium escendit; ibique ea cum ad quercum pastoribus sacram deposuisset, simul cum dono designavit templo Iovis fines cognomenque addidit deo: 'Iuppiter Feretri' inquit, 'haec tibi victor Romulus rex regia arma fero, templumque his regionibus quas modo animo metatus sum dedico, sedem opimis spoliis quae regibus ducibusque hostium caesis me auctorem sequentes posteri ferent' Haec templi est origo quod primum omnium Romae sacratum est Ita deinde dis visum nec inritam conditoris templi vocem esse qua laturos eo spolia posteros nuncupavit nec multitudine compotum eius doni volgari laudem |
Ricondotto indietro l'esercito vincitore, dimostrò che il suo eroismo nel compiere le imprese non era inferiore alla capacità di valorizzarle: portando le spoglie del comandante nemico ucciso su una barella costruita all'occorrenza, salì sul Campidoglio, lì, dopo averle deposte presso una quercia sacra ai pastori, insieme con l'offerta tracciò i confini del tempio di Giove e aggiunse un epiteto al nome del dio: Io, Romolo, re vittorioso, offro a te, Giove Feretrio, queste armi di re, e consacro il tempio entro questi limiti che ho or ora tracciato secondo la mia volontà, in modo tale che diventi un luogo demandato alle spoglie opime che quanti verranno dopo di me, seguendo il mio esempio, porteranno qui dopo averle strappate a re e comandanti nemici uccisi in battaglia Questa è l'origine del primo tempio consacrato a Roma Così, da quel giorno in poi, piacque agli dèi che fosse legge la parola del fondatore del tempio (e cioè che i posteri avrebbero dovuto portare lì le spoglie), e che la gloria di un tale dono non fosse svilita dal numero elevatissimo di chi la poteva ottenere |
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Livio, Ab urbe condita: Libro 35; 21 - 25
Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 35; 21 - 25
Bina postea, inter tot annos, tot bella, opima parta sunt spolia: adeo rara eius fortuna decoris fuit [11] Dum ea ibi Romani gerunt, Antemnatium exercitus per occasionem ac solitudinem hostiliter in fines Romanos incursionem facit Raptim et ad hos Romana legio ducta palatos in agris oppressit Fusi igitur primo impetu et clamore hostes, oppidum captum; duplicique victoria ouantem Romulum Hersilia coniunx precibus raptarum fatigata orat ut parentibus earum det veniam et in civitatem accipiat: ita rem coalescere concordia posse Facile impetratum Inde contra Crustuminos profectus bellum inferentes Ibi minus etiam quod alienis cladibus ceciderant animi certaminis fuit |
Da allora tanti anni sono passati e tante guerre sono state combattute: ciò nonostante, altre due volte soltanto si presero spoglie opime: così rara fu la fortuna di quell'onore [11] Mentre i Romani si stavano occupando di queste cose, gli Antemnati, cogliendo al volo l'occasione offerta dalla loro assenza, compiono un'incursione armata nel nostro territorio Ma le truppe romane, spinte a marce forzate anche in quella direzione, piombano loro addosso trovandoli sparpagliati nei campi Fu così che bastò il primo urto accompagnato dall'urlo di guerra per sbaragliarli e conquistarne la città; mentre Romolo era nel pieno dell'ovazione per il doppio trionfo, la moglie Ersilia, cedendo alle preghiere incessanti delle donne rapite, lo prega di perdonarne i genitori e di ammetterli all'interno della città (la cui potenza sarebbe così aumentata proprio grazie alla concordia interna) Egli acconsente facilmente Quindi marcia contro i Crustumini che erano in procinto di attaccare Ma la loro resistenza durò ancora meno di quella degli alleati: di fronte a disfatte del genere, non era rimasto troppo coraggio |