Livio, Ab urbe condita: Libro 01, 01-15, pag 4

Livio, Ab urbe condita: Libro 01, 01-15

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 01, 01-15
Utroque coloniae missae: plures inventi qui propter ubertatem terrae in Crustuminum nomina darent

Et Romam inde frequenter migratum est, a parentibus maxime ac propinquis raptarum

Nouissimum ab Sabinis bellum ortum multoque id maximum fuit; nihil enim per iram aut cupiditatem actum est, nec ostenderunt bellum prius quam intulerunt

Consilio etiam additus dolus

SP Tarpeius Romanae praeerat arci

Huius filiam virginem auro corrumpit Tatius ut armatos in arcem accipiat; aquam forte ea tum sacris extra moenia petitum ierat

Accepti obrutam armis necavere, seu ut vi capta potius arx videretur seu prodendi exempli causa ne quid usquam fidum proditori esset
In entrambi i paesi sottomessi furono inviati coloni: la maggior parte di essi, però, si iscrissero per Crustumino a causa della fertilità della terra

Dall'altra parte, invece, molte persone, soprattutto genitori e parenti delle donne rapite, vennero a stabilirsi a Roma

L'ultimo attacco Roma lo subì dai Sabini, e questa fu di gran lunga la più importante tra le guerre combattute fino a quel punto; essi, infatti, non agirono sotto l'impulso del risentimento e dell'ambizione, né si lasciarono andare a dimostrazioni militari prima di dare il via alla guerra

Unirono la fraudolenza al sangue freddo

Spurio Tarpeio comandava la cittadella romana

Sua figlia, vergine vestale, viene corrotta con dell'oro da Tazio e costretta a fare entrare un drappello di armati nella fortezza; in quel preciso momento la ragazza era andata oltre le mura ad attingere acqua per i culti rituali

Dopo averla catturata, la schiacciarono sotto il peso delle loro armi e la uccisero, sia per dare l'idea che la cittadella era stata conquistata più con la forza che con qualsiasi altro mezzo, sia per fornire un esempio in modo che più nessun delatore potesse contare sulla parola data
Additur fabula, quod volgo Sabini aureas armillas magni ponderis brachio laevo gemmatosque magna specie anulos habuerint, pepigisse eam quod in sinistris manibus haberent; eo scuta illi pro aureis donis congesta

Sunt qui eam ex pacto tradendi quod in sinistris manibus esset derecto arma petisse dicant et fraude visam agere sua ipsam peremptam mercede

[12] Tenuere tamen arcem Sabini; atque inde postero die, cum Romanus exercitus instructus quod inter Palatinum Capitolinumque collem campi est complesset, non prius descenderunt in aequum quam ira et cupiditate reciperandae arcis stimulante animos in adversum Romani subiere

Principes utrimque pugnam ciebant ab Sabinis Mettius Curtius, ab Romanis Hostius Hostilius
La leggenda riguardante questi fatti vuole che, siccome i Sabini di solito portavano al braccio sinistro braccialetti d'oro massiccio e giravano con anelli tempestati di gemme di rara bellezza, la ragazza avesse pattuito come prezzo del suo tradimento ciò che essi portavano al braccio sinistro; e che al posto dell'oro promesso fosse rimasta schiacciata dal peso dei loro scudi

Alcuni sostengono che, avendo lei chiesto di scegliere come ricompensa quello che essi portavano al braccio sinistro, optò espressamente per gli scudi e che i Sabini, credendo li volesse tradire, l'uccisero proprio col compenso che aveva richiesto

[12] Comunque sia, i Sabini si impossessarono della cittadella; il giorno dopo, quando l'esercito romano aveva gremito, col suo schieramento al completo, lo spazio compreso tra il Palatino e il Campidoglio, i Sabini non calarono subito in pianura ma rimasero ad aspettare che l'indignazione e il desiderio di recuperare la rocca spingessero i Romani a risalire la china e ad affrontarli su in alto

I capi di entrambi gli schieramenti incitavano alla lotta: Mezio Curzio per i Sabini e Ostio Ostilio per i Romani
Hic rem Romanam iniquo loco ad prima signa animo atque audacia sustinebat

Ut Hostius cecidit, confestim Romana inclinatur acies fusaque est

Ad veterem portam Palati Romulus et ipse turba fugientium actus, arma ad caelum tollens, 'Iuppiter, tuis' inquit 'iussus auibus hic in Palatio prima urbi fundamenta ieci

Arcem iam scelere emptam Sabini habent; inde huc armati superata media valle tendunt; at tu, pater deum hominumque, hinc saltem arce hostes; deme terrorem Romanis fugamque foedam siste

Hic ego tibi templum Statori Iovi, quod monumentum sit posteris tua praesenti ope seruatam urbem esse, voveo'

Haec precatus, veluti sensisset auditas preces, 'Hinc' inquit, 'Romani, Iuppiter optimus maximus resistere atque iterare pugnam iubet'
Quest'ultimo, nonostante la posizione svantaggiosa, teneva alto il morale con dimostrazioni di coraggio e di audacia nelle prime file

Ma, caduto Ostilio, subito i Romani registrarono un netto cedimento

Andarono a rifugiarsi presso la vecchia porta del Palatino; Romolo stesso, trascinato dalla massa dei soldati in ritirata, sollevando le armi al cielo, gridò: “O Giove, è per obbedire al tuo volere che ho gettato le prime fondamenta di Roma proprio qui sul Palatino

Ormai la cittadella è in mano ai Sabini che l'hanno conquistata nella più turpe delle maniere; di lì, attraverso la vallata, stanno avanzando armati verso di noi; ma tu, padre degli dèi e degli uomini, tieni lontani almeno da qui i nemici, libera i Romani dal terrore e frena questa loro vergognosa ritirata

Prometto che qui, o Giove Statore, io innalzerò un tempio per ricordare ai posteri che è stato il tuo aiuto inesauribile a salvare la città”

Al termine della preghiera, come se avesse avuto la sensazione di essere stato esaudito, disse: Qui, o Romani, Giove ottimo massimo vi ordina di fermarvi e di ricominciare a combattere

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Livio, Ab urbe condita: Libro 02 ;  11 - 24
Livio, Ab urbe condita: Libro 02 ; 11 - 24

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 02 ; 11 - 24

Restitere Romani tamquam caelesti voce iussi: ipse ad primores Romulus provolat

Mettius Curtius ab Sabinis princeps ab arce decucurrerat et effusos egerat Romanos toto quantum foro spatium est

Nec procul iam a porta Palati erat, clamitans: 'Vicimus perfidos hospites, imbelles hostes; iam sciunt longe aliud esse virgines rapere, aliud pugnare cum viris'

In eum haec gloriantem cum globo ferocissimorum iuvenum Romulus impetum facit

Ex equo tum forte Mettius pugnabat; eo pelli facilius fuit

Pulsum Romani persequuntur; et alia Romana acies, audacia regis accensa, fundit Sabinos

Mettius in paludem sese strepitu sequentium trepidante equo coniecit; averteratque ea res etiam Sabinos tanti periculo viri
E i Romani si fermarono, proprio come se stessero obbedendo a un ordine piovuto dal cielo; Romolo in persona si lancia nelle prime file

Mezio Curzio, intanto, a capo dei Sabini, aveva guidato la carica dall'alto della cittadella e fatto il vuoto in mezzo alle fila romane, gettando lo scompiglio per tutto lo spazio occupato dal foro

E, ormai non lontano dalla porta del Palatino, gridava: Li abbiamo battuti, ospiti malvagi e nemici codardi che non sono altro; ora lo sanno che differenza passa tra rapire delle ragazze inermi e combattere contro degli uomini veri

Mentre così si gloria, gli si avventa addosso, guidato da Romolo, un gruppo di giovani pronti a tutto

Per caso in quel momento Mezio stava combattendo a cavallo e fu così più facile respingerlo

Dopo averlo messo in fuga, i Romani proseguono sullo slancio e il resto dell'esercito, infiammato dall'audacia del re, riesce a sbaragliare i Sabini

Mezio fu trascinato in una palude dal suo cavallo, divenuto ingovernabile per lo strepito degli inseguitori e la cosa attirò l'attenzione anche dei Sabini che temevano di perdere una figura così carismatica
Et ille quidem adnuentibus ac vocantibus suis favore multorum addito animo evadit: Romani Sabinique in media convalle duorum montium redintegrant proelium; sed res Romana erat superior

[13] Tum Sabinae mulieres, quarum ex iniuria bellum ortum erat, crinibus passis scissaque veste, victo malis muliebri pavore, ausae se inter tela volantia inferre, ex transuerso impetu facto dirimere infestas acies, dirimere iras, hinc patres, hinc viros orantes, ne sanguine se nefando soceri generique respergerent, ne parricidio macularent partus suos, nepotum illi, hi liberum progeniem
Loro, urlando e facendogli ampi gesti, gli dimostrarono il loro attaccamento ed egli riuscì a tirarsi fuori dalla melma; Romani e Sabini riprendono così a combattere nella valle che si estende tra le due colline, ma i Romani continuavano ad avere la meglio

[13] Fu in quel momento che le donne sabine, il cui rapimento aveva scatenato la guerra in corso, con le chiome al vento e i vestiti a brandelli, lasciarono che le disgrazie presenti avessero la meglio sulla loro timidezza di donne e non esitarono a buttarsi sotto una pioggia di proiettili e a irrompere dai lati tra le opposte fazioni per dividere i contendenti e placarne la collera; da una parte supplicavano i mariti e dall'altra i padri; li imploravano di non commettere un crimine orrendo macchiandosi del sangue di un suocero o di un genero e di non lasciare il marchio del parricidio nelle creature che esse avrebbero messo al mondo, figli per gli uni e nipoti per gli altri

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 34; 45 - 49

'Si adfinitatis inter vos, si conubii piget, in nos vertite iras; nos causa belli, nos volnerum ac caedium viris ac parentibus sumus; melius peribimus quam sine alteris uestrum viduae aut orbae uiuemus'

movet res cum multitudinem tum duces; silentium et repentina fit quies; inde ad foedus faciendum duces prodeunt

Nec pacem modo sed civitatem unam ex duabus faciunt

Regnum consociant: imperium omne conferunt Romam

Ita geminata urbe ut Sabinis tamen aliquid daretur Quirites a Curibus appellati

Monumentum eius pugnae ubi primum ex profunda emersus palude equus Curtium in vado statuit, Curtium lacum appellarunt
Se il rapporto di parentela che vi unisce e questi matrimoni non vi vanno a genio, rivolgete la vostra ira contro di noi: siamo noi la causa scatenante della guerra, noi le sole responsabili delle ferite e delle morti tanto dei mariti quanto dei genitori; meglio morire che rimanere senza uno di voi due, o vedove od orfane

L'episodio non tocca soltanto la massa dei soldati ma anche i comandanti, e su tutti cala improvvisa una quiete silenziosa; poi vengono avanti i generali per stipulare un trattato

Non si accordano esclusivamente sulla pace, ma varano anche l'unione dei due popoli

Associano i due regni, trasferendo però l'intero potere decisionale a Roma che vede così raddoppiata la sua popolazione

Tuttavia, per venire in qualche modo incontro ai Sabini, i cittadini romani presero il nome di Quiriti dalla città di Cures

E in memoria di quella battaglia chiamarono lago Curzio lo specchio d'acqua dove il cavallo di Curzio emerse dal profondo della melma e portò in salvo il suo cavaliere
Ex bello tam tristi laeta repente pax cariores Sabinas viris ac parentibus et ante omnes Romulo ipsi fecit

Itaque cum populum in curias triginta divideret, nomina earum curiis imposuit

Id non traditur, cum haud dubie aliquanto numerus maior hoc mulierum fuerit, aetate an dignitatibus suis virorumue an sorte lectae sint, quae nomina curiis darent

Eodem tempore et centuriae tres equitum conscriptae sunt

Ramnenses ab Romulo, ab T Tatio Titienses appellati: Lucerum nominis et originis causa incerta est

Inde non modo commune sed concors etiam regnum duobus regibus fuit

[14] Post aliquot annos propinqui regis Tati legatos Laurentium pulsant; cumque Laurentes iure gentium agerent, apud Tatium gratia suorum et preces plus poterant
A una guerra così catastrofica seguì improvvisamente un felice periodo di pace che rese le donne sabine più gradite ai loro mariti e ai loro genitori, ma, sopra tutti, a Romolo stesso

Così, quando questi divise la popolazione in trenta curie, diede a esse il nome delle donne

Senza dubbio il loro numero era in qualche modo superiore: la tradizione non ci informa se fu l'età, la loro classe sociale o quella dei mariti, oppure un'estrazione a sorte il criterio utilizzato per stabilire quali dovessero dare il nome alle curie

Nello stesso periodo vennero formate tre centurie di cavalieri

Ramnensi e Tiziensi devono i loro nomi a Romolo e a Tito Tazio; quanto invece ai Luceri, nome e origine sono poco chiari

Di lì in poi, i due sovrani regnarono non solo in comune, ma anche in perfetto accordo

[14] Alcuni anni dopo, certi parenti di Tito Tazio maltrattano gli ambasciatori dei Laurenti e, nonostante il loro appellarsi al diritto delle genti, Tito mostra di avere orecchie soltanto per le preghiere dei suoi

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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 31; 31 - 33

Igitur illorum poenam in se vertit; nam Lavinii cum ad sollemne sacrificium eo venisset concursu facto interficitur

Eam rem minus aegre quam dignum erat tulisse Romulum ferunt, seu ob infidam societatem regni seu quia haud iniuria caesum credebat

Itaque bello quidem abstinuit; ut tamen expiarentur legatorum iniuriae regisque caedes, foedus inter Romam Laviniumque urbes renovatum est

Et cum his quidem insperata pax erat: aliud multo propius atque in ipsis prope portis bellum ortum

Fidenates nimis vicinas prope se conualescere opes rati, priusquam tantum roboris esset quantum futurum apparebat, occupant bellum facere
Così facendo, assume su di sé la responsabilità della loro mancanza; infatti, un giorno che era andato a Lavinio per un sacrificio solenne, fu assassinato in un moto di piazza

Si narra che la cosa addolorò Romolo meno del dovuto, sia per la dubbia affidabilità di una simile divisione del potere, sia perché credeva che quella morte non fosse del tutto immeritata

Per questo evitò di far ricorso alla guerra; tuttavia, per garantire l'espiazione della morte del re e dell'offesa ai danni degli ambasciatori, fece rinnovare il trattato tra Roma e Lavinio

Questa pace, a dir la verità, fu un evento al di sopra di ogni aspettativa; invece scoppiò un'altra guerra, molto più vicina, anzi quasi alle porte di Roma

Gli abitanti di Fidene, ritenendo troppo vicina a loro una potenza in continua crescita, senza aspettare che diventasse forte come c'era da prevedere, si affrettano a scatenare il conflitto
Iuventute armata immissa uastatur agri quod inter urbem ac Fidenas est; inde ad laevam versi quia dextra Tiberis arcebat, cum magna trepidatione agrestium populantur, tumultusque repens ex agris in urbem inlatus pro nuntio fuit

Excitus Romulus - neque enim dilationem pati tam vicinum bellum poterat - exercitum educit, castra a Fidenis mille passuum locat

Ibi modico praesidio relicto, egressus omnibus copiis partem militum locis circa densa obsita virgulta obscuris subsidere in insidiis iussit: cum parte maiore atque omni equitatu profectus, id quod quaerebat, tumultuoso et minaci genere pugnae adequitando ipsis prope portis hostem exciuit

Fugae quoque, quae simulanda erat, eadem equestris pugna causam minus mirabilem dedit
Armano squadroni di giovani e li spediscono a devastare le campagne tra Roma e Fidene; di lì piegano verso sinistra (a destra niente da fare, c'è il Tevere che blocca la strada) e compiono atti di vandalismo terrorizzando i contadini; l'improvviso trambusto creatosi nelle campagne arrivò fino in città e fu come una prima avvisaglia della guerra

Romolo, visto che non c'era un minuto da perdere con una guerra così vicina, esce immediatamente alla testa dell'esercito e si accampa a un miglio da Fidene

Dopo avervi lasciato una modesta guarnigione, si mette in moto col grosso delle truppe Una parte di queste ordinò che si piazzasse, pronta a lanciare un'imboscata, in una zona tutto intorno criparata da fitti cespugli; poi, con il blocco più consistente dell'esercito e con tutta la cavalleria, si mise in marcia e, proprio come si era prefissato, riuscì ad attirare fuori il nemico adottando un tipo di tattica spericolata e minacciosa, con i cavalieri che scorrazzavano fin quasi sotto le porte

D'altra parte, per la fuga che doveva esser simulata, questo assalto a cavallo forniva un pretesto più verisimile

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Et cum, velut inter pugnae fugaeque consilium trepidante equitatu, pedes quoque referret gradum, plenis repente portis effusi hostes impulsa Romana acie studio instandi sequendique trahuntur ad locum insidiarum

Inde subito exorti Romani transuersam invadunt hostium aciem; addunt pavorem mota e castris signa eorum qui in praesidio relicti fuerant

Ita multiplici terrore perculsi Fidenates prius paene, quam Romulus quique avehi cum eo visi erant circumagerent frenis equos, terga vertunt; multoque effusius, quippe vera fuga, qui simulantes paulo ante secuti erant oppidum repetebant

Non tamen eripuere se hosti: haerens in tergo Romanus, priusquam fores portarum obicerentur, velut agmine uno inrumpit
E quando non solo la cavalleria sembrava incerta tra il combattere e il fuggire, ma anche la fanteria si ritirava, all'improvviso si spalancarono le porte e le linee romane furono travolte dallo straripare dei nemici che, nella foga di darsi all'inseguimento, furono trascinati nel punto dell'imboscata

Lì i Romani saltano fuori a sorpresa e attaccano sul fianco la schiera dei nemici; allo stupore si aggiunge la paura: dall'accampamento si vedono avanzare gli stendardi del presidio lasciato di guarnigione

Così i Fidenati, in preda al panico più totale, fanno dietro-front quasi prima ancora che Romolo e i suoi uomini riuscissero a girare i loro cavalli; e visto che si trattava di una fuga vera, riguadagnavano la città in maniera di gran lunga più disordinata di quelli che, poco prima, essi avevano inseguito ingannati dalla loro simulazione di fuga

Però non riuscirono a sfuggire al nemico: i Romani li incalzavano da dietro e, prima che le porte della città venissero chiuse, irruppero all'interno, quando ormai i due eserciti sembravano uno solo

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