Atqui tum neque iudicium de modo iugerum dabatur, neque erat Artemidorus Cornelius recuperator, neque ab aratore magistratus Siculus tantum exigebat quantum decumanus ediderat, nec beneficium petebatur a decumano, ut in iugera singula ternis medimnis decidere liceret, nec nummorum accessionem cogebatur arator dare nec ternas quinquagesimas frumenti addere: et tamen populo Romano magnus frumenti numerus mittebatur [L, 118] Quid vero istae sibi quinquagesimae, quid porro nummorum accessiones volunt Quo id iure atque adeo quo id more fecisti Nummos dabat arator Quo modo aut unde Qui, si largissimus esse vellet, cumulatiore mensura uteretur, ut antea solebant facere in decumis, cum aequa lege et condicione venibant Is nummum dabat Unde De frumento |
Eppure allora non c'erano azioni legali per la dichiarazione degli iugeri seminati, né funge va da perito Artemidoro Cornelio, né il funzionario sici liano pretendeva dal coltivatore quanto l'esattore aveva dichiarato essergli dovuto, né si chiedeva all'esattore come un favore di poter concludere la transazione a tre medimni per iugero, né il coltivatore era costretto a ver sare un supplemento in denaro né ad aggiungere il 16% di frumento; e ciononostante si inviava al popolo romano una gran quantità di frumento [L, 118] Ma che cosa significano queste maggiorazioni del 6%, e questi supplementi in denaro Sulla base di quale norma, o anche solo di quale consuetudine, hai fatto ciò II coltivatore dava del denaro Come, donde lo ricavava se avesse voluto essere straordinariamente generoso, avrebbe colmato di più la misura, come solita mente facevano per le decime un tempo, quando queste venivano aggiudicate in base a una legge equa, e a condi zioni eque Il coltivatore dunque dava del denaro Donde lo ricavava Dal frumento |
Quasi habuisset te praetore quod venderet De vivo igitur erat aliquid resecandum, ut esset unde Apronio ad illos fructus arationum hoc corollarium nummorum adderetur Iam id porro utrum libentes an inviti dabant Libentes Amabant, credo, Apronium Inviti qua re nisi vi et malo cogebantur Iam iste homo amentissimus in vendundis decumis nummorum faciebat accessiones ad singulas decumas, neque multum; bina aut terna milia nummum addebat; fiunt per triennium HS fortasse d milia Hoc neque exemplo cuiusquam neque ullo iure fecit, neque eam pecuniam rettulit; neque hoc parvum crimen quem ad modum defensurus sit homo quisquam umquam excogitabit |
Come se durante il tuo gover no avesse avuto frumento da vendere Doveva dunque tagliar via qualcosa dal capitale vivo, per aver modo di dare ad Apronio, oltre i proventi della coltivazione, an che questa mancia in denaro Inoltre, gliela davano vo lentieri o di malavoglia Volentieri Volevano bene, mi figuro, ad Apronio Di malavoglia e perché, a meno che vi fossero costretti dalle violenze e dai maltrattamenti Nella sua grande dissennatezza Verre nei contratti d'appalto delle decime aggiungeva a ogni decima dei sup plementi in denaro, due o tremila sesterzi, una sciocchezza; in tre anni fanno circa 500000 sesterzi Fece ciò senza che vi fossero dei precedenti, e senza alcun diritto, e non comprese questo denaro nel suo rendiconto; nessuno mai sarà in grado di escogitare una difesa contro questa tra scurabile imputazione |
[119] Quod cum ita sit, audes dicere te magno decumas vendidisse, cum sit perspicuum te bona fortunasque aratorum non populi Romani, sed tui quaestus causa vendidisse | [119]Stando così le cose, hai il coraggio di dire che hai aggiudicato le decime a una cifra alta, quando è evidente che hai aggiudicato beni e sostanze dei coltivatori, per il tornaconto non del popolo romano, ma tuo |
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Ut si qui vilicus ex eo fundo qui sestertia dena meritasset, excisis arboribus ac venditis, demptis tegulis, instrumento, pecore abalienato, domino XX milia nummum pro x miserit, sibi alia praeterea centum confecerit, primo dominus ignarus incommodi sui gaudeat vilicoque delectetur, quod tanto plus [sibi] mercedis ex fundo refectum sit, deinde, cum audierit eas res quibus fundi fructus et cultura continetur amotas et venditas, summo supplicio vilicum adficiat et secum male actum putet: item populus Romanus, cum audit pluris decumas vendidisse C Verrem quam innocentissimum hominem cui iste successit, C Sacerdotem, putat se bonum in arationibus fructibusque suis habuisse custodem ac vilicum; cum senserit istum omne instrumentum aratorum, omnia subsidia vectigalium vendidisse, omnem spem posteritatis avaritia sua sustulisse, arationes et agros vectigalis vastasse atque exinanisse, ipsum maximos quaestus praedasque fecisse, intelleget secum actum esse pessime, istum autem summo supplicio dignum existimabit | Che se ad esempio che un fattore, da una proprietà che frut tava 10000 sesterzi all'anno, dopo aver tagliato e vendu to le piante, tolte le tegole agli edifici, ceduto ad altri at trezzatura e bestiame, mandi al padrone 20000 sesterzi invece di 10000, e ne tenga per sé altri 100000, in un primo momento il padrone, all'oscuro del danno subito, si rallegrerebbe, e sarebbe soddisfatto del suo fattore, perché gli ha fatto fruttare tanto di più la sua proprietà, ma poi, quando venisse a sapere che tutto ciò da cui di pende la rendita e la coltivazione della proprietà è stato sottratto e venduto, punirebbe con la più grande severità il fattore, ritenendo che lo abbia servito male: così anche il popolo romano, quando sente che Gaio Verre ha aggiudicato le decime a una cifra più alta che l'uomo inte gerrimo al quale costui succedette, Gaio Sacerdote, ritie ne di aver avuto per le sue terre e i proventi che ne ricava un buon custode, un bravo fattore; ma quando si rende rà conto che costui ha venduto tutti gli attrezzi dei colti vatori, tutto ciò che contribuiva alla produzione dei no stri tributi, che ha con la sua avidità compromesso tutti i proventi futuri, ha saccheggiato e spopolato le terre col tivate e i campi sottoposti a tributo, e per sé ha ricavato profitti e prede ingentissimi, capirà di essere stato servito nel peggiore dei modi, e riterrà costui meritevole della più grave delle punizioni |