Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 02, pag 2

Cicerone, De officiis: Libro 03 - Parte 02

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 02
Quod ni Palamedi perspicax prudentia Istius percepset malitiosam audaciam Fide sacratae ius perpetuo falleret

99 Illi vero non modo cum hostibus, verum etiam cum fluctibus, id quod fecit, dimicare melius fuit quam deserere consentientem Graeciam ad bellum barbaris inferendum

Sed omittamus et fabulas et externa; ad rem factam nostramque veniamus

M Atilius Regulus, cum consul iterum in Africa ex insidiis captus esset duce Xanthippo Lacedaemonio, imperatore autem patre Hannibalis Hamilcare, iuratus missus est ad senatum, ut nisi redditi essent Poenis captivi nobiles quidam, rediret ipse Carthaginem
e se la prudenza acuta di Palamede non ne avesse afferrato la maliziosa audacia, egli avrebbe violato per sempre il vincolo del giuramento

99 Sarebbe stato meglio per lui combattere non solo con i nemici, ma anche coi flutti, come fece, anziché abbandonare la Grecia concorde nel portar guerra ai barbari

Ma lasciamo da parte i miti e i fatti stranieri e veniamo a un fatto realmente accaduto e presso di noi

Marco Attilio Regolo, console per la seconda volta, catturato per mezzo di un'imboscata in Africa, quando era a capo dell'esercito nemico Santippo, generale spartano, e comandante supremo Amileare, padre di Annibale, fu inviato al senato sotto giuramento che sarebbe tornato a Cartagine, se non fossero stati restituiti ai Cartaginesi alcuni nobili prigionieri
Is cum Romam venisset, utilitatis speciem videbat, sed eam, ut res declarat, falsam iudicavit; quae erat talis: manere in patria, esse domui suae cum uxore, cum liberis, quam calamitatem accepisset in bello communem fortunae bellicae iudicantem tenere consularis dignitatis gradum

Quis haec negat esse utilia

quem censes

Magnitudo animi et fortitudo negat

100 Num locupletiores quaeris auctores

Harum enim est virtutum proprium nihil extimescere, omnia humana despicere, nihil, quod homini accidere possit intolerandum putare

Itaque quid fecit

In senatum venit, mandata euit, sententiam ne diceret, recusavit; quamdiu iure iurando hostium teneretur, non esse se senatorem

Atque illud etiam, O stultum hominem, dixerit quispiam, et repugnantem utilitati suae
Venuto a Roma, egli vedeva l'apparenza dell'utilità, ma, come dichiarano i fatti, la giudicò falsa: e si trattava di restare in patria, in casa propria con la moglie e i figli, conservere il grado della dignità consolare, giudicando la disgrazia patita in guerra come una cosa normale nella fortuna militare

Chi potrebbe affermare che non si tratta di cose utili

Chi pensi che potrebbe farlo

Lo negano la grandezza e la fortezza d'animo

100 Vai forse in cerca di prove più autorevoli

Caratteristica di queste virtù è il non aver timore di nulla, disprezzare tutte le cose umane, non considerare insopportabile alcuna cosa che possa accadere ad un uomo

Che fece egli, allora

Venne in senato, espose il suo mandato, si rifiutò di esprimere il proprio parere, perché non era senatore, finché era vincolato dal giuramento fatto ai nemici

E affermò persino che non era utile restituire i prigionieri qualcuno potrebbe dire: O sciocco, nemico del suo utile
reddi captivos negavit esse utile; illos enim adulescentes esse et bonos duces, se iam confectum senectute

Cuius cum valuisset auctoritas, captivi retenti sunt, ipse Carthaginem rediit, neque eum caritas patriae retinuit nec suorum

Neque vero tum ignorabat se ad crudelissimum hostem et ad exquisita supplicia proficisci, sed ius iurandum conservandum putabat

Itaque tum, cum vigilando necabatur, erat in meliore causa, quam si domi senex captivus, periurus consularis remansisset

101 At stulte, qui non modo non censuerit captivos remittendos, verum etiam dissuaserit

Quo modo stulte

etiamne, si rei publicae conducebat

Potest autem, quod inutile rei publicae sit, id cuiquam civi utile esse

Pervertunt homines ea, quae sunt fundamenta naturae, cum utilitatem ab honestate seiungunt
infatti quelli, affermava, erano giovani e buoni comandanti, egli era ormai sfinito dalla vecchiaia

Essendo prevalso il suo parere autorevole, i prigionieri furono trattenuti, egli tornò a Cartagine e non lo trattenne né l'amore per la patria né quello per i suoi cari

Eppure egli non ignorava, allora, di andare incontro a un nemico crudelissimo ed a supplizi raffinati, ma pensava che si dovesse mantenere il giuramento

E cosi allora, io dico, quando le veglie lo uccidevano, si trovava in una situazione migliore che se fosse rimastò a casa, vecchio prigioniero e consolare spergiuro

101 Ma fu stolto, perché non solo non propose la restituzione dei prigionieri, ma anche dissuase dal farlo

E come stolto

Anche se recava giovamento allo Stato

E' possibile che quanto è inutile allo Stato possa essere utile a qualche cittadino

Gli uomini sovvertono i fondamenti della natura nel separare l'utilità dall'onestà

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 01

Omnes enim expetimus utilitatem ad eamque rapimur nec facere aliter ullo modo possumus

Nam quis est, qui utilia fugiat

aut quis potius, qui ea non studiosissime persequatur

Sed quia nusquam possumus nisi in laude, decore, honestate utilia reperire, propterea illa prima et summa habemus, utilitatis nomen non tam splendidum quam necessarium ducimus

102 Quid est igitur, dixerit quis, in iure iurando

num iratum timemus Iovem

At hoc quidem commune est omnium philosophorum, non eorum modo, qui deum nihil habere ipsum negotii dicunt, nihil exhibere alteri, sed eorum etiam, qui deum semper agere aliquid et moliri volunt, numquam nec irasci deum nec nocere

Quid autem iratus Juppiter plus nocere potuisset, quam nocuit sibi ipse Regulus

Nulla igitur vis fuit religionis, quae tantam utilitatem perverteret
Tutti, infatti, desideriamo ciò che è utile e siamo trascinati verso di esso, senza poter fare in alcun modo diversamente

Chi c'è che si terrebbe lontano dall'utile

0 chi, piuttosto, che non lo ricercherebbe con il massimo impegno

Ma poiché possiamo trovarlo soltanto nella gloria, nella dignità, nell'onestà, per tale motivo riteniamo questi come i primi e maggiori beni, mentre consideriamo il termine utilità, non tanto magnifico quanto necessario

102 Che cosa c'è, dunque, potrebbe dire qualcuno, in un giuramento

Forse temiamo l'ira di Giove

Ma è opinione comune di tutti i filosofi non solo di quelli che affermano che il dio non si cura di nulla e non procura alcuna preoccupazione ad altri, ma anche di coloro che sostengono che la divinità compie e prepara sempre qualche cosa , che il dio non si adira mai e non reca nocumento

In che cosa, poi, Giova irato avrebbe potuto nuocere a Regolo, più di quanto egli nocque a se stesso

Non c'era, dunque, alcuna forza della religione che potesse mandare in a una tanto grande utilità
An ne turpiter faceret

Primum minima de malis

Non igitur tantum mali turpitudo ista habebat, quantum ille cruciatus

Deinde illud etiam apud Accium: Fregistin fidem

Neque dedi neque do infideli cuiquam

quamquam ab impio rege dicitur, luculente tamen dicitur

103 Addunt etiam, quemadmodum nos dicamus videri quaedam utilia, quae non sint, sic se dicere videri quaedam honesta, quae non sunt, ut hoc ipsum videtur honestum conservandi iuris iurandi causa ad cruciatum revertisse, sed fit non honestum, quia, quod per vim hostium esset actum, ratum esse non debuit

Addunt etiam, quicquid valde utile sit, id fieri honestum, etiam si antea non videretur

Haec fere contra Regulum

Sed prima videamus

104 Non fuit Juppiter metuendus ne iratus noceret, qui neque irasci solet nec nocere
Forse per non agire indegnamente

In primo luogo, tra due mali bisogna scegliere il minore

questa vergogna recava forse con sé tanto male, quanto ne recavano quelle torture

In secondo luogo anche presso Accio si legge: Hai violato la parola data

Non l'ho mai data né la do ad alcuno sleale

E' vero che ciò è detto da un re empio, ma detto, tuttavia, splendidamente

103 Aggiungono anche che, come noi diciamo che ci sembrano utili alcune cose che non lo sono, così essi dicono che sembrano oneste alcune cose che non lo sono; ad esempio può apparire onesto proprio l'esser tornato al supplizio per mantenere un giuramento, ma finisce coi divenire non onesto, perché quanto si fa costretti dai nemici non avrebbe dovuto esser mantenuto

Aggiungono anche che tutto ciò che è molto utile diventa onesto, anche se in precedenza non sembrava tale

Queste, all'incirca, sono le obiezioni rivolte a Regolo

Ma esaminiamo la prima

104 Non bisogna temere che Giove, adirato, nuocesse, perché non è solito adirarsi né fare del male

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Haec quidem ratio non magis contra Reguli, quam contra omne ius iurandum valet

Sed in iure iurando non qui metus, sed quae vis sit, debet intellegi

Est enim ius iurandum affirmatio religiosa; quod autem affirmate, quasi deo teste promiseris, id tenendum est

Iam enim non ad iram deorum, quae nulla est, sed ad iustitiam et ad fidem pertinet

Nam praeclare Ennius: O Fides alma apta pinnis et ius iurandum Iovis

Qui ius igitur iurandum violat, is fidem violat, quam in Capitolio vicinam Iovis optimi maximi, ut in Catonis oratione est, maiores nostri esse voluerunt

105 At enim ne iratus quidem Juppiter plus Regulo nocuisset, quam sibi nocuit ipse Regulus

Certe, si nihil malum esset nisi dolere

Id autem non modo non summum malum, sed ne malum quidem esse maxima auctoritate philosophi affirmant
Questo argomento non è valido tanto contro il giuramento di Regolo, quanto contro ogni giuramento

Ma nel giuramento bisogna considerare non il timore in caso di violazione , ma il suo significato

il giuramento è, difatti, un'affermazione religiosa: quello che uno ha promesso solennemente, come se il dio ne fosse testimone, deve esser mantenuto

Non si tratta, difatti, dell'ira divina, che non esiste, ma della giustizia e della fede

dice benissimo Ennio: O alma Fede, fornita d'ali, e giuramento di Giove

Chi, dunque, viola un giuramento, viola la Fede, che i nostri antenati vollero stesse sul Campidoglio accanto a Giove Ottimo Massimo, come si dice in un'orazione di Catone

105 Ma neppure Giove adirato avrebbe potuto nuocere a Regolo, più di quanto proprio Regolo nocque a se stesso

Certo, se non esistesse altro male al di fuori del dolore fisico

ma i filosofi più autorevoli affermano che non solo non è il male maggiore, ma non è neppure un male
Quorum quidem testem non mediocrem, sed haud scio an gravissimum Regulum nolite quaeso vituperare

Quem enim locupletiorem quaerimus quam principem populi Romani, qui retinendi officii causa cruciatum subierit voluntarium

Nam quod aiunt minima de malis, id est, ut turpiter potius quam calamitose; an est ullum maius malum turpitudine

Quae si in deformitate corporis habeat aliquid offensionis, quanta illa depravatio et foeditas turpificati animi debet videri

106 Itaque nervosius qui ista disserunt, solum audent malum dicere id, quod turpe sit, qui autem remissius, ii tamen non dubitant summum malum dicere

Nam illud quidem Neque dedi neque do infideli cuiquam idcirco recte a poeta, quia, cum tractaretur Atreus, personae serviendum fuit
Non biasimate, di grazia, Regolo, testimone non mediocre, anzi forse importantissimo della fondatezza delle loro asserzioni

Difatti quale testimone più autorevole andiamo cercando di uno dei più insigni cittadini romani, che affrontò volontariamente il supplizio per mantenersi fedele al dovere

Si dice, poi, il minore tra i mali, scegliere, cioè, la vergogna piuttosto che la sventura , ma esiste un male più grande della vergogna

Se essa nella deformità fisica ha qualche cosa di repellente, quanto ci deve apparire grande la deformità e la bruttezza di un animo corrotto

106 Quelli che trattano questo argomento con maggior vigore, hanno il coraggio di dire che è unico male ciò che è vergognoso, mentre quanti ne discutono con maggiore accondiscendenza non esitano, tuttavia, a chiamarlo sommo male

Per quel che riguarda le parole non lho data né la do ad alcuno sleale esse sono state scritte giustamente dal poeta, perché, rappresentandosi il personaggio di Atreo, bisognava tenersi strettamente legati ad esso

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Sed si hoc sibi sument, nullam esse fidem, quae infideli data sit, videant, ne quaeratur latebra periurio

107 Est autem ius etiam bellicum fidesque iuris iurandi saepe cum hoste servanda

Quod enim ita iuratum est, ut mens conciperet fieri oportere, id servandum est; quod aliter, id si non fecerit, nullum est periurium

Ut, si praedonibus pactum pro capite pretium non attuleris, nulla fraus est, ne si iuratus quidem id non feceris

Nam pirata non est ex perduellium numero definitus, sed communis hostis omnium; cum hoc nec fides debet nec ius iurandum esse commune

108 Non enim falsum iurare periurare est, sed quod ex animi tvi sententia iuraris, sicut verbis concipitur more nostro, id non facere periurium est

Scite enim Euripides: Iuravi lingua, mentem iniuratam gero
Ma se vorranno prenderle nel senso che non esiste fede data ad un uomo sleale, badino a non cercare un mezzo per occultare lo spergiuro

107 Anche il diritto di guerra e la fede nel giuramento debbono spesso essere osservati nei confronti dei nemico

Tutto ciò che, difatti, è stato giurato con la piena consapevolezza della sua opportunità, deve esser mantenuto; quello che è stato giurato in maniera diversa, se non viene mantenuto non costituisce spergiuro

Per esempio, se non portassi ai predoni il prezzo pattuito per la tua vita, non c'è frode, neppure se non lo facessi dopo averlo giurato

il predone, difatti, non è compreso nel numero dei nemici di guerra, ma è nemico comune di tutti; con lui non deve esserci in comune alcuna fede né alcun giuramento

108 Spergiurare, difatti, non significa giurare il falso, ma costituisce spergiuro il non mantenere quello che hai giurato secondo la tua coscienza, come dice un'espressione in uso presso di noi

Dice bene Euripide: Ho giurato con la lingua, ma la mia mente è libera da giuramenti
Regulus vero non debuit condiciones pactionesque bellicas et hostiles perturbare periurio

Cum iusto enim et legitimo hoste res gerebatur, adversus quem et totum ius fetiale et multa sunt iura communia

Quod ni ita esset, numquam claros viros senatus vinctos hostibus dedidisset

109 At vero T Veturius et Sp Postumius, cum iterum consules essent, quia, cum male pugnatum apud Caudium esset, legionibus nostris sub iugum missis, pacem cum Samnitibus fecerant, dediti sunt iis, iniussu enim populi senatusque fecerant

Eodemque tempore Ti Numicius, Q Maelius, qui tum tribuni pl erant, quod eorum auctoritate pax erat facta, dediti sunt, ut pax Samnitium repudiaretur

Atque huius deditionis ipse Postumius, qui dedebatur, suasor et auctor fuit
Regolo, invero, non doveva sconvolgere con un falso giuramento le condizioni e i patti di guerra stipulati col nemico

si aveva a che fare, difatti, con un nemico giusto e legittimo, nei confronti del quale sono in vigore il diritto feziale e molte altre norme comuni

Se non fosse cosi, il senato non avrebbe mai consegnato in catene al nemico illustri cittadini

109 Ma Tito Veturio e Spurio Postumio, consoli per la seconda volta, poiché, dopo l'infelice battaglia di Caudio e dopo che le nostre legioni furono mandate sotto il giogo, avevano stipulato la pace con i Sanniti, furono consegnati ad essi per aver agito senza l'approvazione del popolo e del senato

Contemporaneamente Tiberio Numicio e Quinto Melio, allora tribuni della plebe, siccome la pace era stata stipulata con la loro autorizzazione, furono consegnati affinché fosse annullata la pace coi Sanniti

lo stesso Postumio, che doveva venir consegnato, fu sostenitore e promotore di questa procedura

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Quod idem multis annis post C Mancinus, qui, ut Numantinis, quibuscum sine senatus auctoritate foedus fecerat, dederetur, rogationem suasit eam, quam L Furius, Sex Atilius ex senatus consulto ferebant; qua accepta est hostibus deditus

Honestius hic quam Q Pompeius, quo, cum in eadem causa esset, deprecante accepta lex non est

Hic ea, quae videbatur utilitas, plus valuit quam honestas, apud superiores utilitatis species falsa ab honestatis auctoritate superata est

110 At non debuit ratum esse, quod erat actum per vim

Quasi vero forti viro vis possit adhiberi

Cur igitur ad senatum proficiscebatur, cum praesertim de captivis dissuasurus esset

Quod maximum in eo est, id reprehenditis
Lo stesso fece, molti anni dopo, Gaio Mancino, che, avendo stipulato un trattato coi Numantini senza l'autorizzazione del senato, sostenne la proposta presentata, per decreto del senato, da Lucio Furio e Sesto Attilio; approvata la proposta, egli fu consegnato ai nemici

Si comportò più onorevolmente lui di Quinto Pompeo che, trovandosi nella medesima situazione, supplicò in modo tale che la legge non fu accettata

In questo caso quella che sembrava utilità valse più dell'onestà, in quelli precedenti una falsa apparenza d'utilità fu superata dall'autorevolezza dell'onestà

110 Ma non si doveva mantenere ciò che era stato estorto con la forza

Come se a un uomo forte si potesse fare violenza

Perché, dunque, partiva per il senato, tenuto conto, soprattutto, del fatto che aveva intenzione di sconsigliare la restituzione dei prigionieri

Voi biasimate proprio il suo merito maggiore

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