La rete degli invisibili di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

la rete degli invisibili di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

estratti e passaggi del libro che per vari motivi, mi hanno colpito e riporto

nel 2009 Nicodemo Filippelli esponente del locale di Legnano si rivolge in maniera violenta a Beniamino Monolo un imprenditore.

"Sto bazzicando Legnano da quattro giorni e se Gesù Cristo vuole che ti incontro per la via , io la testa ... te la apro con un' accetta"

in una conversazione intercettata nel luglio 2018, un affiliato del clan Cordì, rivale dei Cataldo, sintetizza in poche parole l'essenza del condizionamento mafioso nella zona:

"non cè bisogno che parliamo" dice "C'è bisogno solo che ci vedono"

Qualche anno fa un boss trapiantato in Lombardia spiegava così ad un giovane affiliato i piani della 'ndrangheta:

Devi sapere che il mondo si divide in due: ciò che è già Calabria e ciò che lo diventerà.

Ovviamente, con il discutibile uso del termine "Calabria", il boss intendeva la 'Ndrangheta

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Dopo l'arresto di Joaquin Guzman Loera, detto "El Chapo", i narcos calabresi hanno iniziato a dialogare con l'erede del capo del cartello di Sinaloa, Ismael Zambada Garcia, noto anche come "El Mayo" (Il Maggio)

"Sono più affidabili, sono come noi" ripeteva spesso El Chapo ...

E' il miglior riconoscimento che i narcos calabresi potessero ricevere.

E' così da quando un esponente di rango di Cosa nostra trapanese è rimasto come ostaggio nelle mani dei narcos colombiani, dopo il mancato pagamento di un carico sequestrato dalla polizia nelle acque del Mediterraneo. A salvarlo è stato un broker calabrese.

"Garantisco io" disse, e bastò quella parola a farlo liberare.

Il boss siciliano non era uno qualunque, bensì Salvatore Miceli, noto come il ministro degli esteri di Cosa nostra.

Giuseppe Giampà è figlio di Francesco detto "il Professore" condannato all'ergastolo.

Nel settembre 2012 il figlio del Professore decide di collaborare.

Ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Giampà racconta di essere entrato nella 'ndranghetaa 19 anni con la dote di "sgarrista" e di aver ricevuto in carcere quella di "padrino" nel 2011.

La sua collaborazione si rivelerà fondamentale in quanto contribuisce in maniera fondamentale non solo a far luce sugli affari della sua cosca e su numerosissimi omicidi di cui era mandante e organizzatore, ma anche sulla 'ndrangheta lametina nel suo complesso.

Eppure, forse, non è neppure questo l'aspetto più importante della sua scelta di collaborazione, perchè l'effetto più devastante per la 'ndrangheta, prodotto dalla sua decisione, è stato il verificarsi del cosidetto "salto generazionale".

Il pentimento del figlio, determina la rottura della catena di trasmissione ereditaria propria della 'ndrangheta, dell'investituta mafiosa da padre in figlio.

Secondo il magistrato della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro "i figli di Giampà, oggi collaboratore di giustizia, vanno a scuola, sono avulsi dal contesto lametino, studiano storia, geografia e matematica, invece di imparare a usare armi e raffinare cocaina".

Giuseppe Giampà spiega in udienza perchè avesse fatto la scelta di collaborare con la giustizia:

"Perchè io a 12 anni, essendo figlio del Professore, ho dovuto per forza fare quello che ho fatto, mio padre in carcere, i miei zii uccisi .... io, invece, a mio figlio ho voluto dare la possibilità di scegliere"

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Io ero a conoscenza che la famiglia Cacciola a Rosarno fosse una famiglia mafiosa: sono vissuta a Rosarno e queste cose si sanno. Io tentai di lasciare mio marito durante il fidanzamento, ma lui mi seguì anche a Verona, dove ero andata per dei problemi di salute. Preciso che io non sono mai stata libera di uscire durante il matrimonio; dopo la morte di mio marito sono stata letteralmente segregata in casa e mi è stato impedito di uscire; la notte la porta veniva chiusa a chiave dai miei suoceri, le chiavi di casa erano esclusivamente nella disponibilità dei miei suoceri e dei miei cognati, questo stato di coercizione è durato quasi un anno. Non ho reagito nè denunciato l'accaduto anche per paura delle reazioni nei confronti dei miei genitori  i quali sapevano tutto. Ricordo che durante l'estate di quell'anno sono stata male, mio padre voleva portarmi alla guardia medica e hanno dovuto chiamare i miei suoceri per aprire la porta, c'era anche mia madre in quell'occasione, io non potevo aprire da dentro. Non avevo la forza di reagire a questa situazione. ... I miei suoceri mi hanno, altresì, impedito, dopo le dimissioni dall'ospedale all'esito del tentativo di suicidio, di stabilirmi dai miei genitori, nonostante fossi stata affidata a loro.

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