Ricordo un incontro a Napoli, nel quartiere di Scampia. "Chi è per voi il boss?" domando.
Si alza un bambino. avrà 11 anni. Viso rotondo, gli occhi nerissimi e intelligenti. Mi dice: "il boss e quello che ci porta il lavoro e ci fa guadagnare, perché la mafia è una cosa bella".
Nell'aula Cala il gelo. Con me ci sono autorità, insegnanti, magistrati.
Lo guardo e gli rispondo: "Le sole cose che il boss può garantirti sono il carcere e la morte". Lui non ribatte e torna al posto.
Le professoresse si scusano, sono dispiaciute e, ci spiegano che manca il lavoro, che i genitori di molti studenti sono in galera, che spesso i ragazzi vedono nella malavita l'unica strada per fare soldi, essere rispettati e riscattarsi da un'esistenza ai margini.
Di scuole come quella di Scampia in questi 30 anni ne ho viste decine, edifici fatiscenti dove i maestri, ogni mattina, combattono una guerra faticosa contro l'abbandono scolastico, spesso andando personalmente a prendere gli alunni a casa prima che la campanella suoni, spesso sostituendosi a famiglie assenti. Una lotta quotidiana per strapparli dalla strada e dal degrado.
In Sicilia, ma anche nelle altre regioni del Mezzogiorno, il lavoro da fare è più difficile perché la povertà, la disoccupazione e il bisogno rendono sudditi. E' la prima cosa da contrastare è il mito della cosiddetta "mafia buona", quella che non tocca i bambini e le donne, che da occupazione, che fa quello che lo Stato non riesce a fare. Ma scalzare certe convinzioni non è facile, anche perché, terminato l'incontro, suonata la campanella, si torna a casa dove certe cose si continuano a sentire e a vivere